Incontrare, sia pur attraverso uno schermo, Natalino Balasso rappresenta per chiunque un’esperienza a dir poco stimolante, perché si è al cospetto di uno degli artisti più geniali, irriverenti, colti e ironici dei giorni nostri. Gli acutissimi monologhi – come spiega nel presentarlo il collega Paolo Sacchi – e la serie di spettacoli che propone da anni lo hanno reso un autore e interprete di livello assoluto, forse unico nel suo genere per la capacità di cogliere la realtà, decodificarla e raccontarla con profondità e sottile ironia. E non a caso ogni dialogo con lui prende sempre inevitabilmente quelle pieghe che portano l’interlocutore a vertiginose vette di pura (in)coscienza.

Accade così che in una serata di inizio giugno, ancora alle prese con gli strascichi della pandemia, Heraldo – nell’ambito delle dirette social “Succede alle 31” – decida di provare questa esperienza catartica e affronti letteralmente il toro per le corna con un’intervista a tutto tondo all’attore, regista, scrittore, pensatore e sociologo di Porto Tolle (Rovigo), pochi giorni dopo che l’artista ha lanciato («non l’ho lanciato, l’ho postato», ci corregge in realtà lui) sul web la sua ultima follia (perché di questo si tratta) cinematografica: “Io sono io. Io non sono gli altri”.

Un mediometraggio di 45 minuti che parla di folletti e destino, di pandemia mondiale e imprenditori veneti in un mix onirico e suggestivo di complessi riferimenti letterari che «rappresenta una risposta al luogo comune che vuole che l’essere umano viva di empatia e tendenza verso l’altro. Noi aiutiamo in realtà gli altri solo perché è un nostro istinto soccorrere chi è in difficoltà – ci spiega Balasso -. Questa cosa può diventare col tempo una sorta di annullamento di se stessi e secondo me tutto ciò diventa alla lunga un limite, un difetto. Noi viviamo per noi stessi, per tentare di sopravvivere. Vivendo con gli altri sopravviviamo meglio noi e partendo da questo pensiero si accende una specie di dibattito interno fra me e me, che è alla base del film.»

Il dialogo con Balasso, però, prende subito altre strade. Si parla di comunicazione, di modi di intendere il potere e la politica, ma anche il giornalismo. Adesso è diventato talmente importante il racconto e l’enunciazione del mondo, rispetto alla realtà dei fatti, che tutto il resto diventa insignificante. È tutto narrazione e poco più. E si diventa inevitabilmente spettatori di questo infinito racconto. Il pierre, l’ufficio stampa, un tempo al servizio del Potere, oggi sono essi stessi IL Potere.

«Oggi si possono dire tranquillamente delle bugie che tanto il giorno vengono  clamorosamente smentite: si dice di essere stati travisati, si parla di strumentalizzazioni, si cambia discorso e via, veloci verso nuove bugie, senza problemi. Tanto il giorno dopo si ricomincia con le smentite e tutto il resto. Dal canto suo oggi il giornalismo italiano non ha il problema di cercarsi i lettori – per molti dei quali ci sarebbe comunque bisogno di un TSO, un “Trattamento Scolastico Obbligatorio” – bensì quello di cercarsi dei padroni, con giornalisti sempre più ricattabili dal punto di vista economico. E se le testate vengono usate dai proprietari non per vendere e fare soldi, com’è legittimo in una logica imprenditoriale, ma piuttosto come “gestori del racconto”, a quel punto diventa complicato credere a questi racconti, perché pochi di essi per questi padroni sono effettivamente raccontabili.»

Il discorso con l’attore e regista vira presto sul teatro e le sue varie forme di rappresentazione, soprattutto ai tempi dei social e di Youtube, ampiamente usato dallo stesso Balasso. «A teatro racconto che io sto raccontando una storia. È chiaro che la gente si faccia prendere dalla narrazione a cui assiste, ma c’è un grande sotto-testo che caratterizza questa esperienza: la gente si sente viva e vera perché tocca con mano una storia viva e vera e ne sente il respiro. L’artista non è un cronista di ciò che avviene nel mondo. L’artista immagina un mondo a sé, ma persino quando l’artista parla della realtà non parla veramente della realtà, ma di una sua visione, di un suo sogno e noi dentro quel sogno cerchiamo di entrare e capire il suo racconto. La gente, però, non sa più capire cos’è l’arte. Quando vede un lavoro artistico non capisce cosa sta guardando. L’arte non racconta mai di un luogo preciso, ma racconta sempre tutti i luoghi. E per questo bisogna saperla guardare. L’arte fa domande, non dà risposte e va consumata, non coltivata, se non si è capaci di farlo. Sono concetti diversi.»

In realtà questi sono solo alcuni degli spunti iniziali che Balasso ci ha lasciato durante la chiacchierata, che risulta a dir poco impossibile riassumere qui in poche righe. Balasso, sollecitato dalle nostre domande, ha zigzagato fra un argomento e l’altro parlando di organizzazione dei teatri oggi, della sua carriera e in particolare di alcuni suoi personaggi, ma anche di Berlusconi, di Beppe Grillo, di suffragio universale, di scelte intelligenti e di scelte sbagliate, di libri da scrivere e di libri da lasciare rigorosamente nel cassetto, di scopi personali, di ispirazione, di cambi di rotta, di discorsi di Capodanno da fare con il freddo e giammai con il caldo, di poesia, di ipocrisia, di progetti per il futuro e di navigazioni a vista. Ci ha raccontato con generosità il suo modo di vedere questo piccolo mondo che indubbiamente, grazie anche ad artisti come lui, risulta un po’ meno piccolo.

Qui di seguito l’intervista integrale: