Dal 1 ottobre la curva dei contagi da Covid-19 sta aumentando esponenzialmente in tutto il paese, comprese le regioni uscite sostanzialmente indenni dalla prima ondata della pandemia, come la Toscana e la Campania. 

Il motivo era facilmente prevedibile: abbassando la guardia dopo la fine del primo lockdown, vissuto da gran parte della popolazione con angoscia e una massiccia dose di insofferenza, il “nemico” ha trovato nuovo terreno fertile per attaccare i soggetti maggiormente esposti al contagio, i quali a loro volta hanno inevitabilmente contribuito, insieme al consistente numero di asintomatici, ad allungare la catena della trasmissione del virus.

La “timidezza” del governo nel prendere fin da subito decisioni drastiche ed impopolari, e la mancanza di un efficiente sistema di tracciamento dei contagi, hanno fatto il resto. La realtà infatti è che il governo, in Italia, non ha investito in un sistema accurato di tracciamento delle probabilità di contagio, ovvero sulla conoscenza sistemica dei veri numeri della pandemia in corso. Ma senza una fotografia chiara e nitida della situazione, delinearne i contorni e agire di conseguenza risulta assai difficile.

In Veneto si è addirittura scoperto che la app Immuni, strumento che poteva contribuire a raccogliere quelli che vengono comunemente definiti “open data”, ovvero dati dettagliati sui contagi diffusi accessibili a tutti, è stata di fatto boicottata dalle istituzioni locali nel momento in cui i dati non venivano correttamente caricati. Il fatto in sé è di una gravità assoluta, soprattutto in una fase come questa, determinante per la tenuta dell’economia e della salute pubblica del paese. Eppure proprio in Veneto, precisamente a Vo’ Euganeo, si era verificato il 21 febbraio scorso il primo decesso per Coronavirus Sars-Cov-2 in Italia. E fu solo ed esclusivamente il contributo scientifico del professor Andrea Crisanti, Ordinario di Microbiologia all’Università di Padova (dove è anche direttore del Dipartimento di medicina molecolare e del Laboratorio di microbiologia e virologia dell’Azienda Ospedaliera), a consentire al governatore Luca Zaia di gestire correttamente la prima ondata nella regione che amministra. Crisanti decise allora di effettuare il tampone sull’intera popolazione di Vo’ Euganeo e lo studio che ne conseguì, effettuato in collaborazione con l’Imperial College di Londra, proprio per l’eccezionalità dei dati e la loro pubblica utilità fu reso accessibile in via preliminare dalla prestigiosa rivista Nature già in aprile (e poi interamente pubblicato a giugno, nda) ed è considerato fondamentale dalla comunità scientifica internazionale nella lotta al virus. In quello studio, il professor Crisanti sostiene e dimostra che confinamento e uso massiccio dei tamponi sono l’unico modo per tenere sotto controllo il propagarsi del virus, evitando così scelte più drammatiche per economia e salute pubblica.

Da mesi i virologi e gli epidemiologi sollecitano governo e regioni a dotarsi di un database nazionale che raccolga in modo sistematico dalle singole ASL le informazioni cruciali sulle circostanze in cui il virus si trasmette: la lotta al virus ha assoluto bisogno dei dati. Secondo gli esperti, il migliore investimento per supportare l’economia e migliorare la qualità della vita che si può e si deve fare ora è dunque quello di creare un sistema di sorveglianza attiva in grado di farci convivere con bassi livelli di trasmissione virale, anche perché non sappiamo se e quando un vaccino sarà disponibile.

Nella loro lettera al Corriere della Sera del 17 ottobre scorso anche Giorgio Alleva e Alberto Zuliani, entrambi già presidenti Istat, lo ribadiscono con estrema chiarezza: “In tanti mesi non abbiamo investito in un sistema di raccolta di dati che consenta un monitoraggio accurato su probabilità di contagio, dimensioni delle componenti sintomatiche e asintomatiche, collegamento con i rischi successivi, ricoveri e terapie sub-intensive e intensive, letalità. (…) Non è citando insieme, giorno per giorno, il numero di casi positivi e di tamponi effettuati che possiamo capire cosa stia accadendo realmente”.

