Il nome Dario Rizzi dirà qualcosa probabilmente solo ai proprio familiari e a poche altre persone, ma chi anagraficamente ha vissuto gli anni Ottanta ha per certo visto una sua foto, meglio “la” sua foto. Perché Dario Rizzi è stato fotografato su una panchina, solo, in un parco, a decesso avvenuto per overdose. Un’immagine vale più di mille parole e le parole nate da quell’immagine erano e sono “tossico”, “zombie” e simili. 

Perché nel nostro Paese la narrazione da quarant’anni è sempre la stessa: esiste il drogato, fuori controllo, che deve essere tenuto lontano dalla fonte della propria dipendenza, con le buone o con le cattive. E il convegno “Substantia” organizzato dall’associazione InfoSpazio 161, che dal 17 al 19 Marzo si è svolto a Verona presso la sala Fevoss in Santa Toscana, è la dimostrazione dell’urgenza di fare chiarezza sui concetti da esprimere e sulle scelte politiche da operare. 

Dorga, un tema dai tanti risvolti

Al tavolo dei relatori del secondo giorno sono intervenuti Giuseppe Di Pino, operatore di strada e tra i principali animatori della Rete Italiana di riduzione del danno; Matteo Stefania e Chiara Perlongo della cooperativa parigina EGO per un confronto con l’esperienza francese; Marco Falconieri, vicepresidente dell’associazione Carovanacoop di Bologna; Barbara Bonvicini, vicepresidente di Meglio Legale e coautrice del podcast Stupefatti

Due punti sono emersi: il primo è che parlare di droga come un fenomeno monolitico e fuori controllo indica una visione parziale del fenomeno – e bene lo ha chiarito Di Pino nel primo intervento. Il secondo è che l’astinenza e la punizione come unici metodi di gestione hanno dimostrato i loro limiti, ideologici e pragmatici. 

Di Pino ha ripercorso la nascita e le tappe del processo della riduzione del danno da pratica di attivismo («una prospettiva, applicabile a tutte le tipologie del consumo» ha detto nel corso del suo intervento) dal triangolo del clinico e ricercatore Norman Zienberg (definire la droga che si consuma, la persona che la usa e in quale contesto), passando per le politiche di Pat O’Hare negli anni Ottanta (Inghilterra, dove viene inventato il programma di scambio siringhe, evitando il passaggio di siringhe usate da persona a persona) e Franz Trautmann

«Una droga in sé e per sé – dice Di Pino citando Zienberg – non è pericolosa ma dipende dall’uso che ne fai, e questo dipende da chi sei e da dove sei, dove hai imparato ad usarla, che leggi ci sono. E soprattutto, se qualcuno perde il controllo nell’usare le sostanze, dobbiamo capire come fanno gli altri invece a non perderlo».

Tenere le persone in vita

Con Pat O’Hare cambiano gli obiettivi di salute pubblica, perché a quel punto non si parla più di salvare le persone, ma di tenerle in vita, tenerle in salute. «Si comincia a parlare di riduzione del danno con Pat O ‘Hare che nel 1985 era membro di una commissione di salute pubblica. Trautmann individua la chiave per intervenire sul consumo di droghe nel supporto tra pari che si danno le persone che consumano sostanze. E per chi eroga servizi è fondamentale comprendere cos’é quel supporto».

Foto di Victoria_Watercolor da Pixabay

Negli anni Ottanta in Italia si sviluppa un discorso sulle droghe che ancora ci portiamo appresso: la logica è quella dell’aut-aut, «o fai come dico io o non ti aiuto, e non esiste che ti dia le siringhe o che ti faccia il drug checking, ovvero, tu mi porti la sostanza che vuoi consumare e io ti dico se effettivamente si tratta di quello che tu hai scelto». Da qui possiamo identificare la riduzione del danno di seconda generazione, riferibile a tutte quelle situazioni di consumo consapevole di sostanze e limitato nel tempo, come accade nelle discoteche, nei rave. 

