Sono iscritto all’Ordine dei Giornalisti del Veneto dal 2002, collaboro da quasi vent’anni con varie testate locali (radiofoniche, online e cartacee) e sono ovviamente dispiaciuto (ma non indignato… l’indignazione me la tengo per questioni ben più importanti, anche se questa non è di poco conto) quando il politico di turno se la prende con la stampa, a dir loro “prezzolata” (per usare un eufemismo rispetto ai termini usati). Dico di turno, perché Di Maio e Di Battista non sono certamente i primi e non saranno certamente gli ultimi. È una consuetudine antica quella di attaccare i media, soprattutto quando si è un po’ in difficoltà. Giusto, comunque, manifestare a favore della libertà di stampa e contro questo atteggiamento quasi intimidatorio da parte di alcuni esponenti del Governo.
Detto questo, approfitto dello “spunto” per fare alcune brevi considerazioni. Perché penso che su certi argomenti i giornalisti, prima di arrabbiarsi, dovrebbero innanzitutto riflettere. In primis siamo onesti fino in fondo: è assolutamente vero che la stampa non sia (completamente) libera. E non lo è non certo per colpa dei giornalisti in sé, ma di certi (tutti) editori, che ovviamente non vedono di buon occhio gli articoli che magari vanno a scoprire magagne che riguardano i loro (molteplici) interessi. E questo vale per De Benedetti, Berlusconi, Cairo, ma anche per la società che gestisce il piccolo quotidiano o la tv locale. Vale, in generale, per tutti i media: radio, giornali, televisioni, internet e via dicendo. Vale, è giusto dirlo, anche per quella “controllata” dalla Chiesa. Non si è liberi, nel senso che quando si toccano certe tematiche arriva magari l’input dal direttore o addirittura la correzione in pagina all’ultimo minuto. Questo lo sanno tutti coloro che operano nel settore ed è fin troppo banale dirlo. Così come certi attacchi sono certamente mirati e anche questo è inutile nascondercelo. Senza fare le finte verginelle, a noi appare anche un po’ ovvio che sia così. Questo vale per tutti i settori lavorativi e non si capisce bene perché questo debba fare eccezione. Basta saperlo e comportarsi di conseguenza, adottando gli opportuni “vaccini”. Risulterebbe sempre importante attingere l’informazione da una pluralità di fonti che abbraccino lo spettro più ampio possibile, dai giornali di destra a quelli di sinistra passando per quelli che vengono considerati più neutrali. Mi impressiona sempre vedere nei film americani o inglesi il protagonista di turno comprare tre o quattro giornali alla volta in edicola. Da noi le edicole stanno invece lentamente sparendo, per dire (anche se non sono informato su un eventuale analogo fenomeno in Gran Bretagna o negli States).
E qui arriviamo anche al secondo punto. Perché la vera, grande vergogna che riguarda la stampa è lo sfruttamento del giornalista. Non stiamo parlando dei grandi nomi, di quelli “arrivati”, che solitamente guadagno molto. Stiamo parlando delle migliaia di giornalisti che ogni giorno devono sbarcare il lunario, come si suol dire. Si tratta di un mestiere di base bello, bellissimo, ma che definire precario è poco. Lo si fa con grande passione, ovviamente, ma forse non tutti sanno che spesso bisogna aspettare dieci, quindici, in qualche caso vent’anni per riuscire a trovare una vaga stabilità economica. E da quando c’è l’online – ormai da tanti anni – la situazione è ancora più complicata, con articoli pagati quando va bene pochi euro. Con l’aggravante, poi, che a differenza del medico, dell’ingegnere o dell’avvocato, qui tutti pensano di sapere come si svolge il mestiere e c’è chi ha l’arroganza di dirtelo pure (dandoti ironicamente del “giornalaio” invece che del “giornalista”). Insomma, oltre al danno, la beffa.
L’Ordine dei Giornalisti secondo me è su queste situazioni che dovrebbe intervenire. Togliere il patentino da giornalista a Di Maio e Salvini (come da molti invocato) sarà pure un segnale importante, non lo metto in dubbio, ma è solo simbolico e francamente poco efficace. Dubito che i suddetti se ne dispererebbero poi molto, tutt’al più che è stata anche paventata l’abolizione dello stesso Ordine, figuriamoci. Su tutto il resto, invece, si può e, secondo me, si deve intervenire.