Tutto ciò assume maggiore rilevanza nel momento in cui il governo sta di fatto contribuendo ad un pericoloso quanto schizofrenico rimpallo tra allarmi ed allarmismi, che non consente ai cittadini di avere una percezione chiara e netta del pericolo che corriamo nel sottovalutare l’importanza delle misure di tracciamento e contenimento. In questi mesi si è lasciato troppo spazio a posizioni di pura propaganda politica da parte di soggetti che hanno usato l’emergenza in atto per attaccare il governo e fomentare pericolosi atteggiamenti di “ribellione sociale”, funzionali solo ed esclusivamente a garantire maggiori consensi alle urne nelle elezioni regionali dello scorso 20 settembre. 

Dovrebbe essere chiaro invece che, di fronte ad una pandemia globale, la politica non ha e non può avere gli strumenti per salvaguardare la salute pubblica senza riferirsi e appoggiarsi alla comunità scientifica per affrontare la crisi sanitaria in modo efficiente e razionale. Il risultato di una comunicazione governativa approssimativa e timorosa di scontentare le categorie produttive ha condotto ad una situazione che vede i cittadini disorientati, quando non apertamente ostili di fronte a scelte dolorose, ma necessarie. Se da un lato infatti il governo impone ai cittadini misure di contenimento poco convincenti come il coprifuoco notturno, i banchi con le rotelle nelle scuole e il divieto di cene private con più di sei ospiti (senza peraltro prevedere strumenti efficaci di controllo), dall’altro consentiva a maggio un sostanziale “liberi tutti” che ha indotto la popolazione ad un rilassamento psicologico proprio nel momento in cui, al contrario, l’allerta doveva essere massima. E il risultato della debolezza della leadership del premier Giuseppe Conte è nei numeri: la produzione industriale in Italia tra gennaio e luglio è diminuita del 16,8% rispetto ai primi sette mesi del 2019 (Fonte Istat) e anche tenendo conto del fisiologico aumento del 7,4% nel trimestre maggio-luglio, dovuto alla ripresa delle attività post lockdown, c’è ben poco di cui rallegrarsi. 

Contestualmente, le scelte fatte finora non sono servite ad evitare al Paese la seconda ondata dell’epidemia, che sta producendo effetti sulla salute pubblica difficilmente prevedibili nell’immediato futuro, proprio per la mancanza di una strategia complessiva che veda scienza e politica alleate nel contenimento del virus. E se ieri le persone ricoverate in terapia intensiva erano 926, una settimana fa, ovvero il 14 ottobre, erano 539, circa la metà. È questo il dato che allarma e sul quale si stanno modulando gli interventi, con la consapevolezza che oltre le 2.300 persone in condizioni gravi il sistema rischia di collassare e un nuovo lockdown si renderà necessario. Lo studio dell’Iss (Istituto Superiore di sanità) sugli scenari di crisi ha inoltre già individuato il livello “alto”, il peggiore, in tre settimane consecutive di Rt oltre l’1,5.

La Cina ci sta dimostrando che solo l’uso massiccio dei tamponi sull’intera popolazione e l’adozione a macchia d’olio delle misure di contenimento (uso delle mascherine, igiene delle mani, distanziamento, orari scaglionati di accesso ai mezzi pubblici per le scuole) consentirebbe il normale svolgimento delle attività produttive nel Paese, scongiurando il rischio di un nuovo lockdown. Strategia che, guarda caso, il gigante asiatico ha “copiato” proprio dallo studio del professor Andrea Crisanti sulla popolazione di Vo’ Euganeo.  A Qingdao, città di undici milioni di abitanti, una settimana fa hanno scoperto dodici positivi. Dodici. Su undici milioni. Il governo cinese ha immediatamente disposto che l’intera popolazione fosse sottoposta a tampone, e ne sono stati effettuati quasi nove milioni in cinque giorni. In Italia, il 21 ottobre, eravamo a 15.199 nuovi casi e 177.848 tamponi effettuati. 

Come dire? Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito.