A Bruxelles è stato raggiunto un accordo tra Parlamento, Consiglio e Commissione europea  sulle emissioni gas climalteranti delle auto: dal 2035 tutte le auto e i furgoni immatricolati nell’Unione europea dovranno essere a emissioni zero BEV (Battery Electric Vehicle).

A questo si aggiunge un ulteriore, non meno impegnativo, obiettivo intermedio: ridurre al 2030 le emissioni di CO2 del 55% rispetto al 2021 per le auto e del 50% per i furgoni nuovi.

L’accordo rispecchia, nella sostanza, la proposta della Commissione Von der Leyen ma, dando seguito alle rimostranze espresse negli ultimi mesi da alcuni stati membri tra cui l’Italia, ha anche introdotto alcune correzioni al testo originale, in particolare:

  1. una deroga agli obblighi per i piccoli produttori (cosiddetto emendamento “Salva-motor valley emiliana”) che riguarda soprattutto il nostro Paese
  2. il permesso di immatricolare, anche dopo il 2035, auto con motore a combustione interna  se alimentate con carburanti “climaticamente neutrali”.

L’accordo tratta di un cambiamento epocale al quale costruttori, governi e consumatori si dovranno preparare per non arrivare in ritardo allo storico appuntamento.

Espressioni di soddisfazione e impegno

La presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen ha scritto «L’accordo politico odierno tra il Parlamento europeo e il Consiglio Ue sulla vendita di auto nuove a zero emissioni a partire dal 2035 è una pietra miliare cruciale per raggiungere il nostro obiettivo climatico per il 2030. Stimolerà l’innovazione e la nostra leadership industriale e tecnologica».

Motus-E, associazione che raccoglie gli stakeholder italiani della mobilità elettrica ha commentato: «Anche il nostro Paese ha dimostrato di voler accogliere le novità contenute in questo accordo, che non possono prescindere da una strategia industriale imperniata su produzioni europee che ci affranchino, in prospettiva, dalla dipendenza di altri paesi concorrenti a quelli europei. Per attuare questo c’è bisogno di visione, di chiarezza e programmazione e di grandi investimenti. Come rappresentanti della filiera della mobilità elettrica siamo pronti a supportare il nostro Paese e il Governo italiano».

Tredici anni per rivoluzionare la mobilità

L’Europa, seppur pressata dall’emergenza climatica, si concede quindi tredici anni per rivoluzionare la propria mobilità automobilistica, la struttura industriale che la alimenta e la rete distributiva e gestionale che la sorregge.

Sono sufficienti tredici anni per trasformare la produzione automobilistica, convertire le raffinerie di petrolio e i distributori, produrre nuova energia elettrica rinnovabile sufficiente ad alimentare il nuovo parco auto?

Gli stati europei tra cui l’Italia, con questo accordo, dichiarano che la sfida è accettabile e si può vincere.

Occorre fare in fretta  per proteggere competitività e posti di lavoro del settore automotive in Europa, minacciati dalla crescente avanzata cinese delle auto elettriche a prezzi più bassi e con maggiore offerta di modelli.

Dubbi e perplessità sul ruolo e l’impegno dell’Italia

Per il nostro Paese però molti sono gli elementi che sollevano dubbi e perplessità.

L’accordo europeo arriva pochi giorni dopo l’insediamento del nuovo governo italiano, sorretto da una maggioranza politica che nel suo insieme non assegna un’analoga priorità all’accelerazione del processo di decarbonizzazione del nostro benessere.

Due dei tre partiti della maggioranza hanno già partecipato con ruoli di primo piano a precedenti governi senza mostrare particolare sensibilità agli indirizzi energetico-climatici di Bruxelles.

I Ministri maggiormente coinvolti: Pichetto Frattin di Ambiente e sicurezza energetica e Matteo Salvini di Infrastrutture, trovano mediaticamente più efficace affermare che il nuovo governo «è favorevole sia alla sperimentazione del nucleare di nuova generazione sia a proseguire la ricerca e l’estrazione del gas dai fondali marini», nonostante questi argomenti siano irrisori e poco praticabili.

Pichetto Fratin, nel suo primo intervento pubblico al Forum automotive di Milano, parlando delle scelte da fare nel settore automobilistico, si è limitato laconicamente a sostenere che «l’Italia è per la neutralità tecnologica». Un punto di vista certamente riduttivo, che non considera le misure da prendere per sostenere l’industria e la mobilità nelle trasformazioni sancite dall’accordo europeo.

La posizione della Presidente del Consiglio

La presidente Giorgia Meloni, nel suo discorso di insediamento alla Camera, ha dimostrato maggiore sintonia con i piani europei quando ha affermato che «servono investimenti strutturali per affrontare l’emergenza climatica».  

Però successive sue affermazioni come: «Quello che ci distingue da un certo ambientalismo ideologico è che noi vogliamo difendere la natura con l’uomo dentro. Coniugare sostenibilità ambientale, economica e sociale» danno adito a interpretazioni non proprio rassicuranti, non solo per la mobilità ma anche per molti altri aspetti della Transizione Energetica.

Affermare l’indiscutibile esigenza di coniugare sostenibilità ambientale, economica e sociale senza contestualmente definire il punto di equilibrio, la priorità assegnata a ognuno dei fattori, all’interno del trilemma “economia, ambiente, sicurezza energetica”, non chiarisce le reali intenzioni del governo, non indica quali interessi intende prevalentemente rappresentare e non garantisce sulla coerenza della sua azione nel perseguire l’obiettivo europeo concordato.

L’Italia, come al solito, invece di proporsi come leader e beneficiaria del cambiamento, rischia fra tredici anni di trovarsi in ritardo e mendicare poi comprensione presso i partner europei.

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