21 marzo 2020, tarda serata. il Governo Conte comunica la chiusura completa dell’Italia – “Era ora”, commenterebbe qualcuno –. Chiuse le fabbriche, chiuse le imprese, ogni attività che non sia strettamente necessaria si deve fermare. Insomma, ci si rifugia ancor di più in casa, contagiando eventualmente solo il proprio nucleo familiare, con la malcelata speranza che tale misura limiti il propagare del Coronavirus. La scelta era inevitabile, se guardiamo a quanto sta accadendo in alcune aree della Lombardia. D’altra parte, ci si chiede se tale Decreto abbia realmente cambiato le cose rispetto alle misure precedenti. In parte, sicuramente si: le nuove norme, sebbene non vi sia ancora un testo definitivo (reso pubblico nella serata del 22 marzo, n.d.a), sono un chiaro segnale dissuasivo per tanti imprenditori a proseguire a singhiozzo l’attività. A migliaia, a questo punto, affronteranno l’emergenza con misure straordinarie e probabilmente rinunceranno a proseguire, se non in smartworking, quando possibile. Quello che però non cambierà, parole dello stesso Conte, sarà l’impegno dell’intera filiera dell’agroalimentare. Logico, forse banale a dirsi. A meno di non ipotizzare scene apocalittiche con la popolazione che si fronteggia fucile in mano per accaparrarsi qualche chilo di pasta o alcuni litri di latte.

Andrea Sardelli, al centro, durante un’inaugurazione al Centro Agroalimentare nel 2017

Il problema in Italia è, però, nei numeri. Nel 2019 l’agroalimentare ha contribuito al Pil per un 12%, senza considerare l’indotto, e ha coinvolto 1,3 milioni di addetti (fonte: La Stampa del 7 maggio 2019). Sono tutti lavoratori che, in questa emergenza, per Decreto continueranno a lavorare. Ci si chiede come, viste le difficoltà di spostamento, stringenti disposizioni volte alla sicurezza del personale e ad una maggiore difficoltà nella logistica e nel trasferimento delle merci da e verso l’Italia. In qualche modo lavoreranno: il Governo ha garantito l’assoluta apertura di tutti i negozi, supermercati e altri punti vendita alimentari e non vi è ragione di dubitarne. Nei giorni scorsi abbiamo intervistato Andrea Sardelli, Presidente di Veronamercato S.p.A, società gestore e proprietaria del Centro Agroalimentare di Verona. La sua opinione, proprio alla luce delle recenti stringenti disposizioni ministeriali, diventa oggi ancora più importante per capire se i flussi di arrivo nei punti vendita del territorio dei beni di primaria necessità stia riscontrando dei problemi o se sia regolare.

Clienti in fila all’esterno di un supermercato, secondo le disposizioni in materia di contenimento del Coronavirus

Sardelli, riusciremo ancora a fare la spesa con serenità o, in un futuro prossimo, ci saranno problemi di approvvigionamento?

«Assolutamente nessun problema all’orizzonte. Verona è un centro di interesse nazionale e pertanto andremo avanti come sempre. Se dovessimo avere problemi noi, sarebbe un problema per tutta Italia, ma direi anche per diversi stati esteri, visto che siamo nodo nevralgico sulla direttrice Austria/Germania e Slovenia. Verona è un nodo indispensabile e qui si prosegue a ritmo serrato. Certamente, nelle ultime settimane abbiamo avuto alcune questioni critiche da risolvere, ma riguardavano soprattutto le merci in uscita.»

In effetti, qualche giorno addietro si sono registrate code interminabili ai valichi. Come avete gestito la logistica in quei momenti?

