“In Dante ci devono essere delle gravi turbe psichiche”, così Massimo Fini in un suo articolo del 2020 (reperibile online)[1], e ancora “È un manicheo (…) è un moralista insopportabile a un occhio moderno (…). In un colpo solo son sistemati i brutti, i grassoni, le persone che non corrispondono a un canone di bellezza standard, le donne, gli omosessuali”.

La provocazione di Fini si basa su una lettura della prima cantica che non riesco a condividere, ma che ugualmente intercetta quello che è un pregiudizio di molti nei confronti del Sommo Poeta.

Omofobo, hater, misogino Dante si merita il Purgatorio[2], così è intitolato un altro articolo a cura di Camillo Langone, dove leggiamo espressioni ancor più provocatorie.

La sensazione è che Dante sia indiscutibilmente “padre della lingua italiana”, “sommo poeta”, ma in altri aspetti sia molto più discutibile. Il Sommo Alighieri e il piccolo Dante, così come era intitolato appunto l’articolo di Massimo Fini dal quale ho deciso di prendere avvio.

Pare che Dante sia il “solito medievale” e questo sospetto serpeggia trasversale tra appassionati, cultori, divulgatori, non addetti ai lavori, accademici. E non mancano testi e studi autorevoli di dantisti che insistono su un Dante reazionario, conservatore, figlio del suo tempo.

Ovviamente, “senza nulla togliere” alla grandezza poetica. Peccato che in Dante la grandezza poetica sia concorde alla grandezza morale, essendo la sua opera portatrice di un messaggio di rinnovamento politico, sociale, spirituale senza precedenti (e ancora inascoltato), basti solo pensare all’ultima fatica dello studioso Gianni Vacchelli, dal titolo “Dante Anticapitalista”.

Avevamo visto in altro articolo il Dante grande poeta ma “pessimo marito”. Non poteva ovviamente mancare il Dante misogino (sul quale ho scritto un libro) e – in generale – un Dante hater che condensa tutto il peggio dei pregiudizi medievali.

Foto da Unsplash di Casey Lovegrove

Leggere Dante nella sua interezza

Come sempre è preferibile muoversi nella complessità. Dante va contestualizzato a livello storico – ci mancherebbe – e va inquadrato all’interno del suo progetto, quello di scrivere il più grande poema epico (pagano) cristiano di tutti i tempi.

D’altro canto, Dante va letto nella sua interezza e non isolando singole terzine per dare sostegno alle proprie tesi. Dante ha un suo pensiero tondo, articolato, ampio, condivisibile o meno, che cerca di mantenere in equilibrio tutti gli aspetti dell’umano e del divino e tutto questo viene portato avanti non senza tensioni e ferite, ma sempre con grande coerenza e lucidità.

Un pensiero che si pone a volte in continuità con i propri tempi (penso solo alla dimensione mistico-trascendente), dall’altra in maniera fortemente critica.

A questo riguardo propongo volentieri alcuni spunti di riflessione tratti da un libro di Teodolinda Barolini, “Il vento di Aristotele”, edito da La nave di Teseo nel 2024, che raccoglie e traduce 18 saggi scritti che coprono un periodo che va dal 2006 al 2022.

In alcuni di questi saggi, la studiosa italo-americana propone un Dante inedito, un Dante che si sente “attratto dalla differenza” che si pone con “simpatia verso l’altro”, proponendo soluzioni originali rispetto agli indubbi stereotipi di genere o razziali del suo tempo.

L’Inferno senza stereotipi

Propongo alcuni assaggi, rimandando poi alla lettura del libro per chi avrà piacere di approfondire.

