Secondo  i report degli osservatori di Amnesty International, nell’aprile 2019 il Parlamento egiziano approva una serie di emendamenti costituzionali per estendere da quattro a sei anni la durata del mandato presidenziale, consentendo all’attuale presidente Abdel Fattah al-Sisi di rimanere al potere fino al 2030 nel caso in cui vincesse le prossime elezioni nel 2024. A luglio dello stesso anno, il governo interrompe l’erogazione dei sussidi per il carburante. Nel frattempo il 32,5% degli egiziani vive al di sotto della soglia di povertà, con un aumento di quasi il cinque per cento dal 2015.

Il Presidente egiziano al-Sisi

A settembre, Mohammed Ali, ex appaltatore di progetti militari, rende pubblici alcuni video che accusano di corruzione il presidente al-Sisi e alcuni militari egiziani, invitando la popolazione alla protesta. La risposta non si fa attendere e il 20 settembre centinaia di persone manifestano nelle strade della capitale Il Cairo, in quelle della seconda città del paese Alessandria e in altre località. In seguito alle proteste, l’SSSP (la Procura Suprema per la Sicurezza dello Stato) ordina l’arresto di migliaia di persone, con accuse di terrorismo dalla formulazione assolutamente vaga. 

L’uso estensivo dei tribunali straordinari porta a processi gravemente iniqui e, in alcuni casi, persino a condanne a morte. E mentre le esecuzioni continuano, la tortura rimane una pratica diffusa sia nei luoghi di detenzione ufficiali sia in quelli informali. Le condizioni di detenzione sono spaventose e hanno portato a scioperi della fame di massa.

Carceri egiziane

Le donne, in Egitto, continuano ad essere discriminate nella giurisprudenza e non sono adeguatamente tutelate dalle autorità contro livelli inimmaginabili di violenza sessuale e di genere.Decine di lavoratori e sindacalisti sono sistematicamente e arbitrariamente arrestati e perseguiti per avere esercitato il loro diritto di sciopero e protesta. Rifugiati, richiedenti asilo e migranti vengono arrestati e detenuti arbitrariamente per essere entrati in Egitto, o per avere abbandonato il paese in maniera irregolare.

Il 13 novembre 2019, l’Egitto viene esaminato per la terza volta secondo l’Upr (Universal Periodic Review) presso il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, che formula ben 373 raccomandazioni riguardo alla violazione dei diritti umani nel Paese. Nonostante questo, l’Egitto continua a far parte della coalizione internazionale guidata dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti schierata nel conflitto armato in Yemen e rimane uno dei membri della coalizione che ha imposto sanzioni economiche e politiche al Qatar, assieme ad Arabia Saudita, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti (fonte www.amnesty.it).

Mezzi dell’esercito egiziano in movimento

È, insomma, a questo tipo di Paese che l’Italia – la nostra Italia – si accinge a vendere la sua più grande commessa di armi dal Dopoguerra: circa 10 miliardi di euro per una fornitura che prevede, oltre alle due fregate Fremm “Spartaco Schergat” ed “Emilio Bianchi”, altre 4 navi, 20 pattugliatori d’altura di Fincantieri, 24 caccia Eurofighter Typhoon e 20 velivoli da addestramento M346 di Leonardo. Stiamo parlando, fra l’altro, dello stesso Paese che da oltre quattro anni nega all’Italia la verità sulla morte di un cittadino italiano, il sociologo Giulio Regeni, il cui cadavere ritrovato vicino ad un’autostrada nei pressi del Cairo nel 2016 ha confermato le torture subite fino a 10 ore prima del ritrovamento e per un tempo che non è stato possibile ricostruire con certezza, a causa dell’inadeguatezza dei dossier forniti dall’Egitto al nostro governo sul caso. 

Giulio Regeni

Una fornitura, quella di armi, che rischia di cambiare gli equilibri politici e militari in un’area già fortemente instabile, ma che rischia anche di creare un cortocircuito nel funzionamento del nostro sistema parlamentare. Il riferimento è in particolare ad un passaggio della legge 185/90 sulle “Norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”. Nel testo si legge che “l’esportazione ed il transito di materiali di armamento sono altresì vietati verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere“. Ora, l’Egitto è membro della coalizione a guida saudita che combatte i ribelli Huthi in Yemen, pertanto la legge italiana prevede che la vendita di armi avvenga “previo parere delle Camere”. Cosa che non è avvenuta. Inoltre, nel testo si legge anche che l’export è vietato  “verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’Ue o del Consiglio d’Europa“.

Luigi Di Maio

Il vizio procedurale, dunque, è palese e le proteste di deputati come l’ex Presidente della Camera Laura Boldrini e Nicola Frantojanni di LEU sono state liquidate dal Ministro degli esteri Luigi Di Maio nel corso del question time alla Camera dello scorso 8 giugno con queste parole: «Le valutazioni sulla vendita di armamenti all’Egitto sono ancora in corso. Per le forniture all’Egitto nel settore della Difesa, il rilascio delle autorizzazioni è subordinato all’applicazione rigorosa dei criteri di legge. Il governo esamina caso per caso le richieste e oltre al vaglio di natura tecnico-giuridica il governo ha ovviamente ritenuto di svolgere una valutazione politica.» 

E a questo punto c’è da chiedersi seriamente quali siano i valori che animano la politica estera (e non solo la politica estera) del nostro Paese, nel momento in cui siamo pronti a servire a un Paese come l’Egitto, la cui reputazione sul piano del rispetto dei diritti umani è pressoché nulla, un formidabile cavallo di Troia: nel momento in cui un Paese considerato degno e rispettabile come l’Italia decide di vendergli un arsenale militare, chi mai potrà più sostenere che l’Egitto non sia un partner affidabile sul piano politico?