Sarà il Texas a salvare l’America? Può sembrare paradossale che lo Stato emblema dell’individualismo, la “Stella solitaria” (Lone star state è il soprannome per essere stata una repubblica indipendente affrancatasi dal Messico) possa essere il cardine su cui basare il rilancio degli Usa.

Eppure il libro del premio Pulitzer Lawrence Wright, “Dio salvi il Texas. Viaggio nel futuro dell’America”, fa luce sugli stereotipi con cui da sempre si racconta questa porzione di Stati Uniti. La presentazione che si è tenuta martedì 3 dicembre alla Società Letteraria, organizzata dall’Associazione Italia – Stati Uniti d’America, è stata l’occasione per Verona di ascoltare il giornalista del New Yorker e per cambiare, almeno in parte, le idee più comuni sullo Stato, ad oggi il secondo più popoloso dopo la California, che sta rapidamente prendendo il largo dalla semplicistica immagine di “terra di cowboys”. Sono cambiate e di molto le cose, rispetto a quando Wright era ragazzo e «il Texas era un paese interamente repubblicano, mentre la California era democratica. Ricordiamoci che Lyndon Johnson era texano, mentre la California ha prodotto Ronald Reagan.»

Due Stati, due poli magnetici, che per l’autore costituiscono il dinamismo statunitense. Peccato che la California abbia imboccato la strada di una spesa pubblica dissennata, con conseguente dissesto dei conti pubblici e l’esplosione della pressione fiscale. «Oggi, nonostante abbia recuperato in parte sul piano finanziario, la California continua a perdere abitanti: la gente se ne va per paura dei terremoti, ma anche per le tasse – sottolinea il giornalista -. Certo, c’è la Silicon Valley, il settore dell’entertainment è forte, ma anche il Texas ha sviluppato altri settori strategici e non è più solo legato al petrolio. La gente viene a viverci, apportando al Paese un peso crescente in termini elettorali.»

Al centro, il traduttore Alessandro Tapparini con Lawrence Wright, durante la presentazione alla Società Letteraria

Mutamenti concreti che potrebbero comportare un cambio di scenario: il Lone Star State, abituato a ragionare come un territorio che resta ai margini della politica, tra poco potrebbe diventare l’emblema di una trasformazione pesante, perché la demografia sta cambiando e l’elettorato sta calando la sua preferenza per la destra repubblicana.

«Il Texas viene raccontato da sinistra, anche negli Stati Uniti, come un Paese senza cuore, il cui unico modello politico è Donald Trump. Per la destra è invece il posto migliore dove fare affari: in entrambi i sensi sarà comunque qui il futuro degli Usa. Se lo sarà, nel bene o nel male, dipende da quanto i suoi elettori prenderanno coscienza di avere questa responsabilità. Oggi non ci siamo ancora arrivati, i texani sono abituati a restare ai margini della politica americana, ma se si vuole dare futuro migliore all’intero Paese, bisogna diventarne consapevoli. Altrimenti se mantengono una posizione ai margini, ecco che potranno diventare un elemento di destabilizzazione. D’altronde – continua Wright – i difetti ci sono: la giustizia sociale è carente, manca una rete di supporto a chi resta indietro. Se ci sarà un candidato democratico che riuscirà a captare questa tendenza, potrebbe cambiare tutto a livello elettorale nazionale. Ma se i dem non sapranno cogliere questa opportunità, non vedo speranze di cambiamento.»

All’orizzonte è difficile capire se un candidato a sinistra ci sia realmente. «Stanno cercando un eroe, se non lo trovano perdono e pure male. È ciò che accade anche in altri Stati: Arizona, Georgia, Florida, si stanno spostando più al centro. Sarà perdente qualunque candidatura che però andrà troppo a sinistra. L’unica speranza è puntare all’elettore che si è stancato della destra, però attualmente in area democratica non sono molto orientati. Un motto dice che quando il partito democratico si dispone lungo la linea di fuoco, si mette in cerchio.»

