Con l’obiettivo di predisporre un servizio di monitoraggio, conservazione, ripristino e valorizzazione della biodiversità italiana, il 23 giugno scorso a Palermo, si è costituito il National biodiversity future centre, un ambizioso progetto finanziato dal Pnrr, per i primi tre anni (2023-2025), con 320 milioni di euro e che coinvolgerà i migliori centri di ricerca italiani.

La più grande iniziativa di ricerca e innovazione sulla biodiversità in Italia 

Con il coordinamento del Consiglio nazionale delle ricerche, presieduto da Maria Chiara Carrozza, verranno coinvolti oltre 1300 ricercatori, 50 enti partner per sviluppare virtuose sinergie tra università, organismi di ricerca, fondazioni e imprese scelti in base alla loro comprovata leadership scientifica e tecnologica.

Con questa iniziativa si vuole posizionare l’Italia come paese di riferimento per lo studio e la conservazione della biodiversità, formare una nuova classe di ricercatori con competenze multidisciplinari, capaci di affrontare temi complessi e individuare soluzioni tecnologiche innovative.

Biodiversità bene comune

L’ecosistema di cui facciamo parte comprende un’estesa biodiversità, tante forme di vita diverse, interdipendenti, con le loro variazioni genetiche, legate da complesse relazioni sinergiche e delicate interazioni mutualistiche, che garantiscono alla collettività sostentamento e salute. Noi, esseri umani, siamo il risultato della relazione con la biodiversità che ci circonda.

La biodiversità è quindi un bene comune, un patrimonio prezioso e tangibile che va conosciuto e protetto. Un patrimonio che negli ultimi decenni ha conosciuto un rapido depauperamento a causa di fattori antropici e cambiamenti ambientali connessi al riscaldamento globale.

La vista del Lago di Garda da malga Monte Ortigara, foto dall’archivio dell’Unione Montana Baldo-Garda. Il Monte Baldo in antichità era definito Hortus Italiae e anche oggi costituisce un ambiente particolarmente ricco per biodiversità.

L’attività del National biodiversity future centre si svilupperà lungo otto linee di ricerca che riguarderanno la biodiversità in ambienti terreni, marini, urbani  e la sua valorizzazione.

Sarà strutturato secondo l’impostazione Hub&Spoke, ovvero con un punto centrale (lo hub) all’università di Palermo, per affrontare e migliorare il networking internazionale e le iniziative congiunte nell’area dello sviluppo, della protezione e del ripristino della biodiversità e 8 nodi (gli spoke) distribuiti su tutto il territorio nazionale, che si avvalgono della partecipazione dei partner affiliati al singolo spoke.

L’Università di Verona tra i fondatori

L’Università di Verona è uno degli atenei fondatori che ha contribuito a definire il progetto e disporrà di un finanziamento di 3,5 milioni di euro per tre anni. 

Affiliata allo spoke 6, attività 2 – Bioprospecting and bioactivity per la valorizzazione della biodiversità – studierà molecole ed estratti naturali bio-attivi, che possano essere utilizzati nell’ambito della salute umana e nella protezione delle piante.

Nel progetto veronese verranno coinvolti 14 ricercatori di cinque dipartimenti delle aree biotecnologica, medica e informatica, oltre a numerosi dottorandi, assegnisti di ricerca e ricercatori che verranno assunti nell’ambito del progetto stesso.  I componenti del gruppo di lavoro lavoreranno fianco a fianco per tutti e tre gli anni utili al raggiungimento degli obiettivi.

Con il coordinamento della docente di Botanica generale del dipartimento di Biotecnologie Flavia Guzzo, coadiuvata dalla docente di Genetica agraria Linda Avesani, i ricercatori veronesi si concentreranno sulla flora locale, sulla ricerca di nuove molecole per la prevenzione e la cura di malattie a base infiammatoria e neuro-degenerative e sulla protezione delle piante in agricoltura, oltre alla costruzione (questa è una novità interessante) di una nuova infrastruttura informatica che assista la ricerca nazionale in questi settori. 

Alla ricerca di nuove molecole

«Per la prima volta in Italia – spiega Guzzo – sarà effettuata dal nostro ateneo un’imponente prospezione di 600 specie vegetali rappresentanti tutte le circa 200 famiglie della flora italiana. La biodiversità vegetale rappresenta, infatti, un’enorme miniera di conoscenza ancora inesplorata. Con questa ricerca capillare si intende mettere a profitto una preziosa mole di risorse, utile a identificare nuove molecole per la salute umana e degli ambienti agricoli, e per trovare soluzioni a problemi umani basate sulla natura».

Per l’università di Verona è un riconoscimento delle esperienze e competenze multidisciplinari, maturate attraverso collaborazioni già in atto, nel campo delle bio-attività (anche farmacologiche) delle sostanze naturali derivate dalle piante.

L’auspicio di un centro permanente

L’auspicio dei ricercatori e delle ricercatrici veronesi è che il progetto condotto dall’ateneo scaligero porti alla costituzione di un centro permanente, un volano locale di innovazione e salvaguardia ambientale, capace di ispirare attività suggerite anche per altri aspetti compresi nel piano di ricerca del National biodiversity future centre, come ad esempio la parte relativa alla gestione della biodiversità in ambiente urbano.

Il riferimento al tessuto cittadino veronese, alle sue competenze e potenzialità è immediato.

Flavia Guzzo e Linda Avesani non esitano a rivolgersi alla classe dirigente veronese: «Verona potrebbe essere coinvolta ad altri livelli in questo programma: pensiamo soprattutto al Museo di Storia Naturale e all‘amministrazione comunale, con cui desideriamo stabilire un dialogo proficuo, tramite progetti volti alla valorizzazione e all’implementazione del Piano urbano del verde».

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