Quando si parla di immigrazione, di rotte e di frontiere nel contesto europeo più recente, quasi inevitabilmente si viene subissatida numeri e statistiche, dimenticando spesso che il tema riguarda prima di tutto persone. Esseri umani. Donne, uomini e bambini. E purtroppo ci si abitua a guardare quelle cifre fredde e pur indignandosi inizialmente, si guarda ben presto altrove, immersi nel nostro incedere quotidiano. Succede, però, che scappando dalla guerra in Siria un bambino di sei anni muoia insieme alla sua unica speranza di avere non tanto una vita migliore, ma anche solo una semplice vita. E l’indignazione, in quel caso, è ancora più grande. Quello che d’altronde sta succedendo al confine greco-turco in questi giorni appare agli occhi di tutti gravissimo (ne ha parlato ieri, sulla nostra testata, Giulio Saturni ), con i profughi siriani, in fuga dalla guerra nel loro Paese, accampati ormai da anni in Turchia in condizioni vergognose e ora lasciati liberi di “andare” dal Presidente turco Erdogan per un mero calcolo politico, con lo scopo cioè di mettere in questo modo pressione all’Unione Europa per ottenere qualcosa in cambio. Dal canto loro i poliziotti greci stanno barbaramente usando le “maniere forti” (per usare un eufemismo) allo scopo di  blindare il loro confine e in tutto questo l’Europa, per il momento, sta a guardare, senza muovere un dito. Ne parliamo con Valerio Nicolosi, giornalista e fotoreporter di guerra che in questi giorni sta documentando quanto avviene sull’isola di Lesbo e lungo il fiume Evros, che segna il confine tra la Grecia e la Turchia, non distante dalla Bulgaria: «La politica di tolleranza zero da parte della polizia greca ha già causato due morti fra i siriani: quella di un ragazzo di 22 anni colpito da una pallottola di gomma da parte della Polizia greca e quella di un bambino di sei anni, annegato quando il gommone su cui stava viaggiando si è rovesciato. Parliamo di geopolitica, ma ci dimentichiamo di parlare delle persone.» 

Valerio Nicolosi

Qual è l’attuale situazione ai confini?

«Al momento è tutto chiuso. È molto difficile documentare quello che sta succedendo perché non ci si può nemmeno avvicinare: essendo una zona militare di frontiera lì c’è l’esercito e nessuno è autorizzato a fare fotografie o riprese video. A Lesbo, invece, la situazione è diversa: si può tentare di raccontare cosa sta succedendo, anche se rimane comunque molto complicato perché la guardia costiera tende a nascondere quello che accade. Gli sbarchi sono autonomi e accadono il più delle volte all’interno del porto dell’isola. Al tempo stesso la situazione lì è letteralmente esplosa perché ci sono gruppi di persone che, insieme a militanti di estrema destra, stanno facendo degli agguati ai profughi e ai volontari armati  di bastoni e a volte, come è successo la scorsa notte, di pistole. La tolleranza è zero, sia nei confronti dei migranti sia dei volontari che li accolgono e assistono.»

Di Lesbo e delle isole greche, però, abbiamo già sentito parlare molto nei mesi scorsi per via dei campi profughi, collocati in aree remote, scarsamente servite e conpessime e inumane condizioni igienico sanitarie. Quella di Lesbo e delle isole greche era un’emergenza umanitaria a tutti gli effetti ancora prima di essere definita da tutti come “crisi” dopo che il presidente turco Erdogan ha deciso di aprire il confine verso la Grecia ai quattro milioni di rifugiati siriani presenti nel Paese.

«É senz’altro una crisi umanitaria, ma credo sia anche una crisi politica. Il governo turco, di fatto, ha voluto crearla ad arte gettando benzina sul fuoco. Le isole di Lesbo, Chios e Samos sono isole di arrivo, ma al tempo stesso sono i luoghi di partenza per molti migranti che, dopo aver raggiunto Atene, continuano il loro percorso sulla rotta Balcanica verso la Germania, la Svezia e altri paesi europei. Il governo ha sempre usato quelle isole come trasbordo, ma nelle ultime settimane per esempio, non è mai stato portato via nessuno. Ed è bastata una scintilla, ovvero l’apertura dei confini da parte del presidente Erdogan per far esplodere la situazione, che oggi risulta estremamente critica: prima che Erdogan aprisse le frontiere, l’isola ospitava già 20.000 migranti a fronte di 20.000 abitanti. Questo comporta ovviamente una situazione di collasso dal punto di vista sanitario e sociale. L’ospedale di Lesbo è sovraccarico e i servizi in generale sono un problema per i profughi ma anche per la popolazione locale. Sono tutti allo stremo, ma questa è stata una volontà politica.»

Quando parliamo di governo, non ci riferiamo ad un singolo membro, quello greco in questo caso: parliamo dell’intera Unione Europea che con le sue scelte politiche, in una svolta di amara ironia, ignora la propria ambiguità e le proprie discrepanze giuridiche, che contribuiscono alla violazione dei diritti umani sia dei richiedenti asilo sia degli operatori umanitari.

«Ieri c’è stata la visita della presidentessa della Commissione e del Parlamento. Ciò che emerge dalla posizione dell’Unione Europea è che l’unica cosa che si vuole tutelare sono i confini: il presidente francese Emmanuel Macron ha detto che è vicino alla Grecia e che supporta in pieno il suo governo nella difesa dei propri confini, come se dall’altra parte ci fosse un esercito e non un popolo che stanno scappando prima dalla guerra nel proprio Paese, la Siria, poi  dai centri di detenzione per migranti finanziati dall’Unione Europea in Turchia. La Frontext, l’agenzia di controllo di frontiera dell’UE, ha già dichiarato che invierà altri rinforzi lungo il confine. In questo momento le navi di fronte a Lesbo sono tre e  una di queste è una classe 200 della Guardia Costiera italiana. Anche l’Italia ha un ruolo di responsabilità in questo e staremo a vedere come si comporterà.»

Nel frattempo un ragazzo è morto al confine di terra, colpito da proiettili di gomma della polizia greca… 

«Lungo il confine di Evros, l’esercito presidia ogni centimetro dei 120 km di frontiera fra Grecia e Turchia. A Lesbo, invece, la polizia non sta facendo nulla, lasciando i gruppi di estrema destra picchiare migranti e volontari e minacciare le ONG con pistole e con coltelli. Insomma, ciò che sta mettendo a soqquadro intere aree dell’isola è questo atteggiamento, da una parte, di tolleranza zero verso i migranti e, dall’altra, di tolleranza estrema, totale, verso la violenza degli estremisti.»

C’è una risposta a questo estremismo da parte dei cittadini di Lesbo?

«Ci sono dei nuclei di cittadini che stanno reagendo, ma in generale tutta la popolazione di Lesbo è stanca ed è comprensibile. L’isola si è fatta carico per troppo tempo di questa situazione. E chi protesta avrebbe anche ragione, ma sbaglia obiettivo: il problema non sono certo i migranti che arrivano, ma l’Unione Europea che non permette di sbloccare e quindi risolvere questa situazione. Il problema è riconducibile al Trattato di Dublino e fin quando i migranti che arrivano in Grecia, in Italia, a Malta o in Spagna saranno obbligati a restare in questi paesi perché i primi di approdo, non ci sarà una soluzione davvero europea a questo problema.»