«L’obiettivo è far ripartire Verona»
Intervista a Flavio Tosi che si ripropone - appoggiato, fra gli altri, da Forza Italia e Italia Viva - come sindaco della città dopo i due mandati nel periodo 2007-2017.
Intervista a Flavio Tosi che si ripropone - appoggiato, fra gli altri, da Forza Italia e Italia Viva - come sindaco della città dopo i due mandati nel periodo 2007-2017.
Torna il sindaco. Lo slogan elettorale di Flavio Tosi di certo dimostra le intenzioni di voler riportare Verona a una visione della città che negli ultimi anni sembra essersi rovesciata. Una visione che può essere condivisa o meno ma che al netto del colore politico mira a dare un respiro nazionale a una città troppo spesso sotto i riflettori per ragioni ideologiche. Tosi torna in campo (come aveva annunciato, per la prima volta, proprio al nostro giornale tre anni fa) con l’intenzione di aggiungere un terzo mandato agli altri due, presentandosi con il sostegno di Forza Italia, Italia Viva e altre otto liste. Lo abbiamo intervistato alla vigilia del “silenzio” elettorale.
Tosi, intanto un bilancio in vista delle elezioni. Rispetto alla Sua esperienza di sindaco quali cambiamenti ha avvertito nella città? E soprattutto che cosa ritiene che possa essere importante ripristinare o comunque riportare a Verona?
«Diciamo che alla base c’è la sicurezza, la pulizia, l’ ordine e tutto quello che fonda la convivenza civile. Oggi questi elementi indispensabili mancano. Poi c’è tutto il resto: gli investimenti nelle infrastrutture e i grandi eventi, al di là della stagione lirica che c’è sempre stata e sempre ci sarà. Il turismo è passato da essere di qualità ad uno più “mordi e fuggi” e questo significa che il valore della proposta si è abbassato.»
Una delle cose che ha sempre criticato dell’amministrazione uscente è che ci sia stato immobilismo, che la città abbia preso una piega per così dire più ideologica rispetto alla Sua, per portare la città ad un livello internazionale. Dal punto di vista anche personale che cosa si propone di completare che all’epoca non riuscì a portare a termine?
«Non riuscimmo a terminare l’iter per il traforo delle Torricelle. Arrivammo ad aggiudicare la gara all’inizio del 2013, nel frattempo c’era stata la crisi del 2008 – 2009 e l’impresa non era più in grado di procedere. Questo, insieme ai temi dell’Ikea e dell’Arsenale, diventano i tre grandi temi da sviluppare e su cui procedere subito.»
Venendo ai quartieri, come vede necessario intervenire su Verona in questo senso? L’immobilismo di cui accusa l’Amministrazione sembra essersi trasmessi alle singole circoscrizioni, che si sono sentite rimbalzate nelle loro proposte
«Nei quartieri c’è stata la chiusura degli uffici periferici. Sboarina li ha chiusi tutti. Sono stati tolti anche molti centri di aggregazione, come al Saval dove ballavano gli anziani. La sensazione che si ha è di totale abbandono dei quartieri. Durante la campagna elettorale cinque anni fa, Sboarina si era impegnato a valorizzare i quartieri ma ha fatto l’esatto contrario.»
Prima ha parlato dell’abbassamento della qualità del turismo. Si è già confrontato con le associazioni di categoria?
«Ho parlato con gli albergatori, con i locatori turistici, con la Confesercenti, la Confcommercio, con la corporazione degli esercenti del centro: tutti lamentano il fatto che gli eventi sono qualitativamente più bassi, e questo è un fatto non politico, ma molto concreto. È sufficiente guardare alle grandi mostre. È pur vero che Sboarina ha dovuto fronteggiare due anni di Covid, ma è altrettanto vero che ha avuto tre anni senza Covid. In cinque anni non c’è stata una grande mostra che sia una.»
Ha in mente qualcosa che vorrebbe portare a Verona a livello culturale?
«Oltre a riprendere la tradizione delle grandi mostre a Palazzo Forti e alla Gran Guardia, che va alimentata, c’è un altro punto da ricordare: hanno detto di aver realizzato un sistema museale unico, mentre è fondamentale mettere a sistema tutto il patrimonio pubblico e privato. Il Comune dispone dei propri musei e monumenti, la Diocesi ha la Biblioteca capitolare e le meravigliose chiese, la Sovrintendenza ha il Museo statale a San Tommaso. Cariverona ha altri edifici e spazi espositivi. Ci sono i privati, vedi Palazzo Maffei. Bisogna mettere a sistema tutto questo patrimonio, fare una fondazione che metta insieme risorse, percorsi bigliettazione, da proporre al turista mostrando tutta l’offerta disponibile.»
In un’intervista che ha rilasciato alcuni giorni fa, lei parlava del rilancio di Verona come capitale della scultura in bronzo. Ha in mente altre iniziative in questo senso?
«Diciamo che va valorizzato il patrimonio cittadino e le più grandi fonderie d’Italia erano proprio a Verona. Piazza Bra, Piazza Erbe, tutto il centro sono un museo a cielo aperto e lo si può usare per fare questo tipo di scelte. Puoi trovare grandi artisti che possono esporre le loro opere e se sei innovativo nell’offerta il turista è sicuramente ricettivo. Se l’offerta è al contrario vecchia o mal proposta il turista va altrove.»
