La produzione di carne non proveniente da allevamento di animali sta per uscire dalla fase sperimentale e si propone come una novità per soddisfare i bisogni nutritivi della popolazione e, contemporaneamente, rispettare l’ambiente.

Il ministro dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare, Francesco Lollobrigida, nel consiglio dei ministri del 28 marzo, ha annunciato un disegno di legge per vietare in Italia la produzione di carne definita (impropriamente) “sintetica”.

Confermando il carattere punitivo e sanzionatorio che caratterizza ormai il modo di operare del governo di Giorgia Meloni, il ddl prevede per coloro che producono, vendono, distribuiscono o somministrano alimenti, bevande e mangimi realizzati in laboratorio, partendo da cellule animali, sanzioni da 10 a 60mila euro, fino al 10% del fatturato totale annuo, includendo la chiusura forzata dell’attività.

Il tema della qualità e la disponibilità di cibo, con tutte le implicazioni di ordine economico e sociale, etico e ambientale, gli effetti sul clima e sui consumi di energia, sono importanti, fondamentali per la nostra sopravvivenza, non possono essere banalizzati per paura del nuovo o semplicemente per la difesa di interessi corporativi.

Cerchiamo quindi di approfondire l’argomento coinvolgendo due esperti dell’Università di Verona che hanno accettato di rispondere insieme alle nostre domande. Si tratta di:

Flavia Guzzo, docente di Botanica generale presso il Dipartimento di Biotecnologie, coordinatrice del gruppo di ricerca “Biologia vegetale e metabolomica”, coordinatrice dell’attività “National Biodiversity Future Center”, finanziato con 3.5 milioni di € dal PNRR.

Flavia Guzzo, docente di Botanica generale presso il Dipartimento di Biotecnologie Univr

Gianni Zoccatelli, docente di Chimica degli Alimenti presso il Dipartimento di Biotecnologie. Si occupa dello studio di molecole nutraceutiche e di come queste possano essere veicolate al fine di realizzare ingredienti e alimenti funzionali.

Gianni Zoccatelli, docente di Chimica degli Alimenti presso il Dipartimento di Biotecnologie. Univr

Innanzitutto di quale prodotto stiamo parlando?

«Sgombriamo il campo da un equivoco: non si tratta di cibo “sintetico”, ma decisamente “biologico”, in quanto costituito da cellule. Esattamente come la carne “convenzionale”. La differenza sta nel fatto che le cellule che compongono la carne convenzionale sono prodotte all’interno del corpo di un animale, mentre queste sono prodotte all’interno di un bioreattore, cioè di un recipiente tecnologico e molto, molto pulito: in pratica, si parte da poche cellule che vengono “coltivate” e moltiplicate senza che ci sia necessità di sacrificare l’animale. Si tratta di una tecnologia relativamente nuova finalizzata a produrre carni con valore nutrizionale del tutto simile a quello delle carni convenzionali, ma senza il sacrificio dell’animale e con minore impatto sull’ambiente».

Dobbiamo quindi parlare di “carne coltivata” e non “sintetica”. Ma, qual è la vostra opinione sull’intervento del ministro Lollobrigida?

«Lo troviamo inopportuno e oscurantista perché blocca l’innovazione senza giustificazioni ragionevoli. Il nostro Paese è il primo a proporre questo tipo di provvedimento, potrebbe rimanere l’unico, mentre gli altri continueranno a ricercare, affinare e migliorare questa tecnologia dalle grandi potenzialità, che potrebbe portare allo sviluppo di nuovi prodotti alimentari salutari e a basso impatto ambientale, oltre che rappresentare un’importante opportunità economica per il nostro Paese.

