Dieci anni fa, nel 2015 Fucina Culturale Machiavelli stava muovendo i suoi primi, piccolissimi passi grazie a un desiderio, una tensione, un’idea testarda che avrebbe trovato forma concreta solo con il tempo. «Eravamo un gruppo di amici e musicisti. Avevamo appena finito gli studi e ci sembrava che Verona, per noi e per chi usciva come noi da un percorso artistico, non offrisse grandi sbocchi. Abbiamo iniziato a cercare uno spazio dove poter lavorare con continuità, crescere artisticamente, ma anche creare un contesto dove altri potessero fare lo stesso», raccontano oggi i fondatori Stefano Soardo e Sara Meneghetti, rispettivamente Presidente e Direttrice Artistica del presidio culturale.

Lo spazio che trovarono al tempo – il Centro Mazziano – era un teatro che era stato a sua volta uno storico punto di riferimento culturale della città, ma ormai era chiuso da anni, incastonato tra le mura di uno storico istituto scolastico religioso nel bellissimo quartiere di Santo Stefano. Non solo una sala da riaprire, ma un’intera identità da ricostruire. «Abbiamo iniziato in modo molto spontaneo» spiega Sara. «Non c’era un progetto d’impresa alle spalle, ma c’era una volontà collettiva forte: costruire un luogo vivo, accessibile, dove cultura, arte e comunità potessero incontrarsi davvero».

«All’inizio ci immaginavamo qualcosa che andasse avanti com’era partito: piccolo, artigianale» aggiunge Stefano. «Invece oggi Fucina è una realtà che, se anche i fondatori sparissero, rischierebbe davvero di andare avanti lo stesso. È il sogno di qualsiasi imprenditore: creare qualcosa che possa camminare con le proprie gambe»

Una squadra che cresce e si trasforma

Nel tempo, Fucina è diventata molto più di ciò che era all’inizio. Il nucleo fondativo si è progressivamente arricchito di nuove figure, che hanno portato competenze trasversali, sensibilità artistiche e capacità organizzative. «Oggi la nostra “cucina” creativa è fatta di tante mani e teste diverse», spiegano.

L’ormai celebre logo di Fucina Culturale Machiavelli

Tra queste c’è innanzitutto la terza socia fondatrice, Rebecca Saggin, musicista che sta prendendo in mano ora la formazione musicale per i più piccoli. Poi Elisabetta Zerbinatti, che si occupa della comunicazione e allo stesso tempo porta con sé una forte vocazione artistica nel campo delle arti visive e dell’illustrazione. «Il suo lavoro va ben oltre il “fare grafiche”: ha una capacità rara di entrare in relazione con il pubblico, con delicatezza e ascolto», dice Sara.

C’è poi Pietro Paloschi, tecnico e artigiano, giovanissimo ma già fondatore di una sua impresa di service. «È uno di quelli che ti fa pensare che il futuro non è perduto. Ha un’energia instancabile, una voglia di fare che travolge, e una grande competenza tecnica maturata in poco tempo ma con moltissima passione», sottolinea Sara.

E recentemente si è unito al gruppo anche Giacomo Trivellon, con una formazione musicale e una sensibilità per l’organizzazione dei processi. «Sta portando struttura in alcuni aspetti, ma sarà anche fondamentale per rilanciare la parte musicale che, negli ultimi tempi, abbiamo faticato a coltivare come vorremmo. Serve tempo, serve squadra, e ora possiamo finalmente tornare a dedicarci anche a questo».

“All’inizio ci immaginavamo qualcosa che andasse avanti com’era partito: piccolo, artigianale. Invece oggi Fucina è una realtà che, se anche i fondatori sparissero, rischierebbe di andare avanti lo stesso. E non ci manca molto a quel punto. È il sogno di qualsiasi imprenditore: creare qualcosa che possa camminare con le proprie gambe.”

