Sta avendo un grande successo sulla piattaforma Netflix una fiction americana, Bridgerton, tratta da un libro della prolifica scrittrice Julia Quinn e prodotta da Shonda Rhimes, già conosciuta per Grey’s Anatomy e Scandal.

La vicenda si svolge a partire dal 1813, nel periodo cosiddetto Regency, quando, per la malattia mentale di Re Giorgio III, il potere passo’ al Reggente, il futuro Giorgio IV. Questi Sovrani erano di origine tedesca, della casata degli Hannover, che divennero Re d’Inghilterra per una circostanza fortuita, ossia il fatto che l’ultima discendente della precedente dinastia non avesse potuto accedere al trono perché di religione cattolica.

Il periodo Regency coincise con un intenso sviluppo economico del Paese, nonostante l’enorme impegno finanziario, militare e umano richiesto dalle guerre contro Napoleone Bonaparte, allora all’apice del potere. Il Regno Unito godeva in quel tempo di norme giuridiche che garantivano la proprietà privata, del benessere ottenuto dallo sfruttamento delle colonie, di una possente marina sia militare che mercantile, di un incremento della ricchezza agricola e fondiaria – pur non priva di effetti inflazionistici – della messa a coltura di migliaia di ettari di terre incolte e di uno sfruttamento dei giacimenti di carbone e ferro per la crescente industria.

Tutto ciò si era trasformato in un miglioramento del tenore di vita, che aveva però riguardato solo le upper class, mentre continuavano ad esistere estese sacche di povertà, in particolare nelle grandi città, che provocavano di tanto in tanto rivolte locali.

Il benessere si era tradotto in investimenti pubblici (strade, canali, porti), ma anche privati con la costruzione di ville, palazzi, padiglioni, giardini, fontane ecc. Tutti noi, in visita a Londra, abbiamo percorso quella strada “curva” che congiunge Piccadilly Circus con Oxford Circus e che si chiama, per l’appunto, Regent’s Street, la Strada del Reggente.

Bridgerton richiama tutto questo e offre della metropoli e della vita del tempo una immagine idilliaca, secondo l’ottica della classe dominante: abitazioni sontuose, vasta disponibilità di cavalli e carrozze, personale di servizio in abbondanza, vestiti sfarzosi e gioielli preziosi che ornano gli abiti stile Impero, copiati dalla Francia dove erano stati introdotti dall’Imperatrice Giuseppina, consorte di Napoleone. Davvero superba è la ricostruzione dei costumi, assolutamente fedeli ai disegni originali, ma con colori molto più vivi per soddisfare il gusto contemporaneo. Basti pensare che ne sono stati approntati, per le otto puntate, ben 7500, di cui 104 solo per la protagonista. 

Si tratta, tuttavia, di un ritratto fasullo: se confrontiamo Bridgerton con un’ altra famosa fiction, Downton Abbey, con cui sembra rivaleggiare per interesse di pubblico e di critica, ne scorgiamo subito le incongruenze. Downton Abbey offriva uno spaccato realistico e fedele della società inglese del primo trentennio del Novecento (un secolo dopo quindi), mentre in Bridgerton non vi è molto di veramente realistico. Ma il proposito dei produttori è esattamente questo: un tentativo di espiare, attraverso una fiction irreale, le “sopraffazioni” compiute nei secoli passati dai bianchi sulla popolazione di colore. In altri termini si tratta di una rivisitazione idealizzata di una ipotetica società britannica, liberale e multietnica, nella quale avremmo potuto imbatterci se gli odierni canoni del politically correct fossero stati applicati allora e se l’ascesa economico – sociale delle varie minoranze non fosse stata ostacolata dalla schiavitù e dalla discriminazione razziale.

Per questo assistiamo a scene che ci colpiscono: la Regina Carlotta (di puro sangue tedesco), moglie del Re demente, è di colore, esattamente come Simone, Duca di Hastings, il principale personaggio maschile. I maschi sono i grandi assenti in questa fiction, tutta incentrata sulla maturazione e sull’ascesa sociale dell’elemento femminile, ritratto in un momento speciale: il gran ballo che segna il debutto in società, quando le giovani ed affascinanti ragazze (e le loro madri) si affannano a cercare un partner bello, affidabile e naturalmente ricco. 

La scelta è tutt’altro che facile, visto che anche la protagonista, Dafne, che pure si innamora del partito più attraente, il Duca, ne scopre il lato tenebroso e complesso, il quale per un giuramento fatto al padre in punto di morte si impegnerà tanto lungamente quanto inutilmente a non intessere relazioni stabili con l’altro sesso, rifiutando di sposarsi e di avere figli. 

Qualche critico ha voluto vedere in questo travagliato e contrastato rapporto tra un aristocratico di colore e una nobildonna bianca una nota di attualità: il matrimonio tra il Principe Harry e Megan che per sfuggire alle critiche e alle maldicenze di Corte hanno preferito abbandonare Londra e rifugiarsi all’estero. D’altra parte nella fiction queste ultime non mancano di certo, alimentate da una scandalistica quanto misteriosa Lady Wistledown (la Signora Fischio in italiano!), che puntualmente ogni settimana dalle pagine di un  ricercatissimo libello riempie di gossip, pettegolezzi e fake news la vita di questi poveri “annoiati” .

La libertà delle donne viene affermata in modo anche singolare, grazie alla possibilità di assistere liberamente a incontri di pugilato; al contempo essa viene limitata dal controllo esercitato dai fratelli maggiori, che sorvegliano strettamente la nascita di una relazione, sia nei balli sia durante le celebri “passeggiate” nei viali.

Non manca un elemento di “autodistruzione” (un Dorian Gray ante litteram) incarnato da alcuni esponenti di questa aristocrazia che non si fanno mancare nessuna esperienza di piacere, dal sesso all’alcool al tabacco; tutti giovani rigorosamente bianchi, esattamente come bianchi sono coloro che popolano il “sottobosco” urbano, impegnati nei lavori più umili e avvilenti (è evidente in questo caso la provocazione razziale).

La musica stessa si adatta a questo rapporto “passato e presente”: accanto a composizioni tradizionali tipiche dell’epoca quali l’Anglaise e la Quadriglia, ascoltiamo brani di musica pop eseguiti da famosi artisti contemporanei. È musica contemporanea “ripensata” per inserirla nell’ambiente passato.

Per gli amanti della musica i brani sono:

Ariana Grande          “Thank you, next”.

Maroon 5                  “Girl like you”

Shaw Mendes           “In my blood”

Billie Eilish              “Bad guy”

Sufjan Stevens          “Love yourself”

Celeste                     “Strange”

Taylor Swift            “Wildest Dreams”