Finisce l’anno scolastico, studentesse e studente saranno finalmente sgravati dal peso delle “sudate carte” e Dante, se va bene, verrà riposto in qualche cassetto del “libro della memoria”, in attesa di essere riesumato quando ci sarà di nuovo occasione.

Con gioia? Con fatica? Quando vado nelle scuole a parlare di Dante, spesso di Dante mi vengono restituite idee diverse.

Dante può essere antipatico, noioso; oppure Dante è colui che accende la fantasia, l’entusiasmo, le domande vive e penetranti.

Da una parte le classi vengono interrogate su Dante, dall’altra le classi interrogano Dante.

Dante viene amato e detestato.

Chiaramente la differenza la fanno gli insegnanti. Questo non vale certo solo per Dante. Vale per ogni singola disciplina. Il mio professore di greco, al liceo, diceva che “la scuola ha il potere di trasformare le rose in carciofi”.

Far rifiorire la Commedia

Diciamo che l’incuria, la pigrizia, la malavoglia di certi docenti è responsabile di questa “carciofizzazione” di Dante. Di contro, insegnanti vivaci e vivi, appassionati, coraggiosi e di cuore, possono far rifiorire la Commedia nel cuore di chi ascolta. Ma queste sono ovvietà.

E Dante? Che studente poteva essere?

Lasciando perdere aneddoti, anche molto gustosi (e rivelatori), che ci presentano un Dante dalla memoria infallibile e dalla concentrazione ferrea, capace di immergersi in un libro e non accorgersi di un’intera festa attorno a lui; e lasciando perdere quale possa essere stato il percorso scolastico di Dante (questione spinosissima e complessissima); dalla Commedia noi possiamo vedere che Dante era uno studente innamorato.

Nel canto primo dell’Inferno la parola “amor(e)” compare due volte.

La prima riferita a Dio, e ci mancherebbe:

Temp’ era dal principio del mattino,

e ‘l sol montava ‘n sù con quelle stelle

ch’eran con lui quando l’amor divino

La seconda? In riferimento a Beatrice? No, in riferimento a Virgilio:

O de li altri poeti onore e lume,

vagliami ‘l lungo studio e ‘l grande amore

che m’ha fatto cercar lo tuo volume.

Conoscere è amare

Dante nella selva oscura, in mezzo ai pericoli di lonza, leone e lupa, pensa bene di fare la sua dichiarazione d’amore al suo grande maestro.

L’amore e lo studio sono fortemente legati tra loro. Fin dal significato latino di studium che originariamente significava “cura, passione, impegno, ardore”.

E lo dice Dante stesso nel Convivio, il suo trattato filosofico incompiuto. Lo studio “mena l’uomo all’abito dell’arte e della scienza” e al tempo stesso per studio si intende “lo studio lo quale io mettea per acquistare l’amore di questa donna”.

Si studia per conoscere. Si studia per amare. Amore e conoscenza nutrono il nostro mondo interiore. Amore è conoscenza.

Questo è molto medievale come concetto. La coincidenza tra amore e conoscenza è rappresentata dal re biblico Salomone, autore sia del sensualissimo Cantico dei Cantici, che dei libri sapienziali.

Un particolare dell’illustrazione di Roberto Filippini per l’articolo L’amore è tondo e brucia di Mirco Cittadini, all’interno della rubrica Dante’s speech.

Ma torniamo a Dante studente/amante. Dante studiando Virgilio, ama Virgilio.

Tu se’ lo mio maestro e ‘l mio autore,

tu se’ solo colui da cu’ io tolsi

lo bello stilo che m’ha fatto onore.

E in quanto “autore”, sempre parola di Dante dal Convivio, Virgilio è “degno di fede e d’obedienza”.

E a questa componente autoriale, dove Virgilio è maestro, e quindi, magis, in posizione più alta, si affianca una componente affettiva, dove Virgilio diventa “dolcissimo padre”, “lo più che padre”, il “dolce pedagogo”.

Il compito del mentore

Il Virgilio dantesco un po’ ricorda il quadro di Rembrandt che ritrae il ritorno del figliol prodigo. Nel dipinto vediamo il padre abbracciare il figlio, ma se notiamo attentamente le mani ci accorgiamo come una sia maschile e l’altra femminile. “È sia una madre che un padre. Tocca il figlio con una mano maschile e con una femminile. Lui sorregge, lei accarezza. Lui rafforza e lei consola”, così scrive Nouwen nel suo L’abbraccio benedicente.

Virgilio incarna un vero e proprio principio alchemico, ora liquido (“Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte/che spandi di parlar sì largo fiume?”), ora combustibile (“Al mio ardor fuor seme le faville,/ che mi scaldar, de la divina fiamma” ). Virgilio “accende perché è acceso, innamora perché è innamorato, trasporta perché è trasportato”; ma soprattutto Virgilio colpisce per la sua malinconia, “sospinto al margine della sua eccezionalità” (secondo le belle intuizioni del pedagogista e filosofo Paolo Mottana).

Virgilio è mentore che in veste di guida appassionata, permette al discepolo di aprirsi al mondo.

