Il terzo appuntamento offerto dalla programmazione della Giornata Mondiale del Rifugiato organizzato dall’associazione One Bridge To ha visto la presenza dell’esperto giurista e studioso delle migrazioni Gianfranco Schiavone che ha presentato il Rapporto sul diritto d’asilo in Italia della Fondazione Migrantes, giunto all’ottava edizione, durante l’evento “Il diritto d’asilo e focus sul CPR in Albania“.

L’analisi dei dati statici sulla situazione internazionale, europea e poi italiana delle dinamiche legate alla migrazione e al diritto d’asilo offre una fotografia completa del mondo dei rifugiati che il Festival sta raccontando in numerosi incontri tra Community Center scaligero e Forte Sofia.

I temi principali e innovativi che Schiavone ha illustrato sono stati quelli dello sradicamento, del reinsediamento e delle tre (di cui una in fase di sperimentazione) tecniche di gestione dei migranti adottate dall’Unione Europea.

Lo sradicamento nel mondo

Partendo dalla situazione internazionale, il giurista mette in luce il fenomeno dello sradicamento nel mondo, cioè la condizione di spostamento dalle proprie radici, dalla propria terra, per cercare una condizione di vita migliore. Le ragioni della partenza sono le più diverse (conflitti interni, violenza generalizzata, persecuzioni politiche o comunque riconducibili alle condizioni previste dalla Convenzione di Ginevra, disastri climatici), ma la realtà dei fatti che il rapporto mostra è che il numero di sfollati e rifugiati negli ultimi dieci anni sta aumentando. «Questo grave peggioramento ha come destinatari i paesi del Sud del mondo. Circa il 75% delle persone che hanno bisogno di protezione internazionale si trovano in paesi del Sud, né in Europa né in paesi ricchi», ha commentato l’esperto.

La strategia del reinsediamento organizzata dalle Nazioni Unite è tutt’ora una delle tradizionali forme di gestione della migrazione nel mondo.

Questa tecnica particolare, simile ai corridoi umanitari che Caritas, Arci e la Comunità di Sant’Egidio applicano anche in Italia, prevede il trasporto sicuro e legalizzato di queste persone in movimento dai paesi del Sud del mondo ai paesi ricchi.

I dati del rapporto mostrano che le cifre reali negli ultimi anni (tralasciando il 2020, anno del Covid che ha visto un crollo dei numeri) sono di circa 20.000 rifugiati reinsediati in Unione Europea all’anno. «Sono numeri totalmente irrilevanti. Sarebbe interessante fare una proiezione in cui si mostrano le zone geografiche di questa redistribuzione e la si mette in relazione alla popolazione e al PIL del paese d’accoglienza: scopriremmo quello che tutti già sanno, che nei paesi europei di fatto non c’è nessuno. È il contrario di quello che pensa l’opinione pubblica e su cui si basano fortune politiche» dice Schiavone.

La situazione migratoria in Italia

Dal 2015 al 2024 in Italia l’aumento e poi diminuzione degli sbarchi non ha avuto a che fare con i dati reali degli spostamenti mondiali ma è dall’andamento politico e dagli accordi internazionali. «Dal 2018 abbiamo assistito a politiche di chiusura nell’Unione Europea» spiega Schiavone, «per affrontare la cosiddetta invasione dei rifugiati e le disarmonie interne all’UE, la risposta che si è data è stata quella di evitare di accogliere attraverso delle tecniche feroci. La prima strategia è stata quella dei respingimenti, in palese violazione della normativa».

Infatti, l’utilizzo di provvedimenti con l’obiettivo di diminuire il più possibile gli ingressi anche con mezzi illegali ha fatto sì che «la politica è riuscita a piegare per fini illeciti anche ciò che nasce per far rispettare la normativa». Forse solo nel 2020, con i respingimenti a catena nella zona di Trieste, si è vista una reazione da parte del consenso pubblico a queste politiche, ben riassunte nel film Trieste è bella di notte di Andrea Segre.

Esternalizzare le frontiere

Le altre due tecniche strategiche dell’UE sono quella dell’esternalizzazione delle frontiere e della delocalizzazione. L’esternalizzazione è quell’insieme di misure prevalentemente economiche, ma anche logistiche e organizzative (fornitura di materiali, risorse, uomini…), a paesi terzi per impedire che le persone arrivino nel territorio europeo. Questa strategia, essendo la più efficace, è quella che assorbe il maggior numero di finanziamenti e provoca una grande concentrazione di persone che hanno bisogno di protezione in un paese in cui non possono chiedere asilo. «La scusa che viene utilizzata è quella del “sostegno ai paesi terzi per la gestione dei rifugiati”, quando si sente il termine gestione spesso c’è una delega di responsabilità». Questi diventano accordi senza condizionalità: cioè tutte le leggi europee in questi territori non hanno validità e quindi questi non hanno responsabilità nei confronti delle convenzioni internazionali.

La terza ipotesi che si sta delineando è quella della delocalizzazione: non soltanto impedire l’arrivo, ma anche quelli che sono arrivati in UE possono essere riorganizzati in paesi terzi. Anche qui non si può affidarsi alle leggi europee per assicurare che queste persone siano protette. Il primo esperimento di questa strategia è stato con un memorandum tra Gran Bretgagna e Rwanda nel 2022, definitvamente rigettato come illegittimo dalla corte inglese eppure mai archiviato.

Anche il caso italo-albanese si inserisce in tutto questo: con lo spostamento di migranti il territorio è albanese ma la giurisdizione rimane italiana. Perché quindi si fa? Per la delocalizzazione, lo spostamento delle questioni fuori dall’UE con la possibilità di applicarne la legge. Ciò però ha costi elevatissimi e logistici impressionanti. Secondo il giurista «L’obiettivo, in qualche modo, è di creare delle “colonie penali” altrove».

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