Il 15 ottobre scorso si sono svolte in Polonia le elezioni parlamentari e da più parti si è osannato l’evento come una vittoria del popolo contro il populismo, un’occasione per riportare il Paese sul sentiero democratico dopo la china autocratica in cui è rotolato negli ultimi anni.

Ai polacchi veniva chiesto di scegliere tra la coalizione “Destra Unita”, formata dal partito Diritto e Giustizia di Jarosƚaw Kaczynski più l’ultra destra di Confederazione Libertà e Indipendenza, e la Coalizione Civica, guidata dall’ex premier Donald Tusk, in carica dal 2007 al 2014 e poi presidente del Consiglio Europeo. Altre formazioni di rilievo erano La Sinistra, un nome che non ha bisogno di spiegazione, e la Terza Via, una nuova formazione politica di stampo ambientalista rurale, che si colloca in area conservatrice moderata.

I risultati

Il maggior numero di voti è andato al partito già al governo, Diritto e Giustizia, con il 35% e un crollo di oltre 8 punti percentuali rispetto al 2019. Al secondo posto, la compagine Civica, con oltre il 30% e un miglioramento di 3 punti.

La vera sorpresa viene da Terza Via che, nomen omen, si piazza al terzo posto assoluto con il 14% circa delle preferenze e diviene quindi il partito che sposta gli equilibri, quello con cui accordarsi per formare un governo. Nonostante le attese proclamate, e gli incubi per buona parte d’Europa, l’ultra-destra si mantiene stabile, a livelli marginali e ininfluenti. Al suo posto, verrebbe da commentare.

Diritto e Giustizia

La Polonia arriva a queste elezioni in un clima teso, caratterizzato da anni di repressione e confinamento delle libertà basilari dei cittadini, da leggi che hanno eroso i diritti civili e i principi fondamentali della democrazia stessa. Si ricorderanno le proteste popolari seguite alla legge che riduce il diritto all’aborto ai soli casi di violenza sessuale e pericolo imminente per la vita della donna. Oppure le riforme sulla magistratura che ne hanno compromesso la necessaria indipendenza, provocando forti reazioni da parte dell’Unione Europea.

La situazione pareva addirittura peggiorata in vista delle elezioni: l’OCSE (organismo per la sicurezza e cooperazione europea) aveva denunciato attacchi sistematici e fake news contro l’opposizione, che poteva contare su ridotti spazi mediatici, in un contesto ben diverso dal proclamato pluralismo nell’informazione. Diritto e Giustizia aveva fatto all-in mettendo sul piatto anche un referendum su difesa dei confini, migranti, età pensionabile e altri temi “sicuri”, tesi a unificare le truppe in suo favore.

Un nuovo governo

Eppure, nulla di questo è bastato. Ora gli analisti prevedono un’alleanza eterogenea, che si trova riunita proprio contro il nemico comune, piuttosto che per una comunione di credo politico. Coalizione Civica, Terza Via e La Sinistra insieme hanno ricevuto circa il 54% dei voti e potrebbero governare per riportare la Polonia nel cuore dell’Europa.

Sarebbe un governo sicuramente europeista e liberale, come sembra garantire la presenza di Tusk, anche se le posizioni dei tre partiti sembrano lontane da una vera convergenza. E si dovrà probabilmente attendere l’esito delle elezioni europee per capire se partiti tanto diversi tra loro possano davvero trovare terreno comune. Per ora, la facciata sarà ancora molto serena, un prolungamento di campagna elettorale.

Se il nuovo premier sarà Tusk o forse si getterà un ponte all’avversario confermando Mateusz Morawiecki, non è argomento di questo articolo. Ci interessa invece analizzare quali fattori si sono rivelati determinanti per frenare il populismo in Polonia, nella speranza si possano replicare in altri Paesi dove la democrazia fa passetti all’indietro. Mica tanto lontano da noi, eh.

Andare a votare

Sembra banale, ma non è. I polacchi hanno preso la cosa molto sul serio. Si sono presentati ai seggi tre quarti degli aventi diritto, il 74,1% la percentuale più alta mai registrata in Polonia e perfino migliore di quella seguita alla caduta del comunismo. Per la prima volta nella storia, a votare sono state più le donne degli uomini (74,7% vs 73%). E si registra anche il maggior numero di donne candidate: il 44% del totale, che hanno portato a un 30% al femminile in Parlamento. Ancora poco, ma molto se visto in prospettiva.