Stefano Soardo

Un teatro che è spazio e relazione

La sede di Fucina è un teatro da 220 posti, immerso in un contesto che ha conservato un’identità unica. Ma sono anche i suoi spazi informali – l’ingresso, il bar, il foyer e le luci calde – a costruire quell’atmosfera che in molti riconoscono come familiare e accogliente. «Ci è stato detto spesso» spiega Meneghetti. «Questo è un luogo dove puoi restare anche dopo lo spettacolo, bere un bicchiere di vino, parlare con gli artisti, incontrare qualcuno che non vedevi da tempo. Ed è esattamente questo che volevamo: uno spazio che favorisca le relazioni, non solo la fruizione culturale».

«Abbiamo sempre voluto declinare il fare culturale anche in senso sociale», aggiunge Soardo. «Portare la musica dove normalmente non arriva, fare formazione nei luoghi atipici: scuole di periferia, ospedali psichiatrici, contesti marginali.»

Nel 2024, a coronamento di un percorso di crescita strutturata, Fucina è diventata formalmente un’impresa sociale. E con questo passaggio è stato redatto anche il primo bilancio sociale della sua storia: uno strumento di trasparenza ma anche di narrazione, che restituisce il senso del lavoro fatto, l’impatto culturale sul territorio e il valore generato dalle attività artistiche, educative e relazionali. «Non è solo un documento burocratico. È un modo per fermarci, guardarci dentro, capire dove siamo arrivati e dove vogliamo andare», spiegano.

Una programmazione che mescola linguaggi

Se la produzione teatrale e musicale è sempre stata uno dei cuori pulsanti di Fucina, negli anni lo spazio ha iniziato ad aprirsi anche ad altri linguaggi. Uno di questi è il cinema: oggi il teatro ospita la rassegna Mondovisioni, ideata e curata da Massimo Boaretti ed Eugenio Perinelli, che hanno proposto una selezione di docufilm di Internazionale, raramente visibili nei circuiti più commerciali. «Quando siamo entrati, c’erano ancora i vecchi proiettori a pellicola. Siamo ripartiti da lì, abbiamo riattivato l’impianto e oggi proiettiamo in digitale, con una sala che spesso è piena. Il pubblico del cinema è diverso da quello del teatro, ma qui si mescolano e si parlano», raccontano.

A Fucina hanno trovato casa anche altri eventi, come l Festival del Giornalismo di Verona, che a partire dal 2024 trasforma ogni anno il teatro in un’arena di confronto tra professionisti dell’informazione, attivisti, cittadini e studenti. «È un’occasione per parlare di politica, società, ambiente, diritti. Temi urgenti, che spesso attraggono un pubblico che magari non frequenta il teatro durante la stagione. Ma che poi torna. È un modo per allargare il campo. Siamo davvero felici di ospitare anche linguaggi che inizialmente non erano nelle nostre competenze. Il pubblico ha risposto sempre con grandissimo entusiasmo.»

“Abbiamo sempre voluto declinare il fare culturale anche in senso sociale. Portare la musica dove normalmente non arriva, fare formazione nei luoghi atipici: scuole di periferia, ospedali psichiatrici, contesti marginali.”

Sara Meneghetti

Il futuro? Continuare a generare possibilità

Quando si chiede loro di fare un bilancio di questi dieci anni, i fondatori non nascondono le difficoltà. «Sopravvivere come spazio indipendente, senza finanziatori forti, in una città come Verona, non è scontato. È stato un lavoro costante di tessitura: relazioni, reti, idee, tanta autocritica e tanta determinazione» spiega Stefano Soardo. E oggi, per fortuna, Fucina è ancora lì, con le porte aperte, e con la voglia di rilanciare. «Non vogliamo essere solo un teatro. Vogliamo continuare a essere un luogo che genera possibilità. Per chi fa arte, per chi la guarda, per chi vuole mettersi in gioco. In una società che spesso toglie spazi, noi vogliamo continuare a crearli», conclude Sara Meneghetti.

Dieci anni dopo, Fucina Culturale Machiavelli è ancora fedele alla sua intuizione iniziale: che l’arte, se condivisa, se coltivata con cura e apertura, può essere non solo uno spettacolo, ma un modo di stare nel mondo.

Una foto di gruppo dei responsabili della Fucina Culturale Machiavelli

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