«Come detto, il problema ha riguardato le merci in uscita. Su 450.000 tonnellate annue che passano da Verona, il 40% sono destinate all’estero. Se è vero che le frontiere sono aperte per il trasporto di beni, i controlli, specie allo scatenarsi dell’allarme, sono stati stringenti e hanno rallentato molto le operazioni ai confini di Stato. Si è trattato però di episodi. Il problema principale lo stanno avendo – e lo avranno – i trasportatori esteri perché, pur potendo venire in Italia per approvvigionarsi e caricare, successivamente devono riuscire. A seconda del paese di destinazione o di transito devono scontare qualche forma di quarantena. Chi proviene dall’Italia in questo momento non è ben visto all’estero. Sicuramente il trasferimento di merci tra paesi diversi registrerà qualche intoppo.»

Tornando al nostro territorio, a Verona dunque i prodotti alimentari arrivano regolarmente?

«Si, senza dubbio. Occorre considerare che a Verona sono operativi grandi marchi della GDO quali Tosano o Martinelli. Centinaia di autoarticolati si spostano quotidianamente, esattamente come prima, ugualmente carichi di merce destinata ai rifornimenti dei centri di smistamento e dei punti vendita. Molta proviene, come di consueto, dal Sud che, per fortuna, al momento non sta subendo gli stessi problemi della Lombardia. Registriamo qualche problema con la Spagna, come naturale visto che l’epidemia sta esplodendo anche da loro, ma parliamo di un’incidenza relativa sul totale delle merci in transito. Certo, se uno vuole le ciliegie provenienti dal Cile, probabilmente oggi avrà più difficoltà a reperirle sul mercato, ma per quanto riguarda i beni di consumo abituale siamo tranquilli.»

Code fino a 80 km in direzione Brennero a causa dei controlli alla frontiera italo austriaca

E se la Lombardia fosse costretta a chiudere anche le aziende di produzione alimentare a Verona ne risentiremmo?

«Brescia e Mantova, province lombarde, abitualmente vengono da noi a comprare, non il contrario. Il problema può averlo eventualmente la Lombardia stessa, non noi. Ritengo, però, improbabile una chiusura del 100% delle imprese, perché si aprirebbero delle questioni legate a tensioni sociali di non facile gestione.»

Dal suo osservatorio, la tranquillità è estesa a tutti i comparti o ci sono alcuni settori più in difficoltà, come ad esempio quello ittico?
«No, a Verona tutto normale anche nel settore ittico. Un grande operatore dispone di tutta la filiera pertanto gli approvvigionamenti sono garantiti appieno.»

Guardando un po’ in generale al settore del commercio di prodotti alimentari durante questa emergenza, quali considerazioni sente di proporci?

«Le aziende maggiormente in difficoltà sono quelle che trattano con clienti operanti nel settore turistico, alberghi e ristoranti. Il territorio della Provincia di Verona è ovviamente ricco di imprese del genere e per loro è un momento complicato. La stagione estiva è praticamente andata. Chiaramente in questo contesto i supermercati diventano ancor di più il punto di riferimento in quanto organizzati con una logistica tale da poter affrontare la crisi e le misure restrittive imposte dal Governo con risposte adeguate. Per i piccoli produttori che commercializzavano attraverso i mercati rionali evidentemente non c’è provvisoriamente più possibilità di lavorare se non con consegne a domicilio. D’altra parte, è impossibile richiedere un controllo alle forze dell’ordine in ogni piazza.»

L’ultima domanda è in merito ai prezzi. Molti temono che vadano alle stelle, frutta e verdura su tutti. Come spesso succede, in Italia l’emergenza viene sfruttata da qualcuno con intenti speculativi. State vigilando?
«Vigiliamo già abitualmente. Veronamercato S.p.A è per il 75% del Comune di Verona, socio che ha a cuore la regolarità del mercato e intende punire ogni comportamento illecito. È evidente che in questo momento, ancor più del solito, si rende necessario evitare speculazioni di alcun genere. Siamo sempre attenti a questo, lo saremo ancor più nelle prossime settimane. Al momento non mi risultano situazioni critiche.»