Come prevedibile, visto l’inverno secco e poco ventoso, ancora una volta Verona oltrepassa le soglie giornaliere delle PM10. L’Arpav dirama l’allerta arancio su tutto il Veneto, salvo Belluno, e scattano immediati i blocchi della circolazione per i veicoli fino a Euro4, salvo deroghe. Ebbene sì, ci risiamo: inquinamento, sconfinamenti, polveri sottili, aria irrespirabile, domeniche senza auto, car pooling, ne sentiamo di tutti i colori, con buona pace di chi possiede vetture, nemmeno troppo datate, che subiscono limitazioni alla circolazione. Dall’oggi al domani i cittadini si trovano così appiedati e costretti a modificare le proprie abitudini quotidiane. Tra catastrofisti e scettici, la polemica impazza. Viene da chiedersi se sia banale allarmismo giornalistico, vista la discontinuità informativa, o se viceversa occorra prendere davvero seriamente la questione, sollecitando cambiamenti normativi e adeguando i nostri usi e costumi ad una sempre più difficile gestione dell’inquinamento antropico. Non è facile proporre una risposta, vista la quantità di variabili che determinano la qualità dell’aria a livello locale e soprattutto affrontando un tema che è influenzato da una moltitudine di variabili che si interconnettono tra di loro in modo non ancora del tutto comprensibile dalla scienza. Sicuramente un’analisi dei dati pubblicati periodicamente dall’Arpav, ente regionale preposto anche al controllo della qualità dell’aria, possono essere d’aiuto, quantomeno ad avviare una riflessione.

Partiamo dunque dai famosi PM (Particulate Matter), miscela di particelle solide e liquide che si trovano in sospensione nell’aria, causate da fenomeni naturali (quali gli incendi boschivi), ma soprattutto da attività antropiche, quali le combustioni non industriali che incidono per quasi il 70% e i trasporti che incidono poco meno del 20%. I PM si dividono in Pm10 e nelle ancor più piccole Pm2,5, una parte di queste PM si forma per reazioni chimiche in atmosfera, e in generale le PM di un territorio non dipendono direttamente dallo stesso. Entrambe le PM menzionate sono state messe in diretta correlazione con le malattie respiratorie. Lo dicono i medici e gli scienziati del settore, non certo solo i giornalisti. Per quanto riguarda le Pm10 la tendenza nazionale degli ultimi quindici anni è stata positiva (intesa come diminuzione della concentrazione nell’aria), con cali anche del 30%/40%. Dal 2012 si è scesi continuativamente sotto alle soglie limite come media annua, ma permane uno sforamento dei tetti giornalieri, in gran parte nelle aree della pianura padana. È proprio quella degli sforamenti la criticità più rilevante riscontrata anche con specifico riferimento al 2018 in Veneto e a Verona, anno decisamente migliore rispetto al precedente come concentrazioni medie, ma che conferma sforamenti dei limiti superiori ai 35 gg annui in quasi tutte le centraline del Veneto, salvo alcune ubicate in territori montani. Tale criticità appare ancor più rilevante se si analizza come molti degli sforamenti si siano registrati in inverno e in particolare nei mesi di gennaio e febbraio, con una continuità non certo salutare per i cittadini; possiamo parlare quindi di criticità stagionale.

Come interpretare questi dati? Innanzitutto, così come segnalato dalla stessa Arpav nella relazione annuale sulla qualità dell’aria, redatta ai sensi della L.R. n. 11/2001 a commento delle statistiche raccolte nel 2017, «il particolato Pm10 resta ancora l’inquinante più critico per la qualità dell’aria nel Veneto». Tale segnalazione è un dato di fatto inequivocabile. Riscontrare che le Pm10 sono in netta diminuzione analizzando un orizzonte temporale più che decennale, significa volgersi ad un certo ottimismo, visto che la situazione appare in continuo e consolidato miglioramento. Pertanto, pur mantenendo un’attenzione sulle politiche di riduzione delle emissioni, appare del tutto insensato un periodico allarmismo dei media, spesso incentivato da un’osservazione di serie storiche di breve periodo, decisamente irrilevanti se si vogliono analizzare seriamente temi complessi quali l’inquinamento. Appare ancor più fuori luogo se ci si concentra sui dati relativi ad altri agenti inquinanti rilevati dalle stazioni Arpav sul territorio quali benzene, piombo, arsenico, nichel, cadmio, per citare i più importanti, considerati gravemente dannosi per la salute umana e abbattuti sensibilmente nell’ultimo ventennio e in larga parte quasi assenti nell’aria che oggi viene respirata in Veneto, sempre secondo le statistiche Arpav. Si può quindi affermare, pur con le dovute prudenze, che l’inquinamento dell’atmosfera attuale non sia quantomeno peggiore rispetto ad un ventennio fa, anzi le statistiche parlano di un miglioramento sensibile, ancor che logicamente non visibile a occhio nudo. Le politiche poste in essere in questi anni a livello nazionale e locale, oltre alla maggiore sensibilizzazione dei cittadini, hanno dunque ottenuto qualche risultato apprezzabile, seppur ancora non completamente soddisfacente.  Come cittadini non abbiamo percezione di questi risultati conseguiti, probabilmente perché nel passato non c’era adeguata informazione, non vi erano dati disponibili, in generale si viveva con minore consapevolezza la questione dell’inquinamento atmosferico, pur in anni in cui interi ambiti della società si muovevano all’insegna dell’ambientalismo. Sarebbe però sbagliato oggi, analizzando con cura gli accadimenti, trascurare le tendenze positive e i provvisori risultati ottenuti lasciandosi andare a sconforto e stupore ad ogni allerta dell’Arpav, ad ogni titolone sui giornali. Più difficile è comprendere se i blocchi del traffico, le targhe alterne, le domeniche senza auto o infine una limitazione dei riscaldamenti privati e industriali, possano aver inciso sulla tendenza positiva registrata in questi anni.

Gli esperti ne discutono in maniera accesa proponendo visioni diverse, rimane per tutti la difficoltà di creare modelli di analisi e valutazione della correlazione provvedimenti contro l’inquinamento e variazione della qualità dell’aria attendibili. Certamente qualcuno semplicisticamente potrà affermare che certi provvedimenti male non fanno, in molti sono concordi nell’affermare che agire su base locale sia scientificamente inefficace, ma probabilmente è comunque utile nel sensibilizzare i cittadini, nel creare un senso civico, nello sviluppare una maggiore attenzione alle proprie abitudini e all’impatto che esse hanno sull’inquinamento. Rimane un dato di fatto che per un qualche motivo da quando le amministrazioni locali si sono sensibilizzate al problema e lo hanno affrontato con provvedimenti evidentemente necessari, pur non sufficienti, qualcosa sia migliorato. Non sembra, però, ragionevole e produttivo sedersi sugli allori di risultati positivi conseguiti in questi ultimi anni, in questo senso si possono senz’altro interpretare gli alert dell’Arpav. Occorre che la politica sempre più intervenga in modo integrato non solo a livello locale, forse nemmeno a quello nazionale, con provvedimenti al passo con le sempre nuove scoperte scientifiche, a tutela della salute dei cittadini, ma è altresì necessario che questi ultimi nel tempo adattino il proprio stile di vita consapevolmente. Basti pensare che è proprio il riscaldamento delle abitazioni uno dei principali inquinanti dell’aria nelle nostre città.