Due anni di lavoro e il debutto a Venezia per il Teatro Stabile del Veneto, Fucina Machiavelli presenta a Verona la sua ultima produzione ibrida, ALONSO – Don Chisciotte tra reale e virtuale, che sarà in scena venerdì 15 e sabato 16 marzo alle 21 nel teatro di via Madonna del Terraglio 10.

Un Don Chisciotte adolescente evade dalla propria quotidianità per inseguire una improbabile avventura nella sua personale Mancia, la Pianura Padana. A spingerlo non la follia ma l’immaginazione, suo rifugio e chiave per interpretare il mondo. Queste le premesse di Alonso, una produzione ibrida tra teatro e cinema a 360°, in cui gli spettatori assisteranno allo spettacolo in parte attraverso visori per la realtà virtuale e in parte dal vivo, con l’attore premio Ubu Andrea Cosentino, nei panni di un imprevedibile Spirito di Don Chisciotte.

Nella parte virtuale, Alonso (Matteo Bianchi) inizia il proprio viaggio interiore nel proprio nido, il divano del soggiorno in cui è ormai abituato a stare sprofondato, al tempo stesso culla e gabbia dei suoi sogni e delle sue illusioni. Ma qualcosa, anzi qualcuno, la sua intraprendente compagna di classe Nina (Emma Bolcato), lo trascina fuori da casa e al tempo stesso dentro di sé, alle radici del suo rapporto con la madre scomparsa e sulla sua eredità spirituale, essenza e vera mèta di tutta la ricerca del ragazzo.

Durante il viaggio, incontri e rocambolesche avventure ispirate all’immortale romanzo di Cervantes, ambientati in paesaggi del veronese davvero mozzafiato. Ne parliamo con la direttrice artistica di Fucina Machiavelli Sara Meneghetti, che ha scritto e diretto “Alonso”.

Sara Meneghetti

Meneghetti, innanzitutto da dove nasce l’ispirazione di Alonso?

«Alonso nasce dalla lettura del Don Chisciotte di Cervantes, un romanzo – il primo romanzo europeo – che supera alla grande la prova del tempo e conserva intatto il suo fascino. Mi sono domandata come sarebbe un Don Chisciotte oggi e la risposta è che avrebbe tra i 18 e i 20 anni, un’età magica in cui i sensi e il cervello sono all’erta.

Nonostante il tema della follia sia affascinante, quello che mi interessa ancora di più è una follia lucida: l’immaginazione, la capacità di vedere la realtà con occhi altri, ingenui forse ma proprio per questo sinceri, pronti a cambiare la realtà. È questo il collegamento con la forma espressiva che ho scelto, quella della realtà virtuale: il rapporto giocoso tra la visione (ciò che c’è, o che crediamo ci sia) e il desiderio (ciò che vorremmo ci fosse).»

La Pianura Padana diventa la Mancia… perché?

«La camera 360° permette di catturare dei paesaggi in tutto il loro splendore, ne ho approfittato per regalare degli scorci di luoghi che io stessa amo. Un ponte di Verona, la diga del Chievo, la val d’Adige…  ora chiunque nel mondo potrebbe indossare un visore ed essere teletrasportato lì per qualche minuto. Luoghi che sono diventati la scenografia perfetta per la nostra storia, una via d’acqua che trasporta il protagonista dal nido del proprio appartamento fin dentro al bosco e alla caverna, topoi classici delle imprese cavalleresche.»

Il viaggio interiore di Alonso diventa l’occasione per un viaggio spirituale con cui ripercorrere la propria storia familiare… cosa ha voluto rappresentare in questo viaggio?

Emma Bolcato e Matteo Bianchi

«Non voglio fare spoiler ma la fine della storia porta una sorpresa e uno stravolgimento del punto di vista. Alonso cerca le tracce della madre, e al tempo stesso la madre è sempre presente, perché ha immaginato la vita del figlio prima ancora della sua nascita. Anche lei usa l’immaginazione, come se la vita stessa potesse venire solo da lì: da un atto di creazione immaginativa. E ognuno nell’altro cerca anche un po’ se stesso, perché sono gli altri a definirci nella relazione.»

Cosa le ha regalato la lettura di Cervantes?

«Tante risate. Un ritmo lento. Un artista che (lui sì, altro che Ferragni) si pensa libero di come possa reagire il lettore, e fa ciò che gli dà gioia, senza prendersi troppo sul serio.»

Nello spettacolo c’è una forte componente tecnologica (grazie alla collaborazione con Eugenio Perinelli): cosa si deve aspettare il pubblico?

«L’incontro con Eugenio Perinelli è il vero motivo per cui sono nate queste sperimentazioni tra teatro e realtà virtuale, prima con l’Edipo Re riscritto per uno spazio tridimensionale, poi con Alonso e il video 360°. Durante la lunga lavorazione abbiamo avuto momenti di frustrazione, quando sbatti la testa su una tecnologia nuova, per cui hardware e software sono ancora agli inizi e sei in un territorio totalmente inesplorato, ma anche momenti di pura gioia. Spero che li sperimenti anche lo spettatore.

Dal punto di vista della percezione l’effetto wow è forte, e abbiamo adottato delle soluzioni tecniche per evitare lo spaesamento, così la camera accompagna “dolcemente” da una scena all’altra chi guarda. Oggi molte delle esperienze in VR cercano l’adrenalina (da qui il pregiudizio per cui la realtà virtuale sia solo legata al gaming): non è quello che interessava a noi, che abbiamo voluto indagarne invece le possibilità di narrazione, come una nuova forma d’arte che ruba al cinema quanto al teatro e poi costruisce un nuovo alfabeto, tutto da scoprire.»

Qual è il messaggio che volete proporre con questo testo?

«Che la cavalleria errante non è morta.»

Siete reduci da qualche giornata “milanese”: com’è stato accolto il vostro spettacolo?

«Riscontri molto positivi! Chi vede lo spettacolo ne esce col sorriso, qualcuno commosso, e ognuno nota un dettaglio diverso. È molto interessante per noi.»

Qual è il futuro di “Alonso”? Viaggerà un po’ come il suo protagonista?

«Alonso ha già fatto tappa a Venezia e a Milano, sarà questa domenica in Friuli e ora stiamo preparando per lui altre mete interessanti, nazionali e perché no anche internazionali.»

Andrea Cosentino

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