Annalisa Camilli, collaboratrice di Internazionale si trovava in Ucraina proprio quando è arrivata l’invasione russa e contemporaneamente Marta Ottaviani, collaboratrice di Avvenire, si trovava a Mosca. Entrambe intervenute Festival del Giornalismo 2023 al hanno descritto un panorama differente dal percepito tramite i media in Italia. Ha moderato l’incontro il giornalista Stefano Verzè.

Il racconto da Mosca

Marta Ottaviani accende subito gli animi aprendo il dialogo con una speranza di incriminazione di Putin per tutti gli eccidi che si stanno compiendo su tutto il territorio ucraino, e non solo per la deportazione di bambini. Si sta finalmente parlando di crimini di guerra e di attribuzione di colpe.

Marta Ottaviani accende subito gli animi aprendo il dialogo con una speranza di incriminazione di Putin per tutti gli eccidi che si stanno compiendo su tutto il territorio ucraino, e non solo per la deportazione di bambini. Si sta finalmente parlando di crimini di guerra e di attribuzione di colpe. «E questa è la parte più cruenta», commenta la Ottaviani. «Ma c’è un’altra guerra che bombarda le coscienze, bombarda l’opinione pubblica. Non è solo propaganda, vuole dire colpire il nemico senza che il nemico se ne renda conto.»

La Russia ha strutturato questo metodo nel corso dei decenni e la prima prova di successo è stata con la Crimea. Soprattutto in Italia, si è avuta la percezione che la Crimea volesse davvero annettersi alla Russia, che il movimento separatista primeggiasse senza rivali in tutta la regione. Pochissimi hanno verificato la situazione, magari andando sul campo. In nome del contraddittorio si è continuata la propaganda russa senza rendersene conto.

La diffusione delle notizie

«Ognuno nel mondo della rete, del giornalismo può essere soggetto passivo ma si può trasformare in un soggetto attivo» spiega la Ottaviani, intendendo con ciò far rimbalzare le notizie senza verificarle, ma solo fidandosi dell’autorevolezza dello scrivente.  In questo modo nel giro di pochissimo tempo di veicolano moltissime informazioni false e con la velocità della diffusione la rettifica non troverebbe lo stesso rilievo. Prendersi il tempo, controllare fonti e notizie, leggere il contesto e cercare la contro argomentazione, è il primo passo verso un giornalismo di informazione.

La Russia però alla dis- informazione ha aggiunto anche la repressione ed il controllo dei media. Durante le manifestazioni, gli attivisti più fervidi venivano bloccati in casa in modo da bloccare la loro partecipazione. La supervisione delle notizie, la verifica di ciò che può o non può trapelare, la sorveglianza e la manipolazione sono armi perfette per trasmettere un messaggio completamente travisato in tutto il mondo.

L’infochamber Russia

Per portare un esempio pratico dell’isolamento in cui vivono i russi, a Mosca nessuno si aspettava l’attacco. Nemmeno alcuni gerarchi militari vicini a Putin. Alle domande della Ottaviani, i generali rispondevano che la Russia non avrebbe potuto attaccare l’Ucraina per almeno tre ragioni. La prima era di ordine economico, la seconda di ordine militare, dal momento che la Russia non possiede un esercito forte, numeroso ed organizzato come agli occhi del mondo sembra essere e per finire il punto di vista umano. Per un russo sparare ad un ucraino sarebbe stato come sparare ad un fratello.

«La Russia viveva in una bolla tutta sua, era l’occidente che cercava un casus belli per invadere, erano gli americani a provocare uno stress test e non c’era assolutamente una guerra. Le truppe erano stanziate sui confini solo perchè erano confini che venivano regolarmente controllati», riporta Marta Ottaviani raccontando le osservazioni di quando si trovava proprio a Mosca.

