34 anni anni fa. Il muro di Berlino, simbolo della divisione fra est e ovest, fra comunismo e capitalismo, fra dittatura e democrazia, il 9 novembre 1989 si sgretolava, finalmente, dopo 28 anni di odiosa persistenza. Quella sera i cittadini dell’allora capitale della DDR (e oggi della Germania unita) scesero in piazza e presero a picconate il muro, dopo quelle virtuali – più o meno complici – che nel decennio precedente gli avevano dato i vari Gorbaciov, Woytila, Reagan e tanti altri personaggi – chi di spicco, chi meno – dell’epoca. Un momento storico per l’umanità.

In quel momento, qualunque fossero i problemi di convivenza e integrazione che si presentavano all’orizzonte, la grandezza e la gioia di ciò che stava accadendo misero da parte ogni dubbio sul fatto che, col tempo, le persone liberate si sarebbero adattate e il mondo sarebbe diventato per tutti un posto migliore.

A distanza di tanto tempo la domanda se ciò si sia effettivamente avverato o meno appare, purtroppo, più che legittima. Intendiamoci, se da una parte per i cittadini tedeschi e in generale europei il crollo del Comunismo ha portato senz’altro tanti benefici in termini economici e soprattutto di libertà, dall’altra non è chiaro se il mondo di allora, che viveva nella paura dell’atomica e della Guerra Fredda nel netto dualismo USA- occidente contro URSS-oriente, non avesse meccanismi più facili da decifrare e quindi capire. E quindi, ancora, disinnescare.

L’attuale situazione geopolitica, con le guerre in Russia e Ucraina e in Medioriente, la tenaglia della Cina su Taiwan dopo aver messo le mani su Hong Kong e la polveriera africana, lascia pensare che la situazione non sia in fondo migliorata. Non di molto, perlomeno.

Promesse di cambiamento

Uno scorcio del muro di Berlino – Foto da Pexels di cottonbro studio

Quel momento berlinese, però, è stato tanto più esaltante perché totalmente inaspettato. La promessa di cambiamento era stata palpabile fin da quando un giovane nuovo leader al Cremlino di nome Mikhail Gorbaciov aveva iniziato ad allentare i vincoli della morsa comunista su quella fetta di mondo che controllava.

I tedeschi dell’Est avevano marciato per le strade di Lipsia, Dresda e persino Berlino Est, e fuggivano in numero crescente attraverso le aperture nella cortina di ferro in Ungheria e Cecoslovacchia.

Il cambiamento era da tempo nell’aria. Ma quel giovedì (proprio come oggi) 9 novembre 1989 nessuno di coloro che avevano il compito di seguire queste cose – diplomatici, spie, politici e giornalisti – aveva la minima idea che il momento fosse finalmente arrivato.

Si vedevano delle crepe, ma il gigantesco apparato del comunismo sembrava a lungo sicuro con le sue legioni di soldati, polizia segreta e informatori. Basti solo pensare che un mese prima, migliaia di tedeschi dell’Est avevano marciato con torce per le stesse strade di Berlino Est in una grande dimostrazione di fedeltà in occasione del 40° anniversario dello Stato della Germania dell’Est.

E invece all’improvviso, spontaneamente, a causa di un annuncio mal formulato da parte di un funzionario comunista (incalzato dal compianto corrispondente italiano dell’ANSA Riccardo Ehrman), il muro si è aperto. Per i tedeschi significò la riunificazione dopo quattro duri decenni di separazione e occupazione. Gran parte del mondo, quel giorno, tirò un grande, enorme, infinito sospiro di sollievo.

Fine della tirannia

Per gli europei centro-orientali si trattava della fine tanto attesa di una tirannia che negava loro i diritti più elementari e imponeva controlli su tutto ciò che facevano, dicevano e persino pensavano. È stato un momento che molti non avevano nemmeno lontanamente mai osato sognare.

Come potrebbe il crollo del comunismo, seguito al crollo del fascismo – due ideologie che cercavano di alterare radicalmente il comportamento umano – non segnare la fine della storia?

Il celebre murales sul muro di Berlino che ritrae il famoso bacio fra Leonid Breznev ed Erich Honecker del 1979, all’epoca rispettivamente presidenti dell’Unione Sovietica e della Germania dell’Est – Foto da Pexels di cottonbro studio

È passata ormai più di una generazione da quel giorno: ben più, cioè, dei 28 anni in cui è esistito quell’odioso muro, costruito in poche ore nel 1961.

L’euforia che colse tutti allora ci appare oggi illusoria, quasi utopica. Perché quella che appariva una promessa di riunirsi in un mondo libero e democratico ha lasciato il posto, in molti luoghi, a nuove divisioni e nuove ostilità.

Tanto che è diventato piuttosto frequente affermare che il muro è tornato, sia metaforicamente sia, in qualche luogo, anche fisicamente: come ad esempio lungo il confine fra USA e Messico o con la barriera costruita dal leader ungherese Viktor Orban contro gli immigrati ai confini con la Serbia . O, ancora, grazie al sempre più profondo divario che ancora oggi persiste fra Est ed Ovest, sia nella stessa Germania sia, più in generarle, in Europa, con politici populisti e partiti nazionalisti che alimentano la sensazione in molti che le loro rivoluzioni pacifiche tre decenni prima li avevano lasciati perdenti, economicamente e socialmente.

Anche perché la revoca della censura draconiana è stata sostituita dalla giungla di informazioni, fra fake news e non solo, di Internet e dall’ubiquità della tecnologia di sorveglianza che la temibile Stasi, all’epoca, poteva difficilmente immaginare.

Nonostante tutto…

Ma quando ripensiamo a quella lunga, straordinaria notte di libertà risulta quasi impossibile accettare che da allora nulla sia cambiato, che il mondo sia rimasto altrettanto brutto, solo in modi diversi, che le speranze suscitate allora fossero irrimediabilmente false.

Le persone che si riversarono attraverso il muro quella notte, e tutte le altre persone che si sollevarono contro la tirannia nel fatiscente impero sovietico, e poi nelle rivoluzioni “colorate” dei successori corrotti di quell’impero, e poi nel mondo arabo, e ora a Hong Kong, hanno giustamente sperato in qualcosa di buono, che nel bene o nel male persiste nel nostro essere liberi. E nella nostra capacità, come popoli, all’autodeterminazione. Un esempio per tutto e tutti. Ieri, oggi e domani. Perché in fondo la tirannia non è mai la scelta dei tiranneggiati e la speranza non potrà mai morire dietro a un muro.

La porta di Brandeburgo a Berlino, simbolo della città – Foto da Pexels di
Johannes Plenio

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