L’immaginazione di Dante è “non stereotipizzante” e in questo l’Inferno di Dante pone già alcune soluzioni spiazzanti. Nel mondo medievale l’usuraio per eccellenza era l’ebreo, questo in Italia e in Europa. Anche dal punto di vista iconografico, “le rappresentazioni visive dell’Inferno erano piene di ebrei contemporanei raffigurati con i tipici stereotipi antisemiti (naso aquilino, copricapi frigi, la borsa con i soldi)”.[3]

Niente di tutto questo in Dante, dove nel canto XVII dell’Inferno dove incontriamo gli usurai perennemente dannati nel cerchio settimo, e non saranno ebrei alla Shylock, ma famiglie fiorentine o padovane: Gianfigliazzi, Obriachi e Scrovegni, ognuno con la propria borsetta e con il proprio stemma araldico.

Omosessualità e rispetto

Passiamo al tema dell’omosessualità. Sì, esiste nel poema un girone per i seguaci di Sodoma, appunto gli omosessuali, ma anche in questo caso il trattamento di Dante è originale.

Prima di tutto Dante mostra grande rispetto, e in certi casi affetto, sia nei confronti del maestro Brunetto Latini, che nei confronti di Iacopo Rusticucci, Guido Guerra e Tegghiaio Aldobrandi. Essi sono sotto una pioggia di fuoco, ma se non fosse per quella Dante sarebbe addirittura “ghiotto” di abbracciarli.

S’i’ fossi stato dal foco coperto,

gittato mi sarei tra lor di sotto,

e credo che ’l dottor l’avria sofferto;

ma perch’io mi sarei brusciato e cotto,

vinse paura la mia buona voglia

che di loro abbracciar mi facea ghiotto.

E lo stesso Virgilio impone al discepolo di essere nei loro confronti “cortese”.

Leggendo le righe di Barolini: “Dante non immagina mai delle torture sessualizzate; non si mette a sfruttare le debolezze violente e pornografiche del lettore voyeur” e questo soprattutto in riferimento alla rappresentazione degli omosessuali – quella sì violenta e sadica – da parte di Giotto o di Taddeo di Bartolo nei loro rispettivi Giudizi Universali.

Non solo, Teodolinda Barolini menziona una battuta di Andreotti: “Non sarebbe male se tutti (…) si andassero a rileggere Dante: i sodomiti nella Divina Commedia finiscono all’inferno”.

E così risponde: “Se Andreotti, oltre all’Inferno, fosse arrivato a leggere Purgatorio XXVI, avrebbe capito che le argomentazioni di Dante sull’omosessualità non si potevano semplificare in questo modo”. E se Dante immagina dei sodomiti in purgatorio “riesce a pensare, in altre parole, che i sodomiti possano essere salvati”.

E quindi avremo omosessuali in Paradiso, che era anche la tesi di un altro dantista, Aldo Onorati, autore tra l’altro del libello “Dante e gli omosessuali nella Commedia. Tra Inferno e Paradiso”, del 2018, il quale proprio al riguardo scrive: “(Dante) era un ‘uomo del Medioevo’ nel senso cronologico, non psicologico e mentale. Dante si differenzia dai suoi contemporanei per una visione diametralmente opposta a quella allora vigente. La sua apertura di vedute è immensa e quasi tutta da riscoprire”. [4]

Questa simpatia di Dante verso l’altro a volte entra i contrasto con le norme del suo tempo, com’è il caso del canto XIX del Paradiso dove Dante pone il problema dei pagani non salvati:

“Un uom nasce a la riva

de l’Indo, e quivi non è chi ragioni

di Cristo né chi legga né chi scriva;

e tutti suoi voleri e atti buoni

sono, quanto ragione umana vede,

sanza peccato in vita o in sermoni.

Muore non battezzato e sanza fede:

ov’ è questa giustizia che ’l condanna?

ov’ è la colpa sua, se ei non crede?”.

Ovvero: c’è un uomo che nasce in India, è un uomo devoto, buono, giusto sia dal punto di vista sociale che spirituale che morale. Lui non conosce il Cristo solo per motivi geografici (o magari anagrafici, com’è il caso di Virgilio); dov’è dunque la giustizia di Dio che lo condanna una volta morto, lui senza peccati?

