Ristorazione, il lato negativo della crisi legata a trattorie, ristoranti e bar è che quella crisi la pagano soprattutto i lavoratori dipendenti.

Vi è, infatti, la pratica, in alcuni esercizi pubblici, di tagliare dal 10% al 40% lo stipendio dei dipendenti. Oppure di ricorrere ai voucher anziché contrattualizzare i collaboratori. Mentre qualche (pseudo) imprenditore si affida ad altre pratiche meno nobili di relazione con camerieri, bartender, addetti alla cucina e personale in generale.

È indubbio che il mondo della ristorazione – a causa del Coronavirus – ha subito un colpo durissimo. Il turismo ha avuto un crollo verticale, anche per il venir meno di una serie di grandi eventi (si pensi all’Arena e alla sua stagione lirica); mentre gli italiani non sono tornati a mangiare fuori come si vorrebbe.

La situazione, per quanto riguarda Verona e la sua provincia, è a macchia di leopardo: soffrono le zone a vocazione turistica, come il centro storico e la fascia gardesana e sono in decisa ripresa le zone di campagna e della Lessinia.

Per quale motivo? La risposta che viene da chi di ristorazione si occupa da decenni è che il centro di Verona e le zone turistiche hanno puntato a una ristorazione “a misura di turista”. Una ristorazione, in molti casi, di qualità discutibile, mirata al profitto e al fare soldi, senza tener conto dei prodotti del territorio e del meglio della tradizione culinaria scaligera.

Ristoranti, trattorie, osterie, winebar e bar soffrono: ma non tutti allo stesso modo. Sono stato due volte, negli ultimi 15 giorni, in un agriturismo della Lessinia – un posto da 300 coperti – e la ripresa non si è fatta attendere. Trovare posto di sabato e domenica è un’impresa. Ed è impossibile, se non prenoti.

Il lato negativo della crisi della ristorazione è sintetizzabile in due elementi: lo sfruttamento dei lavoratori e la mancanza di capacità imprenditoriale.

Non è certo il caso di fare di ogni erba un fascio. Generalizzare su tutta la ristorazione sarebbe scorretto, perché vi sono ristoratori e titolari di bar e trattorie onesti, impegnati a tenersi i dipendenti, proiettati verso un modo rinnovato di fare questo difficile e affascinante mestiere.

Il problema – che non è mai stato portato alla luce – riguarda quella fascia di ristoratori che sottopagano sia il personale di sala che quello di cucina. Per non parlare degli atteggiamenti di nonnismo nei confronti di alcuni dipendenti, specie i neo-assunti e le donne. Oppure il pretendere orari pesanti senza pagare gli straordinari.

Un paio di anni fa, dopo che mio nipote aveva fatto qualcosa come 34 ore di lavoro in due giorni nel ristorante di un hotel di lusso fuori Verona, telefonai io al maître di sala chiedendogli: «Gentile signore, avete sospeso le garanzie costituzionali? Perché, glielo dico a nome dei genitori, se tornando a casa mio nipote fa un incidente per un colpo di sonno, veniamo in delegazione a trovarla.»

Stendiamo, poi, un velo di pietà sulle forme di evasione fiscale. Per tacere del “gioco del rubinetto”, praticato anche in qualche assai noto ristorante di fascia alta veronese (e non): lo spacciare per acqua minerale naturale della banale acqua di rubinetto. Salvo poi farla pagare 3 o 4 euro la bottiglia.

Come reagire alla crisi della ristorazione

Un esperto di ristorazione giusto una decina giorni fa mi diceva che a settembre il 30% di ristoranti, bar e trattorie chiuderà. «Contano di incassare durante i mesi di luglio e agosto», mi ha detto. «Poi gettano la spugna: abituati a fare soldi a palate, non accettano di lavorare solo per guadagnare una giusta mercede che ripaghi, bene, il loro lavoro.»

Il fatto è che il turismo di massa è finito. Ed è finita anche una certa ristorazione, un certo modo di fare bar e di gestire una trattoria.

Come reagire alla crisi della ristorazione? Chi vuole chiudere, chiuda. A guadagnarne sarà il livello dell’offerta ristorativa scaligera (e italiana in genere). Non ne sentiremo la mancanza. La crisi della ristorazione, del resto, è iniziata anni fa. Il Covid-19 non ha fatto altro che portare in drammatica evidenza e amplificare un fenomeno già in atto da tempo.

Gli elementi su cui puntare per far vivere la ristorazione “sana” (con il corredo di bar e pubblici esercizi) sono questi:

i prodotti del territorio, a cominciare dal vino e all’olio per proseguire con i cibi tipici (quelli Dop);

  • gestione oculata dell’impresa, con professionalità, con rispetto dei diritti del lavoratori;
  • aiuti e prestiti dal mondo bancario e dallo Stato per sostenere il rilancio a livello finanziario ma in modo tracciato e a fronte di progetti credibili e imprenditoriali;
  • attenzione e cura del cliente, che ha bisogno di ascolto, di trattamenti di qualità e di buone pratiche anti-Covid perché vive un tempo di incertezza, di paura e di insicurezza;
  • formazione imprenditoriale e professionale, sia dei titolari che del personale, per alzare il livello dei servizi e dei cibi offerti;
  • trasparenza nella formazione del prezzo, che deve puntare alla giusta remunerazione dell’impresa e non a fregare i clienti con prodotti di scarsa qualità;
  • comunicazione che sappia raccontare l’impresa, con una rappresentazione onesta, veritiera ed efficace.

Non servono a nulla gli incentivi – pure interessanti – a organizzare feste, kermesse e appuntamenti pubblici proposti da qualche esponente regionale, se non si arriva a cambiare passo sul piano umano, dei diritti e imprenditoriale.

La capacità imprenditoriale, l’onestà, il rispetto dei diritti, la cura della dignità delle persone (clienti e collaboratori): sono questi i valori da mettere in campo. A fronte di questi valori, Stato e mondo bancario debbono sostenere quell’imprenditoria – ed è la stragrande maggioranza – che vuole mettersi in gioco e ha bisogno di aiuti finanziari.

Senza passione per il cliente, senza rispetto dei diritti sindacali, senza osservanza degli obblighi fiscali, senza capacità imprenditoriale… senza tutto questo, è meglio chiudere. E andare a fare un altro mestiere.

A guadagnarne saranno la ristorazione di qualità, gli imprenditori che hanno competenza e voglia di fare. E tutti coloro, titolari e personale dipendente, che si mettono in gioco e che hanno diritto – questi sì – di essere aiutati e sostenuti nel modo più ampio possibile.