“Mi ha detto: Lo sai che Verona è la terza città dantesca? Io devo ammettere che lo ignoravo”. Questo dice l’attore Claudio Santamaria a se stesso, nel video “La Verona di Dante” per la regia di Fabrizio Arcuri. Il video è stato realizzato nel dicembre del 2020, ed è stato uno dei contributi con il quale il Comune di Verona ha deciso di prepararsi per le celebrazioni del settecentenario dantesco.

Non entrerò nei meriti del video, e non entrerò nel merito di come la precedente amministrazione abbia gestito, nella complessità della situazione pandemica, un evento che ha visto tutta Italia (e tutto il mondo) nel pieno dei festeggiamenti, consacrando ancora una volta Dante Alighieri come il più grande poeta di tutti i tempi.

Ma partirò dalla frase citata in apertura per meglio inquadrare una sorta di “complesso psicologico” per il quale Verona è, a pieno titolo, una tra le più importanti città nella vita di Dante, ma non ci ha mai creduto veramente.

Verona dantesca, ma non troppo

Nel video, Claudio Santamaria e Francesca Barra rappresentano quello che sono, una coppia di non veronesi che scoprono assieme, in una sorta di caccia al tesoro, quanto Dante sia presente e vivo nella nostra città.

E infatti il romanissimo Claudio Santamaria “ignora” che Verona fosse una città dantesca.

Nel mondo “fuor da queste mura” (per stare in linea con la Verona shakespeariana che in fondo preferiamo e sulla quale tornerò) non pare esserci una grande percezione di questo.

E pure Francesca Barra, giornalista, scrittrice, guida giocosa, novella Beatrice, di un Santamaria sempre più smarrito in una “Verona oscura”, si muove con cautela. Non si sbilancia. Sì, Verona è dantesca, ma non troppo.

Un omaggio fatto con imbarazzo

E sicuramente i veronesi poco sanno, poco riconoscono, poco ammettono, della loro “dantità”.

Persino nel video di cui sopra si nomina Shakespeare almeno tre volte, quasi a dire “va bene, Dante sarà anche stato a Verona, ma non scherziamo, Verona è il balcone di Giulietta e nient’altro”.

E questa cautela, che è anche la cautela del regista e di chi ha scritto i testi, è la medesima cautela di una città che si è sentita di colpo costretta a omaggiare Dante, ma quasi con imbarazzo.

E lo si capisce da quel “terza città dantesca”. Terza rispetto a chi?

“Mi ha detto: Lo sai che Verona è la terza città dantesca? Io devo ammettere che lo ignoravo”. Questo dice l’attore Claudio Santamaria a se stesso, nel video “La Verona di Dante” diretto da Fabrizio Arcuri e realizzato per il settimo centenario della morte dell’Alighieri.

Firenze, città dell’Inferno

Sicuramente Firenze (che dovrebbe essere la prima) e sicuramente Ravenna (seconda agli occhi di tutti). Una ne ha dato i natali, l’altra ne conserva ancora oggi le spoglie, innamorata.

Ma siamo proprio sicuri che questo sia il podio agli occhi del Poeta?

Firenze ha prima esiliato, poi condannato a morte Dante e in un secondo momento pure i figli. Firenze è nella Commedia (e non solo) il bersaglio delle più feroci invettive dantesche.

Firenze è città dell’Inferno, della frode, della perdizione.

Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande

che per mare e per terra batti l’ali,

e per lo ‘nferno tuo nome si spande!

Dante la chiama “perfida noverca”, ovvero matrigna crudele. Il fiorino, la moneta ufficiale, diventa il “maladetto fiore” di Lucifero. E Dante dichiara con orgoglio di essere “fiorentino di nascita, non di costumi”. I fiorentini sono “scelleratissimi”.

Ravenna, devota nel ricordare il Poeta

Ravenna è la città che ha ospitato Dante negli ultimi due anni di vita. E sicuramente Dante a Ravenna ha trovato un ambiente intellettuale e un cenacolo di amici e discepoli, più adatto a riconoscerne e la grandezza poetica.

Eppure nella Commedia non troviamo un elogio per il signore di Ravenna, Guido da Polenta, che sia all’altezza dell’iperbolica lode di Cangrande, che leggiamo nel canto XVII del Paradiso.

Una lode che vede Cangrande quasi come figura cristica, novello redentore.

Le sue magnificenze conosciute

saranno ancora, sì che ’ suoi nemici

non ne potran tener le lingue mute.

A lui t’aspetta e a’ suoi benefici;

per lui fia trasmutata molta gente,

cambiando condizion ricchi e mendici

Chiaramente non si tratta di fare gare o confronti. Firenze e Ravenna hanno tutti i diritti di considerarsi città dantesche e la loro devozione nei confronti del Sommo Poeta è innegabile, oltre che meritevole.

Perché Verona si sente terza

In queste righe cerco di capire perché Verona si senta “terza”. E guardate che la frase del video rispecchia quello che è l’opinione nostra, non solo di chi ci amministra, ma anche di noi veronesi.

La locandina della mostra multimediale “Il mio Purgatorio. Dante profeta di speranza” a cura di Franco Nembrini e Gabriele Dall’Otto, inaugurata a Castel San Pietro il 1 aprile.

Penso dal punto di vista turistico: una persona da un altro Paese che entra a Verona, percepisce che Verona è stata la città dove Dante ha vissuto per circa un lustro (anno in più, anno in meno poco importa), la città nella quale Dante ha scritto quasi tutto il Paradiso, la città alla quale Dante ha dedicato la sua cantica più bella e importante, la città dove Dante, nel gennaio del 1320, ha disputato nella chiesa di Sant’Elena la sua conferenza “De situ et forma aquae et terrae”?

