Con lo spettacolo portato in scena al Teatro Romano il 6 e il 7 settembre, nell’ambito dell’Estate Teatrale Veronese, e dal significativo titolo “Shakespeare&MeAndrea Pennacchi ha lanciato un messaggio semplice quanto importante a tutto il mondo della cultura e alle istituzioni: “Rendiamo il teatro obbligatorio nelle scuole”.

Il talentuoso attore padovano, che ha tratto lo spettacolo dal suo ultimo libro, si lancia in questo accorato appello alla fine del suo show, non dopo aver raccontato per quasi un’ora e mezza come il teatro, in effetti, abbia cambiato la sua vita. Ovviamente in meglio

Partendo dalla sua infanzia, vissuta interamente nel quartiere padovano di Brusegana («l’aeroporto, il manicomio, i bachi da seta, il ponte della ferrovia»), Pennacchi ci accompagna per mano nel percorso della sua esistenza, in uno storytelling autobiografico musicato sapientemente dalle chitarre di Giorgio Gobbo, con lui sul palco.

L’attore ha raccontato, nella prima parte dello spettacolo, delle sue prime esperienze a scuola, dell’ora di ginnastica trascorsa quasi interamente in bagno a sfumacchiare con la “banda”, dei mitici film di Bruce Lee descritti in quegli stessi bagni dallo strano compagno di classe Giuseppe Palermo e, infine, di parte della sua adolescenza passata in parte a Forlì, dove il giovane Pennacchi ha conosciuto anche episodi di violenza e persino paura.

Andrea Pennacchi

Ogni singolo episodio è intriso di un mix di ironia e malinconia, con grandi momenti di ilarità intervallati ad altri di pura poesia, enfatizzata dalla voce e dalle sonorità di Gobbo, che addomestica con perizia alcuni dei più importanti brani della storia della musica mondiale (“Smoke on the water” dei Deep Purple, “Mamma mia” degli ABBA, “Baba O’Riley” degli Who, solo per citarne alcuni) in ballate suadenti e perfette per creare quell’atmosfera di complicità fra palco e pubblico, che risulterà decisiva per il buon esito dello show.

Dopo l’esperienza all’istituto agrario Baracca, in Romagna, arrivano le prime esperienze professionali, con l’illusione di poter lavorare in Alitalia (e qui le risate del pubblico si sono fatte più intense) fino all’idea di iscriversi all’Università, a Lingue Straniere, e l’incontro casuale con il teatro e il “Giulio Cesare” di William Shakespeare per merito del professore di Letteratura britannica.

Da quel momento la vita di Pennacchi, che si iscrive subito dopo a un corso di teatro anche perché lì, testuale, “l’è pien de tose”, si intreccia a filo con quella del Grande Bardo, di cui nel tempo ha tradotto in lingua veneta numerose opere e che ancora oggi è spesso fonte di ispirazione, per ammissione dello stesso Pennacchi, di molte delle gag o dei testi del suo repertorio.

Memorabile la versione che l’attore propone al pubblico veronese de “I due gentlemen di Verona” (obiettivamente non la migliore commedia di Shakespeare), in una sorta di western che ne mette in luce comunque le idee creative del grande autore inglese, inventore di molti espedienti letterari spesso poi utilizzati dai suoi emuli e da molti registi di cinema.

E poi, sulla conclusione, ecco l’accorato appello finale. Dopo aver dimostrato, con la sua divertente performance, come il teatro lo abbia reso umanamente, intellettualmente, culturalmente e spiritualmente una persona sicuramente diversa e per molti aspetti migliore di quella che avrebbe potuto essere senza quell’elemento nella sua vita, Pennacchi si augura, applaudito e sostenuto in questo da tutti i presenti al Teatro Romano, che il teatro possa davvero entrare stabilmente nelle scuole e che non sia solo un’iniziativa degli istituti più illuminati. «Quando insegno teatro ai ragazzi – spiega – in realtà imparo molte cose». Ed è vero. Lo abbiamo visto proprio di recente con il bellissimo “Romeo e Giulietta” portato sempre al Romano da Spazio Teatro Giovani, con attori under 25 capaci di mettere in scena uno dei drammi più complessi dello stesso Shakespeare, per la commozione di oltre 2mila spettatori.

Insomma, un’esperienza che può far bene. Parafrasando un celebre spot di molti anni fa si potrebbe persino dire che “il teatro salva la vita”. O, si potrebbe aggiungere, quantomeno la rende molto più bella e interessante.

Andrea Pennacchi e Giorgio Gobbo

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