Sostanze e legalità

Con Susanna Ronconi, responsabile del Comitato Scientifico di Forum Droghe, negli ultimi anni si torna a Zienberg e si parla di diritti umani, di libertà, – «tutt’oggi in Italia un terzo dei detenuti ha violato un solo articolo di legge, quello che punisce il piccolo spaccio» – di spazi dove chi vuole usare e usa sostanze può parlare con personale qualificato e in totale riservatezza per avere informazioni, materiale e supporto medico, confronto con altri consumatori e operatori. 

L’intervento di Marco Falconieri di Carovanacoop ha cercato poi di far luce sulla narrazione del legame tra consumo di sostanze e tematiche di genere. «Quando parliamo di chemsex si tratta di sesso consensuale – ha chiarito il vicepresidente della cooperativa bolognese – non di violenza sessuale».  

I primi riferimenti al chemsex risalgono al 2016, con articoli su Libero e su una rivista online dal titolo “Osservatorio Gender” che la definivano “la seconda peste gay”. «La narrativa intorno al fenomeno è molto mistificatoria – ha proseguito Falconeri -. Se ne parla in termini negativi sopratutto perché è una pratica che coinvolge uomini che fanno sesso con uomini e prevede l’utilizzo di sostanze». Nel suo intervento Falconieri ha poi analizzato le difficoltà con cui le persone Lgbtq+ riescono ad accedere – o a non accedere – ai servizi connessi alla riduzione del danno. 

Prevenzione e riduzione del danno

La locandina che riunisce gli eventi sul tema della riduzione del danno, organizzati da Spazio 161.

L’intervento conclusivo è stato affidato a Barbara Bonvicini, vicepresidente dell’associazione Meglio Legale e co-ideatrice del podcast “Stupefatti” in cui racconta le politiche di riduzione del danno nel mondo. Di approccio radicale, la vicepresidente ha rimarcato che la politica e i politici «non hanno la minima idea di cosa accada nel mondo oggi». Ha poi raccontato la sua esperienza conclusa nei giorni scorsi di assistente all’unico consigliere radicale eletto nel 2018 in Lombardia per dire cosa possono fare le istituzioni a livello nazionale, regionale e comunale. 

«L’alfabetizzazione sulle sostanze è volutamente latitante. Se in Europa la riduzione del danno si fonda su quattro pilastri, mentre in Italia se ne contano solo tre, questo accade perché si assimila la prevenzione alla riduzione del danno». Si tratta di una contraddizione alla cui base si mette l’astinenza come unico approccio per ridurre il consumo di sostanze, ed è una scelta ideologica.

«Il consenso e il potere sono le due malattie infantili della democrazie rappresentative – ancora Bonvicini – Consenso e potere impediscono di fare analisi qualitativa del lavoro svolto in passato, perch* o sale al potere chi c’era già prima e quindi va tutto bene, o sale al potere chi prima era all’opposizione e quindi si cancella tutto quello fatto prima». 

Capire la realtà del fenomeno

«Mancano chiavi di lettura di lungo periodo del fenomeno – ha sintetizzato ancora Bonvicini – come ad esempio il testo unico sugli stupefacenti, uno dei più repressivi in Europa, che ha fallito nel voler eliminare il consumo, la criminalità organizzata, lo spaccio. Alle istituzioni serve la volontà politica di cambiare le cose. Basta voler cambiare le leggi basandoci sulle evidenze che abbiamo oggi». 

Prezzo, criminalità, mercato, qualità sono tutti elementi cambiati rispetto al quadro del testo unico sulle droghe. Oggi assistiamo al sodalizio tra ‘ndrangheta e Cosa Nostra, che hanno saputo togliere il monopolio dei laboratori della coca ai colombiani acquistando le loro strutture. «Serve un approccio dialogico con il potere, cercando di capire le sue dinamiche nel rapporto con i cittadini e tra le istituzioni» ha riassunto ancora la conduttrice di Stupefatti. 

«Esiste un diritto formalizzato al 2017, laddove un anonimo ha scritto negli elenchi del Lea di inserire la riduzione del danno. Era sufficiente prevedere come finanziarla in modo standardizzato, come accade in Piemonte, unica eccezione italiana ad oggi. E si può intervenire con i fondi europei». 

Il primo passo secondo i relatori è quindi uscire da una prospettiva ideologica e avulsa dalla realtà, per vedere le sostanze come un aspetto della società da gestire nel rispetto dei diritti umani e civili. 

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