Ricordiamo che lei aveva criticato il congresso della famiglia a suo tempo…
«Ha squalificato Verona, che è una città moderna è la porta d’Europa letteralmente, attraverso la Val d’Adige. Quel congresso ha dato della famiglia un’idea del secolo scorso, perché nel frattempo il mondo è cambiato, la società è cambiata, la famiglia è cambiata e Sboarina non se ne è reso conto.»
Veniamo a un tema economico. Sulle partecipate che idea ha?
«Sboarina ha impiegato quasi cinque anni per fare quello che aveva trovato pronto quando si è insediato, cioè mettere insieme Agsm Verona con Italia Emme Vicenza. Ha fatto il tentativo maldestro di consegnarci a Milano e non ci è riuscito, però ha buttato nel frattempo cinque anni. Per quanto riguarda Agsm bisogna che ci aggreghiamo anche con Trento e fare una grande multiutility territoriale, competitiva sul mercato ma legata al territorio. Anche i sistemi fieristici si stanno alleando: Vicenza con Rimini facilmente si metteranno insieme a Bologna, Milano si sta alleando con Parma. Se restiamo da soli, prima o poi faremo la fine di Cattolica, di Banco Popolare e anche della Cassa di Risparmio. Bisogna pensare ad un sistema di alleanze prima di subirle. E poi c’è il dramma dell’aeroporto. Oggi Verona ha uno scalo di un livello inaccettabile, sia per il turismo sia per il bacino di utenza, che è di circa 5 milioni di abitanti, che avresti ma non hai più. Avresti infatti Brescia, Mantova, Trento, Bolzano, Vicenza e adesso vanno tutti a Bologna, Bergamo Venezia. Verona come area aeroportuale non viene presa in considerazione.»
Parlando invece di mobilità cittadina, qual è la prossima scaletta?
«Riprendere da subito in mano il traforo, ci sono ancora i 53 milioni di A4 Autostrade come contributo a fondo perduto. Non è pianificabile fino a Verona nord perché oggi è cambiata la finanza e quindi quell’opera che un tempo poteva essere sostenibile oggi non lo è più, Rimane ancora possibile intervenire sulla parte più importante, quella che va da Poiano a Ca’ Di Cozzi, sempre a quattro corsie e sempre coperto, quindi galleria delle Torricelle e galleria artificiale fino a Ca’ di Cozzi. Per quanto riguarda il filobus, la gestione di Sboarina è stata una catastrofe, con tanti alberi tagliati inutilmente. Oggi con la tecnologia che c’é, il trasporto pubblico di massa deve essere full electric. Il filobus deve sostituire gli autobus, un’opera non impattante anche sul trasporto privato perché c’è un equilibrio delicato. Il trasporto elettrico in generale, e l’idrogeno più avanti, sono le sfide alle quali Verona si deve preparare.»
Qualità della vita: togliere i cittadini dalle auto e farli lavorare in smart working. Qual è la sua opinione?
«Lo smart working ha francamente pregi e difetti . Di fatto chi sta a casa non spende, non va al bar, non va nei negozi. Lo dico brutalmente: l’economia risente negativamente dell’uso massiccio dello smart working. C’è anche un tema di socialità: in un mondo che già comunica con difficoltà, lo smart working rappresenta un ulteriore motivo di distanza.»
Una considerazione sugli altri candidati e sui sondaggi?
«Con gli altri candidati siamo, a livello di percezione, tutti molto vicini. Si rischia che a decidere sia chi non andrà a votare, il fenomeno dell’astensionismo è una grande preoccupazione. La crisi economica, le bollette alle stelle, la guerra. L’elettore ha mille cose a cui pensare e il timore è che l’astensionismo diventi il fattore determinante alle urne.»
Su Sboarina si è espresso più volte nel corso degli anni. Come vede Damiano Tommasi?
«Damiano Tommasi paga la sua totale inesperienza. Bravissima persona, ma non è in grado di fare il sindaco.»
E il rapporto con Michele Croce? Pensa che ci sarà modo di costruire qualcosa di concreto dopo il voto? Ci rifermiamo alle polemiche legate alla gestione delle partecipate...
«Spero che ci siamo reciprocamente chiariti. A volte il confronto anche aspro aiuta a chiarirsi sui rapporti interpersonali. Abbiamo un obiettivo comune che è far ripartire Verona.»
Una considerazione: la sua visione è molto concreta nella gestione della città, senza dimenticare l’attenzione per gli equilibri della politica nazionale. Pensiamo all’appoggio di Italia Viva…
«Renzi ha fatto un ragionamento pragmatico: ha scelto di allearsi con chi gli sembra davvero in grado di amministrare la città.»
Anche Tommasi in questo senso vuole fare della sinergia il punto di forza, al di là del colore politico. L’identità dei candidati passa in secondo piano rispetto alla concretezza del progetto di amministrazione.
«Sicuramente a livello locale le questioni ideologiche passano in secondo piano rispetto al progetto e alla capacità della persona.»
Come vede Verona nel quadro politico nazionale?
«Semplicemente siamo spariti.»
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