Ho pianto durante quest’intervista a Paolo Benvegnù. Lui me ne è testimone. Mentre parlava sentivo le lacrime che si affacciavano. Ad un certo punto non ho più retto. Lui mi ha ringraziato di questa spontanea debolezza, facendomi capire la caratura di quest’uomo, cui segue, simbiotico, l’artista.

“Ti faccio un complimento” gli ho detto al termine, “sei più bravo a parlare che a cantare”. Questo non è vero, e sarà comprovabile ulteriormente sabato 10 luglio sera in Villa del Bene, a Volargne di Dolcè (VR). In quell’occasione Benvegnù suonerà, con ingresso gratuito, dopo una serie di altri artisti. 

Lui mi ha risposto che “la vera saggezza è non dire niente a nessuno. Ma essere di esempio. Sono amareggiato per gli altri, non per me”, continuando a riferirsi all’importanza di prendersi cura e, facendo riferimento all’omonima canzone di Battiato, ha glissato così: “Come puoi percepire la gioia se non sei passato attraverso le forche caudine?”.

Buongiorno Paolo: come hai vissuto quest’anno di pandemia? 

«In tutta franchezza mi sento un sopravvissuto già da prima della pandemia. Questo aspetto non è mai da sottovalutare. Ma anche la specie umana dovrebbe sentirsi così. Se il Covid ci avesse colto prima di questo tempo sarebbe andata peggio. Per fortuna tecnologia e sviluppo scientifico hanno giocato a nostro favore, e non sono cose da sottovalutare. Penso che essere chiusi in casa da vivi sia meglio che essere chiusi altrove da morti. Ho vissuto come un monaco, cioè come sempre, ma ho viaggiato meno. Il fatto di viaggiare apre nuovi orizzonti, e questa è la cosa che mi è mancata di più.»

Che significato ha per te tornare a suonare dal vivo con maggiore continuità? E farlo a Verona questo sabato, in Villa del Bene?

«Tornare live è qualcosa di interessante, perché alla mia età, sinceramente, è un confronto esatto con le intuizioni che ho avuto nel tempo. È come dare un esame a se stessi. Io pretendo molto da me, e anche dal resto dell’umanità. A Verona ho suonato con gli Scisma nel ’95 e c’era la neve, una persona sola a vederci e poi è caduto un aereo. A Verona ho capito l’importanza di esprimere quello che si ha dentro anche quando non c’è la possibilità di fare intrattenimento. L’importanza di suonare per vibrare, e non per sedurre. Che è una cosa che io non faccio mai.» 

All’inizio degli anni 0 hai partecipato al mio libro Riserva Indipendente: cosa è cambiato negli ultimi 10 anni nell’ambito musicale italiano?

«È cambiato che siamo tornati agli anni ’60. Questi ragazzi in televisione, che cercano di mostrare quanto sono bravi…noi, quelli della mia generazione, siamo i Villa e i Taioli, i giovani i Celentano e le Mina. Si usa la musica per avere compagnia, per divertirsi insieme non pensando a nulla. In un periodo in cui si pensa al niente. Ed è un peccato, perché se uno pensa male parla male, e chiaramente non dico questo perché mi manca spazio, è semplicemente un confronto con l’umanità altrui.» 

Sei soddisfatto del percorso che ha fatto il tuo ultimo album fino ad ora?

«Non so che percorso abbia fatto (ride). Lo sono di averlo fatto con felicità e con persone con cui sto bene. Se uno fa ricerca non è interessato a come verrà accolta. Mi interessa poter essere il più puro possibile, gli uomini non sono altro che complicazioni delle cellule.» 

Ascoltandolo mi è balenata l’idea che uno come te non possa trovarsi bene in questo tempo… sbaglio?

«Io mi trovo benissimo, ma il mondo musicale non mi interessa quando travalica e diventa esibizione, necessità di strappare i biglietti e di far vedere “quanto siamo belli e bravi”. È ovvio che sono io il disadattato. Mi sono trovato il mio piccolo spazio, pieno di libri e di intuizioni di altri per pensare alle cose. Non mi trovo bene nel mondo di rappresentazione, e oggi è tutto rappresentazione. I social hanno fatto in modo che tutti abbiano il modo di rappresentarsi per come non sono.»

Considero “Orlando” la più bella canzone che hai scritto, e probabilmente una delle più belle canzoni d’amore italiane. Come è nata e… quali sono le tue canzoni che prediligi?

