«Una prima riflessione rispetto all’articolo di Maurizio Corte, che condividiamo in larga parte, parte separando i problemi radicati da tempo nel settore, quelli dovuti alla pandemia, e quelli che pur essendo radicati hanno subito un ulteriore degrado dalla pandemia. Questo perché l’articolo mette in campo delle ipotesi risolutive, ma queste dovrebbero essere affrontate in modo diverso a seconda della radice del problema, e la maggior parte non hanno radice nella pandemia.

Andiamo con ordine. L’articolo mette molto focus sulla cattiva gestione del personale, che talvolta addirittura sconfina nell’illegalità: ciò che viene asserito nell’articolo trova molti riscontri nella realtà ormai da molto tempo, e ricade nella categoria dei problemi radicati che subiranno un ulteriore shock dalla pandemia. Questo è un brutto segnale di degrado culturale di una mentalità che si è creata nel tempo e che speriamo le nuove leve imprenditoriali trovino inaccettabile.

Ma è tipico della ristorazione? Purtroppo no. La mentalità dello sfruttamento della manodopera a scopo di “diminuire i costi a tutti i costi” è una pratica comune a molti settori (dall’agricoltura all’artigianato alla ristorazione), in particolare una pratica in uso dove la proprietà è molto presente nel controllo delle operations, e cioè nelle piccole e talvolta nelle medie imprese; è presente in misura inferiore nelle grandi catene ma per il solo fatto che per loro le pratiche borderline sono
maggiormente rischiose in termini di controllo e Brand Reputation.

A nostro avviso le soluzioni a questo problema vanno ricercate infrangendo un circolo vizioso che coinvolge tre anelli.
Primo, la politica e la pubblica amministrazione nel tempo hanno abbandonato l’idea di recuperare efficacemente dall’illegalità i soldi che servono per far funzionare la macchina (grande evasione fiscale, mafia, criminalità etc), trovando più semplice aumentare la pressione fiscale sulle imprese e sui cittadini.
Secondo, le imprese (i cui imprenditori sono nati in un periodo storico dove avere a che fare con la cultura del parentelismo, della raccomandazione, della corruzione e dell’incompetenza era la norma), per far fronte all’aumento dei costi burocratici si sono abituate all’idea di risolvere i problemi senza l’aiuto della politica o della pubblica amministrazione, riducendo i costi dove possibile e ultimamente soprattutto sul personale, spesso in modo eticamente inconcepibile e spesso in modo illegale (come nel caso del lavoro nero, grigio, senza tutele, o nel caso dei fenomeni di mobbing), altre volte riducendo senza lungimiranza alcuna i costi sullo sviluppo del personale (formazione e percorsi di carriera).
Terzo, sindacati e i lavoratori si sono concentrati molto di più sull’ottenere risultati dalle piccole lotte che non sul fronte della visione. Questo atteggiamento non ha contribuito efficacemente a cambiare ed interrompere questo giro vizioso che sta demolendo in parte il nostro sistema economico.

E allora le soluzioni?
Su questo fronte purtroppo non possono che essere su tutti e tre i livelli… sarà pur difficile ma se non ci si riesce non si arriverà da nessuna parte. Se non si agisce insieme infatti la situazione non potrà trovare alcuna risoluzione efficace.

A livello politico-amministrativo per la ristorazione serve una revisione del quadro generale. Serve un nuovo quadro di riferimento di indirizzo commerciale territoriale, per mettere in condizione gli imprenditori di capire cosa possono attendersi dal futuro. Serve una lotta efficace contro l’illegalità (lavoro nero, grigio e più in generale contro lo sfruttamento del lavoro, contro l’evasione fiscale) e va infine incentivata la cultura emergente della Responsabilità Sociale di Impresa, con importanti incentivi economici per chi si impegna nel campo della Responsabilità sociale, verso i propri dipendenti, e nel campo della Sostenibilità.