Il rovesciamento dell’Etiòpe

La condanna è il Limbo, che è il grandissimo escamotage dantesco per salvare tutti quelli che non andrebbero a norma salvati. È un grandissimo condono eterno. Certo sono dannati, sono nel primo cerchio dell’Inferno, ma non ci sono tormenti, non c’è dannazione. Solo non c’è la speranza di poter vedere Dio. E quindi ecco il contenitore perfetto per inserire Omero, Virgilio, Socrate e tutte le menti eccelse e gli spiriti magnanimi che non hanno creduto nel Cristo.

Certamente questa è una soluzione di compromesso che va a stridere, che dal punto di vista logico vacilla, ma questo è il tentativo poetico – umano di “salvare i non cristiani”.

E Dante proprio nel canto XIX del Paradiso opera un colpo di scena clamoroso:

Ma vedi: molti gridan “Cristo, Cristo!”,

che saranno in giudicio assai men prope

a lui, che tal che non conosce Cristo;

e tai Cristian dannerà l’Etiòpe,

quando si partiranno i due collegi,

l’uno in etterno ricco e l’altro inòpe.  

Dal Cielo di Giove, il cielo dove Dante incontra le anime degli spiriti giusti, arriva questa rispsota: Sì, è vero, i pagani non possono andare in Paradiso, ma non credere che basti gridare “Cristo! Cristo!” per essere salvati. Non basta compiere atti orribili con un rosario in mano o brandendo un Vangelo per avere salva la vita eterna. Il mondo di Dante non è un sistema che punisce gli “altri”, ma è un sistema che punisce i cristiani, ovvero i “nostri”. La proporzione tra anime dannate cristiane e anime dannate non cristiane lungo i vari cerchi è davvero in questo significativa.

Ma non solo, se leggiamo bene c’è un versetto che è incredibile: “e tai Cristian dannerà l’Etiòpe”, “e tali cristiani verranno dannati dall’etiope”.

L’etiope, sempre secondo Barolini, incarna come l’indiano, l’archetipo dello straniero più straniero, più lontano, più esotico, agli estremi del mondo noto.

L’espressione è provocatoria, anche in questo caso, gli etiopi dal punto di vista iconografico erano alleati del diavolo, seguaci dell’Anticristo, e in questo caso sono loro, a fianco a Dio, a dannare l’uomo bianco.[5]

L’amore e le altre stelle

Dante si muove sempre con questa profonda simpatia verso l’altro, verso l’ultimo, verso le vittime, e questo lo si vede dal “modo assertivo con cui egli assegna dignità all’etiope, e dalla sua capacità d’immaginare attivamente la salvezza di sodomiti e di pagani all’assenza di giudizi stereotipati riguardo i gruppi etnici differenti dal proprio, per esempio gli ebrei”.

Nella Commedia emerge questa grandissima forma di “immaginazione affascinata dalla differenza”. L’universo è unito assieme, “legato con amore in un volume”.

E non è un caso, forse, e qui Teodolinda Barolini forse coglie un aspetto poco colto dalla critica in genere, che il verso finale del poema sia: “l’amore che move’l sole e l’altre stelle”.

Le stelle sono altre.

La salvezza è nell’Uno (Dio), ma questo Uno primigenio si manifesta nella sua molteplicità e differenziazione: “dall’imprescindibile alterità incarnata nelle ‘altre stelle’ – un’alterità da cui Dante rimane affascinato fino all’ultimo respiro del suo poema”.


[1] https://www.massimofini.it/articoli-recenti/1980-il-sommo-alighieri-e-il-piccolo-dante

[2] https://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/omofobo-hater-misogino-dante-si-merita-purgatorio-1784027.html

[3] https://www.researchgate.net/figure/Jesus-Before-Caiaphas-Salvin-Hours-British-Library-MS-48985-1275-fol-29r-C-British_fig2_378106347

[4] https://blog.dante.global/dante-omosessuali-commedia

[5] https://blackcentraleurope.com/sources/1000-1500/the-king-of-the-moors-submits-to-the-antichrist-ca-1440-1450/

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