Dopo quindici anni di governo leghista, il Veneto si prepara a una tornata elettorale che può segnare una svolta. L’impossibilità per Luca Zaia di ricandidarsi ancora una volta come Presidente apre uno spazio politico e simbolico nuovo, in una regione dove la distanza tra centro e periferia, tra città e provincia, tra servizi e bisogni, si è progressivamente allargata. È in questo contesto che si inserisce la candidatura di Elisa La Paglia (assessora del Comune di Verona alle politiche educative e scolastiche, Biblioteche, Edilizia scolastica, Salute e servizi di prossimità, ndr), che sostiene Giovanni Manildo alla guida della coalizione di centrosinistra.

La Paglia, lei parla molto del valore del confronto tra territori. Che cosa rappresenta per lei questa dimensione “plurale”?

«Vengo da una famiglia metà siciliana e metà abruzzese, e penso che questa pluralità sia un valore aggiunto. Verona è la mia città, ma credo che il confronto con altri territori e altre esperienze ci permetta di allargare lo sguardo e trovare soluzioni nuove a problemi che non sono solo nostri. Mettersi nei panni degli altri, capire come altrove si affrontano le stesse sfide, è il modo migliore per costruire buone politiche.»

Tra le battaglie a lei più care ci sono quelle per le politiche di genere. Quali passi concreti vede ancora necessari in Veneto?

«Le donne democratiche hanno fatto tanto negli anni, dalla conciliazione ai diritti fino alle politiche di genere più ampie. C’è ancora molto da fare: ampliare i servizi 0-6 anni, renderli più accessibili, modulare gli orari e i costi, migliorare la qualità e l’equità d’accesso. Quando abbiamo cambiato il metodo d’iscrizione ai centri estivi del Comune di Verona, per esempio, abbiamo permesso a molti più bambini con disabilità di partecipare: non è solo una questione burocratica, ma di giustizia sociale.»

Da assessora lei ha spesso insistito sul concetto di “rete”. È davvero possibile costruirla nel sistema sociosanitario veneto?

«È complicato, ma necessario. Il futuro dei servizi sociosanitari passa da un’alleanza tra i diversi attori. Dobbiamo tenere insieme le famiglie, dai più piccoli agli anziani: se non costruiamo questa rete, non saremo mai una società del ben-essere. Per troppo tempo, in Veneto, si è ragionato per compartimenti stagni. I diversi settori della sanità, l’assistenza, l’educazione devono dialogare.»

Elisa La Paglia, con Giampaolo Trevisi, a Corte Molon sabato scorso, per la presentazione della campagna elettorale

Lei è molto critica rispetto alla gestione regionale della sanità. Perché dice che Verona è “ultima” in Veneto?

«Perché lo è nei fatti, dalla classifica delle liste d’attesa alla sperimentazione del nuovo sistema informatico sanitario regionale, che ha causato gravi disagi a pazienti e operatori. Siamo stati ultimi anche nell’attuazione del basso rischio ostetrico, partito a Verona per ultimo con dieci anni di ritardo, il prossimi mesi saranno cruciali per la scelta dei direttori generali, Verona merita il meglio. Eppure, parliamo di questioni cruciali per la vita delle persone. Il Partito Democratico difende la medicina di base, la prossimità, il medico e il pediatra di famiglia come primo accesso alla salute. È lì che si gioca l’universalità del servizio.»

A Verona, però, avete promosso anche sperimentazioni sanitarie innovative. Penso al progetto sui disturbi dell’apprendimento.

«Sì, è un progetto di cui sono molto orgogliosa. Come Comune abbiamo garantito lo screening gratuito di tutti i bambini di prima elementare sui disturbi dell’apprendimento, offrendo due anni di logopedia gratuita. È nato dal lavoro con le psicologhe dell’ulss9 e con il Rotary, che hanno messo in luce un bisogno reale. I risultati sono stati importanti: il 30% dei bambini ha colmato il proprio gap nei primi due anni, tutti hanno avuto un miglioramento significativo, evitando così ritardi che avrebbero compromesso tutto il percorso scolastico. È una spesa che oggi sosteniamo da soli come Comune, ma che dovrebbe essere per tutti e a carico della Regione. Perché è una misura che cambia la qualità della vita dei bambini, delle classi e delle famiglie.»

Sul tema scuola lei parla spesso di “qualità ed equità”. Da dove si parte per renderle effettive?

«La scuola pubblica deve tornare ad essere il motore dell’uguaglianza. In Veneto, invece, le famiglie si trovano a pagare rette altissime, anche 800 euro al mese per un nido, e perfino l’insegnante di sostegno, in alcuni casi. È inaccettabile. In altre regioni queste spese non esistono. Se l’accesso all’istruzione dipende dal reddito, non siamo più dentro la Costituzione. Dobbiamo rimuovere questi ostacoli economici, che oggi discriminano i bambini già nei primi anni di vita. Gli strumenti ci sono, ma vanno resi universali, non lasciati alla buona volontà e piccole casse dei singoli Comuni.»

Un altro nodo cruciale nella vita delle persone è quello della casa e del diritto all’abitazione. Lei cita numeri molto precisi.

«Sì, in Veneto ci sono ottomila appartamenti regionali dell’Ater vuoti e oltre diecimila famiglie in lista d’attesa. È una sproporzione che racconta tutto. Abbiamo cercato di dare risposte a Verona, anche grazie agli accordi di Agec con il terzo settore, mettendo a disposizione case per i lavoratori poveri. Ma serve una politica regionale che sblocchi davvero il patrimonio pubblico e che veda la casa come un diritto, non come un favore.»

In questa campagna lei sostiene Giovanni Manildo. Cosa la convince del suo progetto politico?

«Mi convince la sua idea di Veneto come comunità solidale, che mette al centro le persone, non le appartenenze. Manildo parla di una regione che non si rassegna a essere ultima, che vuole recuperare il ritardo su sanità, scuola e diritti sociali. È un progetto che condivido perché parte dall’ascolto e dalla concretezza. Non promesse generiche, ma un metodo fatto di partecipazione, rete e responsabilità.»

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