L’aumentato interesse delle donne per la vita politica (nel 2019 la quota rosa si fermò al 62%) è frutto di un maggior attivismo femminista, dopo anni in cui la loro partecipazione alla vita politica era praticamente nulla. E non solo durante il comunismo, come sembra facile ipotizzare, ma anche negli anni successivi, quando le loro richieste si scontrarono con il muro di gomma dello status quo. Una delle ragioni dei tanti voti persi da Diritto e Giustizia risiede proprio in quella legge anti-aborto e nelle politiche restrittive in tema di parità e inclusione.

Per trasparenza, va detto che oltre un terzo dei voti per il partito populista vengono ancora dalle donne, anche se una piccola speranza viene dall’osservarne la composizione anagrafica: oltre la metà delle sostenitrici di Kaczynski hanno più di 60 anni, mentre solo il 14% sono ragazze tra 18 e 29 anni.

Gioventù impegnata

Gli elettori più giovani, sia uomini che donne, hanno partecipato attivamente alla tornata elettorale, a dimostrazione che il loro distacco, il disinteresse per la politica è solo di facciata. Si sono resi conto che sarebbe stata un’occasione di farsi sentire, di avere una voce. E così il 69% degli aventi diritto con meno di 29 anni è andato a votare, un numero enorme specie se paragonato al 46% registrato nel 2019.

I giovani hanno superato il numero dei votanti ultra-sessantenni e la loro partecipazione massiccia sembra in nesso causale con la crescita della Coalizione Civica e i bei numeri di Terza Via, partiti a vocazione liberale, che con declinazioni diverse hanno fatto campagna proprio sui temi dei diritti, che si tratti di aborto o unioni civili tra persone dello stesso sesso.

Le associazioni e la società civile

Negli anni, Diritto e Giustizia ha costantemente ridotto le sovvenzioni a favore dell’associazionismo e creato un clima “inospitale” alle manifestazioni pubbliche. Ma come spesso accade, chi prova a reprimere un movimento, di fatto lo rende più forte e in tempi recenti le mobilitazioni sono diventate più frequenti e frequentate, così come si sono moltiplicate le iniziative di volontariato all’interno della comunità.

Ne è un esempio illuminante il proliferare di gruppi informali, di semplici individui che si sono mossi per organizzare l’accoglienza dei migranti prima e dei rifugiati ucraini poi, in buona parte facendosi beffe del diktat governativo.

Le campagne dal basso delle associazioni, portate in ogni piazza e in ogni casa, a favore del voto e contro il referendum “minestrone” sono strettamente collegate sia ai numeri dei votanti, sia al fallimento del referendum stesso, che non ha raggiunto il numero legale. Si sono recati alle urne tre quarti degli aventi diritto ma meno del 40% ha accettato la scheda per il referendum.

Un futuro tutto da scrivere

Dato il giusto merito al popolo, un’altra ragione del calo della destra polacca va ricercato nelle mutate condizioni economiche. L’epoca di Diritto e Giustizia ha coinciso con una crescita diffusa, che ha permesso al governo di sostenere la popolazione, con sussidi e riforme fiscali a favore dei meno abbienti, così come di investire nell’ambiente rurale. Ovviamente, la Polonia non è esente dal deterioramento generale: l’inflazione oltre il 18% e i beni alimentari ed energetici in aumento del 24% sono state condizioni perfette per un cambio al vertice, specie se il tuo elettorato è composto in massima parte da redditi fissi.

Molti analisti sostengono che sarà impossibile cancellare ora anni di deriva autocratica, che non si potrà tornare alla Polonia pre-populismi. Diversi ostacoli sono ancora da superare. Prima di tutto, si deve valutare a chi verrà affidata la missione di costruire un governo: il presidente Andrzej Duda è membro di Diritto e Giustizia, e si trova nella scomoda posizione tra il suo partito con il maggior numero di voti e l’opposizione che potrebbe governare.

Ammesso poi che l’opposizione riesca a trovare un accordo unitario, sono da valutare le profonde differenze culturali e ideologiche al suo interno. Per fare di nuovo l’esempio più eclatante, una delle cause scatenanti di questa piccola rivoluzione politica, la proclamata legge sull’aborto alla dodicesima settimana potrebbe non essere esattamente gradita alla componente cattolica conservatrice di Terza Via.

La strada appare lunga e complicata ma le elezioni di ottobre hanno almeno dimostrato che un concetto apparentemente desueto e abusato come il potere del popolo è ancora una realtà tangibile. Il declino della democrazia evidenziato da numerosi Paesi autoproclamatisi “sviluppati” non è un fenomeno inarrestabile se il popolo decide di ritrovare la sua voce.

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