Lo capisce un turista che Dante ha passeggiato per tutte le strade principali di Verona, che è entrato nell’Abbazia di San Zeno a guardarne le iscrizioni, che ha assistito al “palio verde”, che è stato amico di Bartolomeo della Scala?

Per non parlare dell’amicizia verso Cangrande, che porta Dante a scrivere: “Onde avvenne che se prima al solo sentir parlare di voi avevo provato per voi un sentimento di benevolenza dettato dalla soggezione, in seguito, appena vi vidi, questo sentimento si cangiò in sensi di grande devozione e di amicizia”.

Un “amore” tenuto quasi nascosto

Lo capisce un turista che lungo le strade della nostra città, le donne veronesi riconoscevano in quell’uomo barbuto, irsuto e cupo, nientemeno che il grande poeta capace di entrare e uscire dall’Inferno come più gli piaceva (Boccaccio dixit)?

Eppure, come dicevo, la sensazione è sempre quella di terzi.

Se mettiamo piede a Firenze e a Ravenna lo capiamo subito, lo respiriamo, che ci troviamo dentro città dantesche in tutto il loro splendore e il loro orgoglio.

Noi invece mostriamo timidezza. Se ammettiamo di essere abitanti di una città che ha amato, protetto, custodito Dante, lo facciamo sottovoce. Mai pienamente convinti.

Dantedì mancato

In questi giorni si leggono numerose polemiche su un Dantedì mancato o ignorato.

Pieralvise Serego Alighieri ha scritto una lettera al giornale L’Arena per lamentare un “Dantedì-menticato”. Sempre sul giornale locale, il giorno 25 marzo, è uscito un articolo molto severo, in cui le Guide Ippogrifo organizzavano una visita guidata seguendo le orme veronesi del poeta, come evento “riparatore”, data la mancanza di iniziative pubbliche.

E sui social in molti si sono accorti di questa mancanza.

In realtà qualche cosa è stato fatto, ad esempio una conferenza a cura del Centro Scaligero di Studi Danteschi (unica associazione ancora pulsante e viva e coraggiosa in questo senso) con la presenza di due dantisti di altissimo rango, Lino Pertile e Donato Pirovano, presso la Tomba di Giulietta.

E dal 1 aprile è aperta la mostra multimediale “Il mio Purgatorio. Dante profeta di speranza” a cura di Franco Nembrini e Gabriele Dall’Otto, a Castel San Pietro. Certo che se l’inaugurazione fosse stata il 25 marzo, Dantedì, l’impatto simbolico sarebbe stato altro.

La storica assenza ingombrante di Verona

Però è vero che un Dantedì come festa collettiva, popolare, che veda una città riconoscente nei confronti di un poeta che l’ha così degnamente celebrata, ancora non c’è stato.

A guardare il programma del Dantedì di Ravenna e tutte le iniziative delle varie città, presentate nel sito del Ministero della Cultura, c’è da restare commossi.

L’Aquila, Cosenza, Benevento, Salerno, Napoli, Reggio Calabria, Bologna, Forlì, Cesena, Pordenone, Latina, Varese, Ancona, Torino, Bolzano, Venezia, sono solo alcune delle città che il 25 marzo di quest’anno, quasi in un unico abbraccio, hanno voluto ringraziare Dante.

Verona, nell’elenco è un’assenza ingombrante.

È sicuramente troppo presto per trarre conclusione, fare bilanci, dare colpe o cercare responsabilità. Da troppi anni, da troppe amministrazioni, la questione cultura a Verona è rimasta impantanata in una sorta di paralisi joyciana.

In questa palude ci è finito pure Dante. Da tempo, se come pare, nel 1921, nel pieno delle celebrazioni ravennate per i 600 anni dalla morte, i veronesi non si presentarono, o forse non furono invitati.

Ci vorrebbe un Cangrande

A me interessa come possiamo orientarci al futuro. Come evitare che le cose più stimolanti e significative in ambito culturale non dipendano da azioni o da spinte parallele al mondo politico. E spesso mai convergenti.

Il Dante scolpito da Ugo Zannoni, che svetta su Piazza dei Signori, è forse solo una statua per Verona? (Dalla foto di Osvaldo Arpaia).

Io credo che se si voglia ripartire, lo si debba fare proprio dal nostro considerarci “città dantesca”, con fierezza, a testa alta. Il “come” può essere un grande viaggio assieme. Ma finché non ci riconosciamo in quel “primo refugio” e  “primo ostello”, finché nemmeno noi vorremo ricambiare a Dante la “cortesia” che egli per primo riconobbe nel “gran Lombardo”, vedremo sempre Verona come una sorta di sorellastra impreparata, un po’ goffa, più pronta a scusarsi per le mancanze che non a vantarsi dei doni ricevuti.

E scrivo volutamente “doni”. Dante è un poeta generoso. Fin a partire dal nome. Dante è “colui che dà”. A noi ha dato moltissimo, come in passato una Verona più ospitale, più coraggiosa.

Nel settembre del 2021, assieme a persone che ci credevano, feci un evento dal titolo provocatorio “Ci vorrebbe un Cangrande”.

La convinzione (e la sfida) vedeva la Verona di Cangrande, signore capace di accogliere e proteggere nella sua corte un letterato in fuga non come un passato da celebrare, ma soprattutto come un modello da perseguire.

Dante a noi ha dato tanto. È tempo di ricambiare.

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