Di nonnitudine non c’è traccia nell’Accademia della Crusca, eppure se ne parla, in contesti diversi e per indicare varie problematiche e il neologismo sta diventando di uso comune, anche grazie al titolo del libro di Fulvio Ervas, al fiorire di una micro letteratura sull’argomento, una festa annuale dedicata e l’abbondanza di un dilagante “corsismo” che riempie il tempo e le palestre per  persone che di tempo sembrano averne.

Che i nonni servano e molto al nostro Paese è indubbio e accertato da autorevoli indagini sociologiche, soprattutto come supporto al lavoro genitoriale, fuori e dentro casa: accompagnatori da e a scuola, autisti, baby sitter per le occasioni di svago della coppia, veri e propri sostituti nel caso di impossibilità di accesso agli  asili nido. Molta enfasi viene data all’aspetto del rapporto nonni-nipoti, a quell’iniezione di vitalità che ricevono i primi dalla sensazione di essere utili, ben accetti, anche indispensabili al ménage familiare. Invece si tace un po’ sul viceversa, sul fatto che il rapporto risulti necessariamente sbilanciato per il lasso di età tra i soggetti e finisca per comprendere totalmente i nipoti nella vita dei nonni, resi più infantili e condiscendenti di quanto lo siano mai stati. Al contrario i nipoti, nativi digitali, con amicizie e abitudini in assoluta antitesi rispetto ai nonni, li vivono come figure accessorie e provvisorie. Dopo un po’, è fatale, i nonni partono per un ipotetico “viaggio” da cui non ritornano più, nemmeno una telefonata, una mail, niente.

Manca anche la sottolineatura genitori anziani versus genitori giovani. Molti nonni e nonne di oggi sono quei non più giovani che negli anni Sessanta volevano cambiare il mondo, hanno poi avuto un lavoro che li ha occupati lasciando magari poco spazio ad altro, ma si prestano volentieri alla  relazione di aiuto ai figli  riconoscendone la necessità personale e sociale. Talvolta vagheggiano una sfera di autonomia  rispetto ai legami familiari, o  si aspettano un riconoscimento alla pari, indipendentemente dalla prestazione di  cura che svolgono, anelano a uno scambio affettivo e di saperi che riconosca il loro valore di persone, l’affetto profuso e la disponibilità offerta. Ma i figli hanno fretta, sono stretti fra orari incombenti e  una vita davanti da realizzare, non hanno tempo per bilanci, memorie, condivisioni sentimentali, politiche o professionali, piuttosto  guardano ai genitori come punti di riferimento che, meno si fanno sentire e reclamano attenzione, meglio è per tutti.

La recente vicenda della casa di cura milanese Pio Albergo Trivulzio ha scatenato questa riflessione perché getta una luce ancora più oscura su tutto il discorso, riportando un pensiero allontanato dai più, quello degli anziani relegati in strutture  perché non più “utili” alla comunità, impossibilitati a badare a se stessi e dipendenti per motivi  di salute. Nella realtà di cui sopra, amministratori disinvolti  hanno sottovalutato il problema del contagio da Covid-19 causando molte morti, si parla di settanta, nascondendo colpevolmente la portata del disastro.

Guardando a Verona, stamattina secondo l’Ulss 9 Scaligera da quando è iniziata l’emergenza Covid-19, nelle strutture veronesi di accoglienza per anziani sono decedute 60 persone infettate dal virus, 35 di loro sono morte in ospedale e le altre 25 nelle case di riposo. Attualmente, sulle 73 distribuite nel veronese, 29 strutture hanno almeno un caso positivo al test per individuare i contagiati dal coronavirus. Il numero complessivo degli ospiti contagiati è 277, di cui 19 ricoverati in ospedale. A questi si aggiungono poi i 55 posti comunque in isolamento preventivo perché venuti a contatto con un contagiato.

La Procura di Milano ha aperto un’inchiesta a carico di ignoti per la vicenda che ha coinvolto la struttura geriatrica Pio Albergo Trivulzio, ma anche se sarà fatta luce su quanto accaduto, non potrà esserci alcun risarcimento umano e suona beffardo ricordare che nei soggiorni per anziani ù tutti gli ospiti vengano chiamati indifferentemente “nonno” e “nonna”, ma nonnitudine, in questo caso, significa solitudine.

Nonnitudine, Fulvio Ervas, Marco y Marcos, 2017.