Se un musicista rock uccide la sua compagna in modo efferato, le sue canzoni non possono più essere ascoltate, anche se restano belle come prima. Le sonorità evocano immancabilmente l’immagine di un corpo femminile straziato. Qualcuno potrebbe non conoscere la storia, e continuare ad ascoltare quelle canzoni spensieratamente. Ma per chi scopre la verità, il piacere estetico cede posto al rifiuto della crudeltà del cantautore.

Cosa direste, invece, se, invece di una sola vittima, il musicista avesse assistito a numerosi omicidi o sostenesse stermini di massa? Verrebbe naturale boicottare ogni sua apparizione pubblica, cancellare la sua fama, valutando la caratura etica di una persona e non l’abilità tecnica. Perché l’ideologia e l’arte sono legati indissolubilmente nella vita di un personaggio come Valery Gergiev, cittadino russo e olandese.

Un concerto da re… della propaganda

La notizia del suo concerto estivo ha fatto scalpore: dal 2022 Valerij Gergiev non calcava più i palchi europei importanti. Il 27 di luglio avrebbe dovuto esibirsi durante il festival “Un’estate da RE” alla Reggia di Caserta, sito UNESCO. Chissà se, prima di approvare tale presenza, il governatore Vincenzo De Luca abbia visualizzato ciò che fa il Paese d’origine di Gergiev ai siti UNESCO ucraini, bombardati senza pietà? Nel suo tentativo di avviare un dialogo, ha tralasciato il fatto che, oltre a essere un direttore d’orchestra, Gergiev è in primo luogo un personaggio di spicco dell’élite russa e un emissario dell’ideologia putiniana.

Non sappiamo, di chi fosse stata l’iniziativa, ma un invito del genere sdogana la collaborazione con la Russia, ammiccando alla possibilità di farlo in altri ambiti. CODACONS si prepara a fare un ricorso al TAR per controllare, che non ci sia stata qualche violazione della legge in fase decisionale di distribuzione dei fondi regionali. Pagando il musicista russo con i fondi pubblici, gli organizzatori avrebbero indirettamente finanziato la guerra che l’Italia, in teoria, ripudia.

Foto da Pexels di Luca Musella

Un altro elemento stridente è la che Reggia di Caserta, dove avrebbe dovuto tenersi il concerto, è sotto la tutela della UNESCO, proprio come i numerosi siti storici ucraini, esposti all’aggressione russa. L’esercito russo non colpisce a caso: oltre alle infrastrutture civili, predilige i luoghi di conservazione della cultura. Brucia sistematicamente biblioteche che contano milioni di libri, inclusi volumi antichi; distrugge istituti educativi e culturali; depreda i musei nei territori sotto l’occupazione russa. I russi per primi ci fanno capire, con le loro scelte strategiche, che la cultura è politica. Nelle mani di una civiltà imperialista in fase di espansione diventa un’arma, usata sia per imporre la propria identità che per cancellare quella delle terre di conquista.

Un opera sovietica per celebrare l’invasione

Per sottolineare quanto sia centrale il ruolo di Gergiev, guardiamo il recente cartellone del celebre teatro Bolshoi di Mosca. In chiusura della stagione è stato proprio lui a dirigere l’orchestra in scena di un’opera di Sergej Prokofiev, compositore nato in Ucraina. Questa opera era un tributo che il compositore era costretto a pagare al partito comunista per avere un minimo di libertà creativa, ed era pressoché dimenticata, visto il suo scarso valore artistico.

Valerij Gergiev

La trama faceva vedere che nel 1918, per un contadino ucraino l’adesione alla causa socialista promossa dai russi fosse l’unica opzione possibile. Nel 2025 i registi hanno legato il tutto all’attualità, affermando esplicitamente che anche ai giorni nostri l’Ucraina deve sottomettersi al dominio russo. Finita questa esibizione di pura propaganda, il maestro avrebbe fatto le valige e si sarebbe affrettato per arrivare puntuale al festival così “amichevole” di Caserta.