A livello imprenditoriale, come giustamente asserisce Corte nel suo articolo, bisogna imbracciare una nuova visione di impresa, non semplicemente cercando di difendersi dalla spremitura delle tasse, ma cercando di migliorare le proprie performance qualitative attraverso strategie gestionali e commerciali più attuali e moderne, più rispettose del territorio, delle persone e soprattutto più integrate. È necessario che la ristorazione e il territorio abbiano una visione chiara del valore che possono creare, e creino una identità che nel tempo venga conosciuta, riconosciuta e apprezzata. La ristorazione può fare squadra sul territorio molto di più di ciò che sta facendo, ed essere un volano per turismo e agroalimentare. Se vogliamo continuare a dare un taglio unico, affascinante ed attraente alla ristorazione italiana dobbiamo puntare sulla passione delle piccole e medie imprese, metterle in condizione di crescere culturalmente e vivere decorosamente, ma… le stesse imprese devono saper investire nel proprio capitale umano, soprattutto in formazione e sviluppo e ricerca e innovazione, non solo tramite i doverosi incentivi ma anche con investimenti propri.

Un altro spunto interessante di Maurizio Corte è quello sulle aspettative di guadagno da un’attività di ristorazione.
L’imprenditore non può e non deve pensare di diminuire il rischio di una contrazione del suo reddito agendo anche illegalmente sulle spalle dei lavoratori, ma non può nemmeno accettare di vedere ridicolizzate le sue potenzialità di equo guadagno. Per questo le associazioni imprenditoriali devono essere più efficaci (e non è semplice) verso il livello politico amministrativo, facendo squadra con i sindacati (oggi sembra una bestemmia!) spingendo affinché la politica faccia la propria parte, e nel difendere i diritti e salari dei lavoratori che alla fine sono anche la maggior parte dei consumatori finali.

Sugli altri spunti offerti dall’articolo proponiamo una visione dal nostro osservatorio.
“Il Turismo di massa è finito”: nessuno è oracolo, la pandemia agirà sulla psicologia del consumatore e ne cambierà talune abitudini, ma attenzione a dire che è finito… con ogni probabilità continuerà imperterrito ad andare avanti, ma cambiando pelle e vestito; la vera sfida sarà essere leader di questo cambiamento e contribuire a creare i trend migliori e positivi, con il vantaggio competitivo di esserne alla guida; poi ci sarà come al solito chi si adeguerà e potrà sopravvivere con dignità al cambiamento e, chi non si adeguerà al cambiamento faticando a reggere il mercato e fatalmente anche chi soccomberà.

Covid-19: è ancora presto per dire quanto durerà l’effetto, potrebbe prevalere la voglia del ritorno alla normalità (in caso che in autunno il coronavirus non ripresenti il conto), oppure potrebbe prevalere l’effetto psicologico che in caso di ritorno di una nuova ondata, potrebbe divenire permanente nella mente del consumatore. Sicuramente in questa fase, la strategia delle imprese turistiche non può prescindere dal considerare entrambe le ipotesi, e siccome il gioco non è semplice, la parola magica sarà “flessibilità” intesa come l’individuazione di soluzioni flessibili che facilmente si possano adattare ad entrambe le possibilità. Di sicuro rimarrà una maggior sensibilità al tema “sicurezza”, e molto probabilmente a fare la differenza potranno essere non solo le soluzioni attuate dai singoli esercenti o imprenditori, ma quelle messe in campo dall’intero territorio.

Voglio concludere questo lungo commento con un ulteriore apprezzamento per l’articolo Maurizio Corte con cui condividiamo in grandissima parte l’analisi fatta, e in particolare modo l’aver evidenziato: il gran bisogno di formazione nel settore (imprenditoriale e professionale, sia dei titolari che del personale); il bisogno di un cambio di passo nella comunicazione, che deve andare sempre più nella direzione di raccontare il territorio e le sue eccellenze, sfruttando tecniche Digital e Storytelling; la capacità imprenditoriale, l’onestà, il rispetto dei diritti, la cura della dignità delle persone (clienti e collaboratori) come valori fondamentali da mettere in campo; il significato di favorire la ristorazione di qualità: il concetto di qualità è un concetto più difficile di ciò che sembra, tutti pronunciamo molto spesso questa parola senza sapere come dargli una corretta dimensione. Maurizio Corte mette l’accento su importanti aspetti di qualità che non sono così evidenti al consumatore ma sono importantissimi, e lo fa quando asserisce che: bisogna riqualificare l’imprenditoria di qualità (quella onesta, con la passione per il cliente, il prodotto, il servizio), e abbandonare quella che invece potrebbe e dovrebbe fare un altro mestiere.»

Stefano Maida, presidente di ReHoRē