I cittadini sono terrorizzati e per la maggior parte delle volte rispondono con frasi di circostanza per non rischiare il carcere. Anche le televisioni hanno direttive per filtrare le notizie che arrivano dall’esterno.In questo modo, per esempio, sono stati arruolati e mandati al fronte a combattere molti ragazzi, illusi di andare a fare qualche esercitazione vicino al confine. Le madri però non li han più visti tornare indietro.

Non dobbiamo però stupirci di questo poco realismo da parte dei cittadini. Innanzitutto, in Russia non c’è totale libertà di stampa e di opinione e ai cittadini manca il mind-setting per informarsi obiettivamente. Non sono abituati alla democrazia ed anche quando vediamo le rivolte di piazza, dobbiamo sempre tener presente che molta gente a quelle manifestazioni non è potuta andare perché fermata in casa dalla polizia. Ne sono esempio alcuni intellettuali che puntualmente in occasione di queste dimostrazioni si trovano le milizie all’uscio. «La Russia non può essere più nemmeno paragonata alla Turchia, può essere paragonata alla Corea del Nord» per coercizioni, asserisce la Ottaviani.

Quando Putin ordinò l’attacco, con i carri armati, nessuno in Russia se lo aspettava.

Nel frattempo in Ucraina…

Annalisa Camilli sposta poi l’attenzione su un punto molto importante che questa guerra ha riportato alla ribalta: l’importanza dell’informazione, dei giornalisti sul campo ed in linea più generale del giornalismo. «È stato il conflitto che ha avuto più accessi, tra i conflitti recenti, ma la maggior pare degli accessi è stato dato da una sola parte. Quasi il 95% dei giornalisti è accreditato in Ucraina. In Russia molti visti sono stati ritirati e pochissimi nuovi sono stati concessi.»

«Questo fatto inoltre è stato usato contro i giornalisti stessi. Anziché riflettere sul dato sbilanciato, i media hanno accusato i giornalisti di essere di parte. Per questo», ha continuato la Camilli, «è sempre importante ribadire le condizioni in cui si fa giornalismo». È stato importante avere gli inviati perché molte testimonianze nei processi sono state ricavate dai reportage.

I progressi ucraini

C’era poi un paese che iniziava ad approvare riforme. «L’Ucraina aveva iniziato un processo che era abbastanza maturo, di autonomia, di decolonizzazione per cui gli ucraini reagiscono rivendicando la loro autonomia» racconta la Camilli. Per questo Putin, che tiene molto ai simboli, ha pontato dritto su Kiev. Per la Russia l’impero russo, che nella sua testa sta ricreando, deve comprendere l’Ucraina e la capitale deve essere Kiev. In questo clima concitato però si ravvisava una situazione di pericolo solo marginale. «Si conviveva con lotte interne per l’autonomia di alcune regioni ma spingeva verso l’europeizzazione

Nemmeno in Ucraina qualcuno si aspettava che i carri armati sarebbero entrati nei loro confini. Tantomeno le popolazioni ritenute russofile, come il Donbass, in cui il primo giorno di attacco gli abitanti hanno smesso di parlare il russo ed hanno iniziato a parlare in ucraino.

Questo dimostra come, nonostante le crepe interne di diversa matrice, “il popolo si è ritrovato unito, nonostante appunto le sue differenze. Questo è stato il miracolo di Putin: far diventare nazionalisti ucraini anche chi prima non lo era e spingere l’Ucraina verso l’alleanza atlantica”.

Memorial e la ricontruzione del passato

Al termine del dialogo tra le due giornaliste, è intervenuto il professor Stefano Aloe dell’organizzazione internazionale per i diritti umani “Memorial”. Fondata in Russia durante la caduta dell’Unione Sovietica per studiare ed esaminare le violazioni dei diritti umani e altri crimini commessi durante il regno di Stalin, si occupa oggi di ricostruire il passato dei russi. Cercando negli archivi, tra le foto e nei documenti si compone il passato delle famiglie, che spesso non arrivano a conoscere oltre la prima generazione a causa delle deportazioni. Attualmente l’organizzazione è stata messa al bando in Russia, nonostante vi siano ancora ricercatori che lavorano in segreto.

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