In uno sketch del Milanese Imbruttito, il protagonista esprime la chiave del successo: «Qui conta solo l’inglese e neanche saperlo tutto, basta usare inglesismi a c….o per creare distrazioni e aumentare il budget.» La scuola da tempo ha scelto questo percorso, con risultati sotto gli occhi di tutti: dopo anni di chiacchiere su innovazione, tecnologia, informatizzazione, l’attuale sospensione obbligatoria mostra tutta l’improvvisazione e la necessità dell’atavica capacità italica di arrangiarsi. Hai voglia a intonare come un mantra soft skillsbrainstorming, problem solvingcooperative learningflipped classroom etc. se le competenze digitali di alunni e docenti sono quelle che sono – e spesso pure le reti – con scuole che non hanno nemmeno una mail istituzionale per i docenti. Le parole rappresentano cose e parlare male è pensare anche peggio. 

Non che la didattica online sia il male, intendiamoci. Ma ragioniamo su quello che ogni famiglia può constatare: una profusione di compiti per casa e pagine da studiare che, per un ragazzo oramai pronto all’università, è normale ma non per un ragazzo sotto i 16 anni, o con disabilità intellettiva; questo significa che, senza un mediatore (nonni, genitori, precettori) non avrà vantaggi. Qualche docente comincia a fare lezioni in videoconferenza che, coi limiti di banda e dei programmi free, sono spesso lezioni frontali con ridotta o nulla possibilità di intervenire; in più, non tutti gli insegnanti (e anche i ragazzi, sembra incredibile) sanno destreggiarsi con l’informatica. Sicché, una prima scoperta: dopo anni a combattere la lezione frontale, mostro ottocentesco che opprime il dialogo e impone l’asimmetria, questa torna osannata e bramata via web senza nemmeno un possibile dialogo orizzontale tra gli alunni. Certo, dal punto di vista della didattica, qualcosa si riesce a fare. Funziona egregiamente come controllo dell’avanzamento dello studio individuale; è utile pure quando l’attività del docente non è di sola spiegazione, ma di confronto con la classe, anche in modalità “classe rovesciata”, così che si può constatare e valutare sia la comprensione e che l’acquisizione delle capacità richieste attraverso l’espressione orale (per lo scritto ci sono limiti oggettivi, per più aspetti).

Quindi, meglio la scuola via web? Per gli alunni bullizzati certamente sì, visto che non dovranno più diventare invisibili nei corridoi per sopravvivere. Ma per gli altri, come ogni adulto novecentesco può ricordare, la scuola è stato anche sbirciare il/la ragazza/o che ci piace, fare quattro chiacchiere con amici al di fuori di parenti e paesani. La possibilità di confrontarsi con un potere non assoluto e con degli adulti professionalmente formati, in possesso (spesso) di autorevolezza più che autorità. E’ stato il primo approccio alla vita adulta di relazione, faccia a faccia e mani in faccia talvolta. È lo scontro con la noia, con “quei momenti di depressione, di crisi, quelli che il povero Perozzi chiamava constatazione del nostro niente” (cit.) – momenti necessari agli adolescenti dicono gli psicologi – e che oggi soffochiamo con lo scorrere inebetito delle bacheche social. Se il Coronavirus ci lascerà in eredità una scuola via web, per i nostri alunni si prepara una prospettiva di separazione, parcellizzazione, perdita di competenze relazionali, della capacità di confrontarsi con un adulto non genitore, di rispondere a compiti, impegni col relativo stress e in un contesto educativo e civico: a rischio, quindi, molte competenze di cittadinanza. Già oggi sono in aumento tra i nostri ragazzi casi di sociofobia e violenza, spesso dovuti a scarsa pratica con la relazione. 

Certo, ci sarebbero notevoli risparmi: con dei video un professore potrebbe gestire mille alunni da casa; con lezioni e test online ci si libererebbe del peso di un’edilizia vecchia e dalla manutenzione costosa e si ridurrebbe una classe di lavoratori percepita spesso come privilegiata e sfaticata. Di fatto, le strategie educative vanno già ora in questa direzione, come si nota nella diffusione delle lezioni online all’Università o nei corsi di formazione e aggiornamento. Il Coronavirus ci pone di fronte a una realtà spesso dimenticata: la scuola non è solo una badante al servizio delle famiglie lavoratrici e nemmeno uno strumento di indottrinamento o avviamento alla professione. È palestra di vita.