Peraltro, la carne di pollo coltivata in laboratorio ha recentemente avuto l’approvazione della FDA (Food and Drug Amministration) statunitense, e non c’è dubbio che questo spingerà notevolmente ricerca e sviluppo nel settore: è facile prevedere che finiremo con il comprare da altri Paesi prodotti e tecnologie, con grave danno, anche occupazionale, dei settori coinvolti». (Il Ddl Lollobrigida non vieta l’importazione di prodotti generati da cellule animali Ndr)

Affermate che il provvedimento è privo di giustificazioni ragionevoli. Quali?

«Non è una giustificazione ragionevole, ad esempio, il principio di precauzione evocato dal Ministro Lollobrigida, spalleggiato da quello della Sanità Orazio Schillaci, perché in Europa i nuovi cibi (“novel food”, tutti i prodotti privi di storia di consumo “significativo”, quelli introdotti dopo il  15 maggio 1997 Ndr), prima della loro immissione in commercio devono essere sottoposti ad un rigido processo di valutazione della sicurezza in capo alla all’Autority Europea per la sicurezza alimentare: se esistono dubbi sulla sicurezza di un prodotto, questo non potrà essere commercializzato. La salute, quindi, è già doverosamente tutelata dalla normativa vigente anche per la carne coltivata (cultured meat)».

Cosa ci dite sulla sostenibilità ambientale della “coltivazione” della carne?

«Anche la tutela dell’ambiente non è una giustificazione ragionevole al provvedimento.

Purtroppo, pur applicando le migliori pratiche zootecniche, produrre carne in modo tradizionale non è un processo fra i più sostenibili. (L’allevamento, specialmente quello intensivo, oltre a causare deforestazione per i pascoli e le coltivazioni di foraggio, ad assorbire tantissima acqua è responsabile di circa un terzo delle emissioni di metano da attività umane. Ndr)

Non possiamo affermare a rigore che la produzione di carne in un bioreattore, al momento, lo sia a causa dell’alta spesa energetica.Tuttavia una tecnologia agli albori ha ampissimi margini di miglioramento. Sono già stati pubblicati studi scientifici che sottolineano come la “coltivazione” della carne, oltre ad impiegare meno terreno che potrebbe essere invece destinato altre colture, può produrre meno inquinanti e gas serra.

In ogni caso è necessario studiare e sperimentare, e la messa al bando per principio non aiuta certo una serena ricerca nel settore».

L’impatto sulla biodiversità potrebbe invece essere importante e negativo. Cosa ne pensate?

«Non è una giustificazione neppure la tutela della biodiversità, evocata dai Ministri: lo sviluppo della carne in un bioreattore non significa l’eliminazione della carne tradizionale e quindi dell’agrobiodiversità delle razze animali!

Peraltro, il concetto di agrobiodiversità è affascinante e certo da difendere, ma intrinsecamente e concettualmente opposto al vero concetto di biodiversità. È infatti ampiamente provato che durante la rivoluzione neolitica, quando i nostri progenitori selezionarono le piante da coltivare e gli animali da allevare, la dieta umana divenne enormemente più povera e meno “biodiversa”, in termini di specie consumate, rispetto alla dieta del precedente paleolitico».

Con lo sviluppo di una industria per la coltivazione della carne non si rischia di dimenticare le tradizioni alimentari?

«Non è una giustificazione neppure la tutela della nostra cultura e delle nostre tradizioni alimentari: vogliamo pensare che la nostra società sia sufficientemente matura per accettare con serenità che, per quanto le tradizioni alimentari del nostro paese siano meravigliose, ciascuno possa avere la sacrosanta libertà di scegliere cosa mangiare in base ai propri gusti, la propria personalità, la propria etica.

Pensiamo invece che quel disegno di legge sia lesivo delle libertà individuali di quelle moltissime persone che chiedono di poter accedere ad alimenti “etici” ottenuti senza il sacrificio degli animali e non lo potranno fare. È giusto salvaguardare le tradizioni alimentari, ma non siamo tutti uguali, e i cittadini hanno il diritto di fare le proprie scelte in fatto di alimentazione».

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