Trovare consolazione nello studio

E come Dante ama Virgilio, così ama intensamente tutto il mondo classico e con altrettanta intensità ama la Filosofia, che sempre nel Convivio viene addirittura “erotizzata” nella figura della Donna gentile.

Il Dante afflitto, angosciato, per la morte di Beatrice, trova consolazione nelle parole dei libri e nello studio della Filosofia, come se fosse l’amore ricambiato di una bella donna: “Io, che cercava di consolar me, trovai non solamente alle mie lagrime rimedio, ma vocabuli d’autori e di scienze e di libri: li quali considerando, giudicava bene che la filosofia, che era donna di questi autori, di queste scienze e di questi libri, fosse somma cosa. Ed imaginava lei fatta come una donna gentile, e non la poteva imaginare in atto alcuno se non misericordioso; per che sì volentieri lo senso di vero la mirava, che appena lo potea volgere da quella”.

Se ci pensate, questa cosa dello studio così coinvolgente (e consolante) da prender quasi forma umana di donna o maestro, piacerebbe tantissimo ad un filosofo come Massimo Recalcati, che nel suo “L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento”, vagheggia degli insegnamenti che non producono scolari, ma che sappiano animare un “amore che si indirizza al sapere”.

Il potere della parola

L’efficacia di Virgilio risiede prima di tutto nella sua efficacia comunicativa:

Or movi, e con la tua parola ornata

e con ciò c’ha mestieri al suo campare,

l’aiuta sì ch’i’ ne sia consolata.

La “parola ornata” è la condizione necessaria. Virgilio sa parlare. E per questo Dante si lascia sedurre.

Perché educare significa anche questo: “rapire, strappare, separare (…) anche nel senso di sviare e portare fuori strada”, sempre così nel libro di Recalcati, “educare non significa condurre lungo una via già tracciata, ma, a partire dalle proprie radici, spingere verso la possibilità inedita di fare esperienza dell’apertura di mondi”.

E cosa fa Virgilio, maestro borderline, se non prendere Dante, strapparlo dalle sue certezze (e dalle sue paure) per condurlo alla scoperta di nuovi mondi (oltre che di se stesso)?

Ma la parola ornata può essere traviante, frodolenta, può essere sì seduttiva, ma senza etica. Giasone seduce la bella Isifile per poi abbandonarla, proprio con le “parole ornate”:

Ivi con segni e con parole ornate

Isifile ingannò, la giovinetta

che prima avea tutte l’altre ingannate.

E giustamente finisce all’Inferno tra i seduttori.

Virgilio no. Il sapere non è solo strategia comunicativa, marketing, facile e compiacente gioco persuasivo; il sapere è un mix equilibrato di “parola ornata” e “parlare onesto”.

“Fidandomi del tuo parlare onesto” dice Beatrice a Virgilio.

Il maestro lascia andare

La cultura “coltiva” il nostro animo (questa è la sua verità etimologica) proprio a partire da una profonda base etica.

E alla fine?

Alla fine lo studente Dante è libero, proprio così. Libero grazie ad un percorso che è culturale e di vita. Il maestro ha trasformato. Il maestro lascia andare.

Non aspettar mio dir più né mio cenno;

libero, dritto e sano è tuo arbitrio,

e fallo fora non fare a suo senno:

per ch’io te sovra te corono e mitrio.

Dante viene incoronato da due corone, diventa Imperatore e Papa del proprio mondo interiore, pienamente signore di sé stesso.

Questo presuppone un passaggio di responsabilità tra guida e discepolo. Il discepolo ha interiorizzato il proprio maestro. E il maestro gioisce.

Dante tra i molti buoni (e cattivi) maestri, vede in Brunetto Latini (che pure condanna all’Inferno, ma anche qui la questione sarebbe molto complessa) il maestro che gli ha saputo insegnare “come l’uom s’etterna”.

Ecco, questo “etternarsi”, questo puntare a qualcosa di maggiore, questo fare anima, questo rendere gli altri più “capaci”, ovvero più capienti, più larghi, per accogliere i diversi mondi possibili è una sfida che forse in pochi e in poche sanno ancora accettare.

La pedagogia ammaliante di Virgilio (e Beatrice) propone la costruzione di un mondo gioioso. Punta dritta alla felicità.

Ma tu perché ritorni a tanta noia?

perché non sali il dilettoso monte

ch’è principio e cagion di tutta gioia?

Quello che Virgilio fa, in veste di ostetrico e formatore, è quello di far fare a Dante esperienza.

Il bravo maestro è colui che sa accendere il desiderio nel proprio discepolo. Virgilio porta Dante via con sé. Lo allontana dalla selva. Lo inizia ad un nuovo mistero. Prende Dante e lo trasforma in uomo. In questo Virgilio è un attivatore formidabile. Trasforma le inclinazioni naturali in universali.

Virgilio guida indiana, guru, mentore, che vive e suda tutte le avventura e la crescita del proprio discepolo, mostra un’idea di insegnamento/cultura, dove la didattica c’entra poco, ma che vede protagoniste i valori, la sensibilità, l’intuizione, l’energia, la creatività… in altre parole, il cuore.

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