Il settembre dell’Estate teatrale veronese si aprirà giovedì 1 alle 21.15 con un evento d’eccezione. Debutta infatti al Teatro Romano (con repliche il 2 e il 3 settembre alla stessa ora) “Iliade”, lo spettacolo tratto dall’opera di Omero nella riscrittura di Alessandro Baricco e diretto dal regista veronese Alberto Rizzi. Si tratta di una coproduzione del Teatro Stabile di Verona, Teatro Nuovo, Fondazione Atlantide e la stessa Estate Teatrale Veronese, con il supporto fondamentale di Ippogrifo Produzioni. Sul palco, oltre a Natalino Balasso, anche un cast di attori di grande valore, che inaugurano la rassegna “Settembre classico”, parte conclusiva del cartellone estivo 2022.

Ne parliamo con Rizzi, che ha costruito la propria regia con il medesimo rispetto e modernità con cui lo scrittore torinese ha affrontato la riscrittura dell’Iliade.

Rizzi, innanzitutto perché l’Iliade? Cos’ha da raccontare a noi del XXI secolo un’opera che risale a più di tremila anni fa?

«Ritorno sul luogo del delitto. Il mondo classico è sempre stato il mio orizzonte, fin dai miei primi spettacoli come regista, che erano le tragedie greche. Vedo nell’Iliade una storia immortale, che ha ancora molto da dirci, da raccontarci. In fondo è la prima storia che la società occidentale ha deciso di raccontarsi e non c’è da stupirsi che si sia trattato di una vicenda di guerra. L’Occidente si fonda su questa grande guerra di civiltà. Una guerra che continuiamo a portarci dentro fin da allora e che ci pone di fronte alla domanda: cosa siamo diventati come società occidentale? Parlare poi di Iliade in tempi di guerra come questi è doppiamente importante, perché ci porta a guardare in faccia i nostri fantasmi e scoprire i nostri scheletri, nascosti nell’armadio, e a domandarci perché abbiamo dovuto creare il mito dell’eroe.»

Quanto è effettivamente cambiato l’uomo, da allora?

Uno scatto tratto dalle prove dello spettacolo

«Poco, pochissimo. Agamennone, Achille, Ulisse sono del tutto paragonabili a una sensibilità moderna. Un grande merito va a Baricco che ha ri-soffiato vita nelle parole di Omero, perché spesso noi, quando leggiamo traduzioni vecchie o, peggio ancora, traduzioni il cui testo ammicca a un linguaggio dei tempi passati, si rischia di dimenticare che l’Iliade a suo tempo era un’opera assolutamente contemporanea.»

Quindi quali sono i principali pregi di questa trasposizione?

«Baricco ha rimesso a fuoco la percezione che il lettore deve avere rispetto a questo testo, che non può essere considerato o vissuto, ascoltato, letto come un testo antico. Quando l’Iliade è nata si trattava di materia viva, contemporanea con il suo tempo. In questo linguaggio, rispettosissimo perché non c’è nulla di estraneo all’Iliade (se non la parola, che è scritta in un italiano vivo, non finto), io ci trovo quell’antichità. Ci trovo l’aedo, Omero, che nelle piazze canta le storie di Achille e di Ulisse e tutti lo stanno ad ascoltare.»

Perché la scelta di Balasso e com’è stato lavorare con un attore di questo calibro?

«Quando il direttore artistico dell’Estate teatrale veronese, Carlo Mangolini, mi ha proposto di fare una regia per la rassegna di quest’anno, ho subito pensato due cose. La prima era che avrei voluto portare in scena l’Iliade e la seconda è che avrei voluto lavorare con Natalino Balasso. Lo corteggio da dieci anni e in questo periodo siamo anche diventati amici, ma non siamo mai riusciti a lavorare insieme, a causa dei vari incastri. Quando l’ho chiamato e gli ho spiegato la mia idea, mi ha subito detto di sì. Questo mi ha galvanizzato perché ho capito che potevo portare a Verona un artista poliedrico, interessante, colto, che conosce benissimo la materia antica e gli spettacoli.

Un ritratto di Natalino Balasso del fotografo Luciano Perbellini

Lui è diventato famoso come comico, ma ha sempre fatto l’attore e si è messo a servizio dei propri personaggi e dei registi con cui ha lavorato, come Bachis, Mazzacurati, Salvatores. È un grandissimo professionista, molto generoso, che non smette mai di provare. In questo senso è un grande ispiratore della compagnia di cui riesce a catalizzare le energie. È bello vedere un attore del suo calibro che si sa calare in uno spettacolo così corale, in cui tutti gli attori hanno la stessa importanza, e nessuno primeggia. È una dote rara, importante, di Natalino. Credo che le persone rimarranno molto colpite nel vederlo in questa trasposizione dell’Iliade al Romano dove mette tutto se stesso. Si è dedicato anima e cuore a questo progetto.»

Lo spettacolo vede in scena altri ottimi attori, con alcuni dei quali lei ha già lavorato…

«Ci sono tutti gli attori con cui ho un rapporto speciale, a cominciare da Chiara Mascalzoni, con cui collaboro da oltre 14 anni. È presente in tutti i miei spettacoli e insieme a Barbara Baldo e al sottoscritto compone l’anima di Ippogrifo. Tutti noi insieme abbiamo fatto un percorso artistico che ci ha portato oggi fino al Romano.

Il cast quasi al completo (manca Luca Boscolo) di “Iliade”

Ma tutti gli attori con cui sto lavorando sono straordinari: ci sono Pietro Traldi, Marta Cortellazzo Wiel, incredibilmente brava e che lavora spesso con Balasso, e due giovani attori, freschi di accademia, Chiara Pellegrin e Luca Boscolo.

Infine c’è Diego Facciotti che ha fatto tante cose con me, sia al cinema sia a teatro, attore incredibilmente versatile e talentuoso. Sono molto contento della squadra che abbiamo in scena, perché stiamo portando tantissime energie ed emozioni.»

A proposito di emozioni, come descriverebbe quella di tornare al Teatro Romano?

«È sicuramente una grande emozione. Ci eravamo già stati nel 2020 con “Riccardo Perso” con gli stessi Chiara Mascalzoni e Diego Facciotti.»

Omero, Dante, Shakespeare: lei si è cimentato con tutti e tre i grandi della letteratura mondiale, coloro che, secondo molti studiosi, hanno scritto tutto ciò che c’è da sapere sull’animo umano. Qual è stato il più difficile da affrontare?

«Sarebbe sciocco dire che è semplice affrontarli, però mi risulta più congeniale affrontare le grandi opere, perché spesso sono complesse ma non sono mai complicate. Shakespeare ci si dà in maniera istintiva, popolare e altrettanto si può dire per Omero e le sue opere. Magari un po’ meno per Dante, anche se anche lui alla fine sa essere popolare. Quello che si può fare con questi testi è scavare. Più scavi e più trovi e il testo continua a darti suggestioni, idee, ispirarti. Come un minatore continuo a scavare in questi grandi testi e continuo a trovarci cose nuove. Ogni volta che studio “Amleto”, un testo che io amo profondamente, ci trovo qualcosa di nuovo. E lo stesso si può dire per l’Iliade. Trovo tutto questo stimolante, bello e giocoso. Quello che non bisogna mai avere è il timore reverenziale per questi testi. La letteratura va saccheggiata, resa viva, vissuta, reinterpretata. Va amata come si ama una persona, viva.»

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