La scuola contro i pugni
Il caso di Manduria e le violenze nella scuola: eventi isolati o sintomo di un malessere più profondo?
Il caso di Manduria e le violenze nella scuola: eventi isolati o sintomo di un malessere più profondo?
La violenza, chiave comunicativa dei nostri tempi.
Qualche giorno fa lo scandalo dei fatti di Manduria, con una gang di ragazzini dall’empatia probabilmente molto bassa che, per noia, ha ucciso un pensionato. Un gruppo di adolescenti violento perché abbandonati a se stessi e al vuoto, come afferma una madre dei ragazzi in una recente intervista.
L’impressione è che la società sia sempre più incattivita. E alla scuola – ché alla naja obbligatoria non ci crede più nessuno – viene demandato il compito di formare e di “raddrizzare questi ragazzi”. A Manduria evidentemente con risultati scadenti, tanto più che, a quanto pare, si sapeva.
La scuola può qualcosa contro la violenza?
Intanto, la vive. Le notizie di cronaca ci raccontano dicotomicamente di maestre che picchiano gli alunni (l’ultimo caso il 3 maggio) ma, molto più spesso, di genitori e alunni che malmenano i docenti ritenuti colpevoli di aver punito i figli: il caso siciliano della madre che manda all’ospedale la dirigente che l’aveva ricevuta è l’ultimo di una lunga serie. E ci si interroga: noi chiediamo una generazione di giovani flessibili, onesti, diligenti, moralmente retti. Ma gli adulti che li hanno messi al mondo e/o li educa, che modello offrono?
Può essere la reintroduzione dell’educazione civica la soluzione allo smarrimento di un codice morale? O la simbolica cancellazione della nota sul registro nella scuola primaria, nella sua logica coercitiva e punitiva? La violenza rimane: subita, diventa linguaggio anche per i figli; ed è pure innegabile che il suo fascino è onnipresente in tv, nelle canzoni dei giovani, nelle serie televisive.
“La scuola come antidoto perché educa al confronto”, si dice
La prima palestra di vita che ci impone la relazione e il confronto sia orizzontale sia verticale sta diventando però una scatola vuota. I docenti hanno perso autorevolezza: un ceto atomizzato e sfiduciato in un mondo, amplificato da utenti social a cui non piacciono né gli studiosi né gli scienziati, senza contare che il reclutamento spesso è stato talvolta inteso anche come collocamento di persone senza altre prospettive. Un corpo docente di qualità presuppone alta selezione, grande impegno e corrispondente stipendio. Il che non è.
Docenti portatori dei valori sociali
Che valori può trasmettere un docente, oltre l’esempio personale? I valori culturali della parte più anziana del corpo docenti si rifà al pensiero di sinistra degli anni Settanta-Ottanta, ovvero ancora ideologico: rispetto dell’altro e della diversità, uguaglianza, spirito di gruppo, inclusione, frugalità, contrasto alla deriva capitalista. Ovvero, il contrario di quanto l’attuale sistema economico propone oggi. Il prototipo del perfetto diplomato di un liceo di Scienze Umane, per esempio, oggi si ritroverebbe assolutamente a disagio per desideri e valori coll’attuale turbocapitalismo. Molto diverso, come sostanza, il percorso tecnico e professionale che, tuttavia, mira più ad addestrare che al pensiero divergente. Il modello di riferimento qui è la stretta connessione tra scuola e azienda, come in Giappone trent’anni fa, Paese non è noto per la libertà intellettuale. E questo sistema, con la robotizzazione e la globalizzazione, non garantisce nemmeno il lavoro.
La linea del Governo
Forse anche per ovviare a questo smarrimento, il Governo ha recentemente rivisto l’esame di Stato e proposto un nuovo percorso di cittadinanza e costituzione. Un progetto nelle intenzioni lodevoli, ma guardiamolo meglio.
Queste le intenzioni: c’è però la realtà
Recentissimi dati Istat sulle scuole medie mostrano un decadimento progressivo e un’inesorabile nella capacità di comprensione e di alfabetizzazione dei ragazzi. Alunni poco preparati giungono a un liceo (il 55% degli studenti) che, non potendo bocciarli tutti, abbassa il livello minino per evitare ricorsi, dispersione scolastica, pressioni genitoriali. O, semplicemente, di veder scappare gli alunni verso altri istituti più comprensivi (è il mercato, bellezza!).
È un conflitto sulla qualità degli apprendimenti, sembrerebbe
Una scuola che, per il 34% degli alunni, certifica il falso, licenziando cittadini nel futuro incapaci di svolgere il proprio dovere di cittadino per mancanza di capacità di comprensione e, tuttavia, convinto dal titolo di essere assolutamente qualificato. Ma il bello è che il punto non è il livello culturale, che è solo un sintomo in realtà della sua marginalità.
Il fatto è che i ragazzi di Manduria (e non solo) se ne sbattono della proposta culturale della scuola dell’obbligo, della qualità della proposta didattica, della Cittadinanza e della Costituzione perché, come molti loro coetanei, non ne vedono il senso o anzi lo vedono fin troppo: una scelta netta tra una scuola che forma addetti, senza un senso più profondo, o umanisti in disarmonia con l’attuale periodo storico. A loro non interessa alcunché. Ed ecco la scelta di tirarsi fuori dalla contesa, dicendo no a entrambe.
L’intervista della madre citata all’inizio è nodale: la verità è che di questi giovani non sappiamo cosa farcene e non sappiamo cosa dir loro. Bisogna lavorare, non c’è tempo e perciò si delega ad altri la loro cura, gestione, educazione e crescita. Preoccupati perché la “linea di custodia” sia garantita da un responsabile (non possono uscire soli da scuola fino alla maggiore età) ma non di cosa fanno in quel tempo. E cosa fanno?
Si trasformano
L’articolo di Mauro Magatti sul Corriere rilancia quanto già analizzato da Baron-Cohen in La scienza del male: l’empatia dei nostri ragazza sta sparendo mentre le reti sociali scompaiono sostituite dalla tecnologia che crea connessioni ma non rapporti. L’empatia zero negativa è, per molti studiosi, il requisito base dello psicopatico. Ecco dunque che, per i ragazzi come quelli di Manduria, la pietà è opzionale, ma il filmato su Whatapp da condividere no.
E noi?
Le famiglie, quando ci sono, hanno da fare e, spesso, dimostrano valori antitetici alla cosiddetta morale. Lo Stato, allora, si dice, dovrebbe intervenire. Si dovrebbe occupare di fornire ai ragazzi i contenuti, di occupare il loro tempo libero e instillare in loro i valori della Costituzione e della Cittadinanza. Dovrebbe riempire i ragazzi di senso. E magari riavvicinarli all’empatia.
L’individualismo liberale, unito alla tecnologia, ha cambiato le carte in tavola: alla pericolosa solitudine dei pariolini o alla fame di sangue delle schegge impazzite del sottoproletariato pasoliniano si sta sostituendo una solitudine antropologica diffusa, di sistema.
In questa fase storica è evidente che, quindi, la scuola così com’è non è una risposta sufficiente all’atomizzazione ferina delle nuove generazioni. Né le famiglie sono sempre in grado di trasmettere valori e senso, sempre che ne abbiano. L’economia, d’altra parte, punta all’isolamento perché il bisogno di colmare il vuoto stimola il commercio.
Non basta gridare allo scandalo. Bisogna, a questo punto, riprendere in mano la politica e stabilire cosa vogliamo essere da grandi. Decidere cos’è giusto o sbagliato, e cos’è un uomo.