Chi si aspettava di ascoltare gran parte del repertorio dei Dire Straits è rimasto deluso. A 27 anni di distanza dalla mitica doppia comparsata in Arena (11 e 12 settembre 1992) con la mitica band inglese (e a “soli” tredici dal concerto con Emmylou Harris  del 2006), il cantante e chitarrista scozzese Mark Knopfler è tornato a Verona, per una serata che ha registrato il tutto esaurito nell’anfiteatro romano. Erano in quasi tredicimila sugli spalti, infatti, a inneggiare all’ex frontman della band che fra la fine degli anni Settanta e i primi anni dei Novanta vendette oltre 120 milioni di dischi. Knopfler, accompagnato da una nutrita band di onesti musicisti (fra cui il sempiterno Guy Fletcher che con i Dire Straits registrò gli ultimi due album e un live) ha riservato al pubblico veronese, nell’ultima tappa italiana del suo “Down the River Wherever Tour”, soprattutto le hit folk-country-blues del suo repertorio da solista. E dire che i Dire Straits erano soprattutto lui. Soprattutto, ma non tutto, direbbe qualcuno.

Il pubblico – formato in gran parte da ultracinquantenni e onestamente, vista anche l’età di Knopfler (un grandioso settantenne) ci saremmo stupiti del contrario – ha comunque dimostrato di apprezzare. Erano in molti, ieri sera, ad essere stati anche fra i presenti di quel mitologico concerto dei Dire Straits del ’92, in quello che peraltro poi rappresentò il loro tour d’addio alle scene. L’energia sprigionata da quell’ora e venti minuti risicati di 27 anni fa ancora risuona nel cuore e nella testa di molti di loro ed è anche per questo, forse, che la performance di ieri sera, risultata sì di gran classe e musicalmente ineccepibile, ha energeticamente un po’ deluso, tranne che per qualche passaggio. La carriera solista di Knopfler, d’altronde, è tutto fuorché “rock”, amando spaziare molto fra generi più compassati e, se vogliamo, raffinati.

C’è ancora un po’ di luce del giorno quando, alle 21.20, la band entra fra gli applausi dell’Arena e attacca la musica. Si comincia, subito, con un terzetto di canzoni come “Why Are Man”, “Corned Beef City” e l’intramontabile hit “Sailing to Philadelphia” a introdurre la serata. Canzoni che rappresentano un po’ i cavalli di battaglia del Knopfler solista. Al quarto brano ecco una piccola chicca: “Once Upon a Time in the West” (dall’album “Comuniqué” del 1979) che accende i primi entusiasmi dei nostalgici. Subito dopo una se vogliamo scontata “Romeo and Juliet” (che a Verona Knopfler non si può proprio esimere dal suonare) e poi il ritorno al repertorio solista, con “My Bacon Roll” e “Matchstick Man”, nell’introduzione della quale scopriamo da un insolitamente ciarliero Knopfler alcuni episodi personali legati alla sua giovinezza. Dopo “Done with Bonaparte” si ritorna su un altro grande classico dei Dire Straits, introdotto dal sax del bravo Graeme Blevins: la suadente “Your Latest Trick”, accolta fra l’entusiasmo dei fan. L’atmosfera – accentuata dalle luci violette – a quel punto vira un po’ troppo su tonalità alla “Montecarlo Nights” e viene in qualche modo confermata anche nel brano successivo, la divertente “Postcards from Paraguay”, dal sapore sudamericano, che esaltano la qualità dell’ensemble, capace di ricreare agevolmente vari tipi di sonorità. Si arriva, così, verso la fine della performance grazie alla coinvolgente “On every street” e il suo incredibile crescendo finale.

Il pubblico dell’Arena, intento a registrare video durante “Money for Nothing”

La sessione, poi, termina con una splendida “Speedway at Nazareth” che dà un tocco più rockeggiante, fin qui un po’ mancato, al concerto. La band esce, ma acclamata rientra dopo poco per eseguire una splendida versione di “Money for Nothing”, che libera finalmente le energie un po’ represse del catino dell’Arena, anche se – dobbiamo sottolinearlo – che tristezza vedere tutti immobili, fermi, intenti a riprendere con i propri smartphone la band che sul palco si danna l’anima per suonare il brano. Knopfler, comunque, per un attimo ci appare ancora quello che trent’anni fa, fascetta in testa e dita veloci sulle corde, aizzava le folle oceaniche di tutto il mondo che la sua band riusciva ad attirare. Altri tempi, forse, ma il leone è ancora là, sul palco, a dimostrare quanto è bravo. L’ultimo brano, come da tradizione, è dedicata alla strumentale “Going Home: Theme From Local Hero” che da sempre chiude i concerti del chitarrista albionico.

Un grande abbraccio, dunque, quello di Verona al grande artista britannico, che ha ricambiato con aneddoti, sorrisi e soprattutto una performance convincente, anche se non sempre “sciolta”. La sua ars chitarristica non si discute, ma di certo gli anni passano per tutti e anche lui, che comunque ha dichiarato di non volersi certo fermare qua (“adoro tutto questo”, ha spiegato in uno dei numerosi dialoghi, riferendosi al pubblico, che lo inneggiava), un po’ paga pegno. Però la voce, inconfondibilmente profonda che con il tempo sembra addirittura migliorare, e una tecnica inarrivabile, rendono il suo show familiare e divertente allo stesso tempo, nonostante qualche momento un po’ troppo “compassato”, non adatto di certo a chi si aspettava di sentire le sonorità più “solid rock” del tempo che fu.