Il problema dell’immigrazione lungo il confine con il Messico è un tema controverso, che sta influenzando non solo la politica nazionale, ma anche cambiando lentamente gli equilibri interni. «Vivere in zona di confine è molto diverso rispetto ad altre aree degli Stati Uniti, è quasi una realtà separata – riprende Wright -. La vita in questi territori è attraversata da un continuo flusso di persone. Ci sono mesi in cui si raggiungono picchi di anche 15mila persone che passano il confine. Per far fronte all’incremento della delinquenza, c’è tantissima polizia: credo che El Paso oggi sia una delle città più sicure in assoluto. E non è solo il Messico ad essere protagonista del flusso migratorio: dal Centroamerica in molti vogliono raggiungere gli Usa, soprattutto da El Salvador o dal Guatemala, sia per ragioni economiche sia per esportare traffici illeciti. Però fare un muro non è la risposta: l’unica cosa che si deve intensificare è il controllo di chi arriva.» Se sul piano sociale la presenza di cittadini di origine latinoamericana è un’evidenza numerica importante, tanto da parlare di minoranze diventate maggioranza relativa, come accade ad esempio a San Antonio, non c’è però pari rappresentanza politica, per la debole propensione al voto. «La comunità latina fatica ancora ad esprimere i propri leader rappresentativi, sembra un gigante addormentato. Ma se si sveglierà, potrà apportare un grande cambiamento.»

Il solitario Texas sta insomma assumendo il volto della stella più brillante, grazie non solo al suo Pil che supera quello dell’intero Canada, ma anche a un modo pragmatico di guardare al futuro degli Usa. Se la crisi petrolifera degli anni Settanta avrebbe infatti potuto metterlo definitivamente in ginocchio, è stata l’innovazione tecnologica del fracking ad aprire nuove possibilità estrattive dei gas naturali di profondità. Il Texas non ha convertito le fonti energetiche puntando sul carbone, che è altamente inquinante, ha invece potenziato l’estrazione di petrolio, tanto che oggi gli Stati Uniti esportano più dell’Arabia Saudita, e soprattutto ha investito nelle fonti eoliche, con le quali riesce a coprire un sesto del fabbisogno energetico interno*. «L’impatto del fracking esiste, ma l’inquinamento ambientale sta migliorando – puntualizza Wright -. Siamo a un punto di passaggio, l’evoluzione sarà nelle rinnovabili.»  

Lawrence Wright mentre firma le copie del suo ultimo libro

Oltre allo stereotipo del petroliere con il sigaro, che moltissimo cinema ha contribuito a consolidare nell’immaginario collettivo, un altro elemento tipicamente texano trova spazio nel dialogo del giornalista con il pubblico veronese: la musica. Appassionato ascoltatore di diversi generi, Wright è pure musicista, suona in una band e attualmente sta scrivendo un musical. «Sono di Austin, e ho vissuto il cambiamento della scena musicale degli anni Settanta, quando ad ogni genere corrispondeva un pubblico diverso. Non c’era connessione tra stili, non si comunicava. Finché non è arrivato Willie Nelson che abbatté i muri tra le diverse culture musicali: mescolava, jazz, blues, country music, spiritual, tanto che adesso la musica texana vuole essere tutto insieme, non solo country, e ciò è diventato il suo punto di forza che la rende peculiare.»

Ci vorrà ancora del tempo prima che il musical sia finito, anche se ammette di non essersi mai divertito tanto a scrivere. Forse nemmeno per la pubblicazione di questo ultimo libro, steso sotto forma di memoir, in parte di saggio, critica politica, autobiografia, scritto in tono colloquiale. La traversata del Texas di Wright è un’istantanea ma anche un documento per cercare di capire quale sarà il volto degli Usa nei prossimi anni, soprattutto quando gli americani dovranno tornare alle urne. Luci ed ombre messe su carta e raccontate dall’autore, che però non nega una certa nostalgia di casa, dopo tanto viaggiare per promuovere il libro. Un animo propriamente texano, bisognoso di tornare alla quiete di una quotidianità semplice, che però subisce il fascino di Dante e della sua vita in esilio. «Beh, se mi dovesse capitare di fare la stessa esperienza di esule politico, chiederei di venire qui, a Verona.»

*per un errore di traduzione, il dato è stato corretto, dall ’80 per cento al 18 per cento, che corrisponde a un sesto del fabbisogno energetico del Texas.