In patria, il regime russo riporta in vita la propaganda stalinista per plasmare le coscienze e costruire una memoria collettiva di un passato mai idealizzato. Per gli europei invece viene proposta una versione più equilibrata, che i russi usano come strumento per liberarsi dall’isolamento imposto dalle loro stesse azioni criminali.

Il governatore De Luca tende una mano d’amicizia a Gergiev nel nome del dialogo, ma di fatto legittima il regime russo proprio nel momento in cui gli attacchi si intensificano, manifestando una volontà implicita di concedere carta bianca per ulteriori crimini. Come conseguenza, offende i numerosi ucraini residenti nella sua regione, i quali, secondo lui, hanno ricevuto un’accoglienza eccellente, come se questo bastasse a esonerarlo da qualsiasi altro dovere nei confronti dei profughi.

Reazione del mondo civile italiano

Alla notizia del concerto, si sono attivati le associazioni ucraine, seguiti dagli appelli firmati dai premi Nobel, promossi da Europa Radicale, Memorial Italia, Network Associazioni Ucraine. Hanno contribuito a sensibilizzare la cittadinanza le parole di netta condanna di Pina Picerno del PD e Marco Taradash di Più Europa, articoli di Katia Margolis, artista dissidente di origine russa, e della vedova di Aleksey Navalny, che ai suoi tempi aveva rivelato numerose proprietà lussuose di Gergiev, palesemente sproporzionate rispetto alle sue entrate ufficiali.

Proprietà non solo in russia: secondo Linkiesta, in Italia Gergiev è co-proprietario di un caffè in piazza San Marco e di una magione a Massa Lubrense, titolare di immobili per centinaia di milioni nascosti dietro una serie di società fittizie. Gergiev e i suoi finanziatori trattano l’Italia come un salvadanaio dove accantonare dei fondi da usare poi per promuovere l’agenda del Cremlino. Da queste ville si dipanano i fili di agenti di influenza russi, che lavorano per abbellire l’immagine del paese terrorista, come dimostra l’indagine di Linkiesta.

Una battalgia vinta

Il 21 luglio abbiamo saputo che gli appelli sono stati ascoltati, il concerto è stato annullato. Ma l’offensiva culturale russa non è finita. Non c’è solo Gergiev sul campo: più volte hanno cercato di promuovere in Italia anche il suo collaboratore, pianista Alexander Romanovskyi, che ha organizzato un concerto di fronte alle macerie del Teatro drammatico regionale accademico di Donetsk di Mariupol nell’estate di 2022, e due anni dopo ha cercato di fare un concerto all’Università La Sapienza di Roma. Allora gli attivisti ucraini se ne sono accorti, e la sede universitaria non è stata profanata dalla presenza di un artista tanto bravo quanto cinico, nato in Ucraina e naturalizzato russo.

Gergiev, Netrebko, Romanovskyi, sono simboli di pervasiva presenza russa nel mondo. Finché muoiono sotto il tiro dei russi gli artisti ucraini, gli artisti russi hanno solo un giusto motivo per esibirsi: se sono pronti a condannare la violenza, causata dal loro paese d’origine, e chiedere ai propri connazionali di disarmarsi. E finché gli organizzatori di concerti non lo capiranno, ci saranno le contestazioni, che agiscono non contro la musica, bensì contro la manipolazione politica di eventi artistici, usati per coprire i crimini della federazione russa e ripristinare l’immagine positiva di un paese che si è rovinato la reputazione con le proprie mani insanguinate.  

Quando cesserà il rumore della guerra, torneremo ad ascoltare con piacere la loro arte. Ma per ora, di artisti così ce ne sono stati ben pochi. Prevalgono i sostenitori di regime, ghiotti di palchi e onorificenze.

Foto da Unsplash di Claude Gabriel

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