«”Orlando” è nata durante un viaggio in Basilicata, in cui dovevo dimenticare molto cose. Bruciavano i campi di grano dopo il raccolto, passavo di collina in collina vedendo questi incendi. Questo mi ha spinto a considerazioni importanti. È un pezzo molto sentito. Lo mandai a Sanremo e uno dei responsabili disse che era bello, ma anche che non c’era spazio per uno come me. Fu l’ultimo tentativo vero di andarci, più per disperazione che per altro. I miei pezzi che considero più importanti sono quelli che suonano più fedeli alla loro versione live. Per una questione di fluidità con le cose. Se racconto storie che non ho mai vissuto è tutto sterile. Devo andare verso il centro della mia tempesta. Chi suona e costruisce con le idee raramente è una persona sana. Io costruisco per distruggere. Io non voglio sedurre nessuno, voglio soltanto capire. Ecco perché per me non esiste un pubblico, ma solo un privato. C’è sempre un rapporto di relazione: mi piacerebbe essere pioggia, o terra sotto i piedi degli altri. Spero di poter essere utile a mia figlia, e a chi incontro. Vorrei cambiare la prospettiva anche solo di un essere umano, essere un ricercatore, uno scolaro. Per farlo a 60 anni devi essere pronto a sacrificare qualcosa.»

Recentemente hai partecipato in tv a “Lui è peggio di me”, programma in cui hai suonato con Marina Rei Cerchi “Nell’Acqua”. Cosa pensi del mezzo televisivo per esporti?

«L’impressione è quella di essere John Belushi quando va al ristorante e comincia a mangiare, un cafone in mezzo ad un certo tipo di nobiltà. Poi quando ho cominciato a suonare è accaduto il contrario. È un’incursione in mondi che a me non interessano. È stato però strano essere tranquillo mentre gli altri erano preoccupati, eccetto Giallini, che è molto bravo. Alcune domande e risposte sono state tagliate. Insomma: esperienza sempre divertente, ma anche molto deludente.» 

Paolo Benvegnù in una foto di Antonio Viscido

Giallini è un rocker, una persona vera…

«Ti confermo che quando si incontrano uomini così deboli e contemporaneamente così forti bisogna inchinarsi ai loro estremi. Per me è un fratello, mi è entrato direttamente nelle parti più preziose. Bisognerebbe tenere conto e avere cura di questi esseri umani. Così come non ci siamo presi cura abbastanza di esseri incredibili come Pasolini e Volontè, non lo stiamo facendo con Elio Petri. Ci sono state altezze eccezionali, a livello umano. Basti pensare a Battiato, che ha lasciato un’attitudine più che le canzoni. Ci vuole saggezza per parlare di lui. Si può astrarre opera Battiato dalla persona? Non credo, quando si parla di una persona che ogni giorno ha cercato di consumare il proprio limite. È qualcosa di inaudito. Chi altri lo ha fatto?»

De Andrè?

«Sono d’accordo. La grandezza di certi esseri quando gli passi vicino si sente. E io l’ho incrociato, a suo tempo. Lui aveva un’energia complessa e forte. Battiato leggera e divertente. Mi ha colpito tantissimo, mentre facevo il panettiere alle 8 di una mattina, Vittorio Gassman. Ero a 25 metri da lui e sentivo la potenza afferrarmi tutto il corpo. David Bowie è riuscito a fare capire questa cosa. Cosa è “Blackstar” se non questo, un incrocio di uomo e spettacolo. Ho bisogno di vedere gente viva, e non gente che non sa quali sono i propri desideri.»

Come va con Marina Rei, a che punto è la vostra collaborazione?

«Con Marina è strano. Ha un personalità duale. È una donna giovanissima, che lavora alacremente sulle proprie forze e debolezze. Ma contemporaneamente è una bambina, sembra Anna Magnani e poi Marlene Dietrich. Questa cosa, capirne il segno, mi piace. È un dialogo con una persona che non comprendo particolarmente, un’opportunità di sviluppare un’alterità.» 

Non voglio esimermi poi dal chiederti anche della collaborazione con Marco Parente, anche lui  con cui hai vissuto l’esperienza “Proiettili Buoni” e con cui abbastanza recentemente hai condiviso il palco….

«Marco è diverso. È fantastico perché è come se fosse un aquilone in perenne movimento. Mi fa ridere poter essere la sua terra quando siamo insieme, l’albero a cui è aggrappato questo aquilone. Ha altezze impossibili anche da desiderare. Mi completa. Penso che sia un uomo talmente in continuo spostamento che è veramente un’esperienza incredibile stargli accanto. Anche i miei compagni sono simili a lui.» 

Ci sono artisti che non raccolgono quanto meritano? Se sì quali?

«Alessandro Fiori è incredibile. Grazian è un altro eccezionale. Poi se uno si muove guardando anche alle cose più piccole ci sono meravigliosi esempi. Ci sono esseri umani cui manca il tempo e lo spazio esatto per loro. Se una cosa è davvero significante bisogna dare tutto il proprio contributo, è importante. La mia è una visione da monaco.» 

Foto di copertina di Antonio Viscido

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