«L’arresto di ieri a Palermo di Matteo Messina Denaro da parte dei Ros dei Carabinieri è un segnale forte della presenza dello Stato, ma non sancisce la fine della mafia in Sicilia, bensì di una lunga stagione di connivenze e complicità. Come è stata possibile una latitanza durata 30 anni? Questa è ora la domanda sulla quale la politica si deve interrogare. Ma da troppo tempo la lotta alle mafie non è più uno dei temi centrali dell’agenda politica del nostro Paese. È diventato un argomento residuale, di non facile trattazione che viene sopraffatto in questo periodo storico dalle crisi determinate dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina. La maggior parte delle persone e dei politici sono più attenti alle emergenze del lavoro, del caro bollette, cose assolutamente importanti, e non si rendono conto di quali danni stiano facendo le mafie e la corruzione in Italia e, recentemente, anche nelle istituzioni europee».

A parlare così è Pierpaolo Romani il Coordinatore nazionale di Avviso Pubblico, associazione che opera per diffondere i valori e la cultura della legalità e della democrazia attraverso l’impegno concreto degli enti che vi aderiscono mettendo in pratica tutte le forme possibili di contrasto alla criminalità e alle diverse forme di illegalità.

In altre parole, da 27 anni Avviso Pubblico è al fianco di comuni, province e regioni nella lotta alle mafie. Nella sola provincia di Verona hanno aderito all’associazione 36 comuni, tra i quali Verona, e una società, Acque Veronesi.

Romani, cosa si deve fare affinché la lotta alle mafie torni centrale nel dibattito politico?

«Occorre che i cittadini esercitino sulle forze politiche una forte pressione affinché esse prendano in seria considerazione il problema della lotta alle mafie e alla corruzione, fenomeni che costituiscono una minaccia seria e concreta alla nostra democrazia.  Lo provano l’inquinamento di certe campagne elettorali – sono stati 280 i Comuni sciolti per mafia dal 1991 al 2022 – e dell’economia, come attestano le 139.524 operazioni finanziarie sospette analizzate nel 2021 dall’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia, +23,3% rispetto all’anno precedente, pari ad un valore di 49 miliardi di euro. Mafie e corruzione, sono, infine, una minaccia alla nostra sicurezza.»

Nel dibattito pubblico, e in alcune forze politiche, la lotta all’immigrazione clandestina ha un impatto maggiore di quello alle mafie. Perché?

«Viviamo in un mondo fortemente squilibrato e diseguale, ma direi anche sempre più impoverito e violento, con seri problemi determinati dal cambiamento del clima, e quindi le persone che si trovano a vivere in contesti difficili non avendo altre alternative scappano dai propri Paesi. Riducendosi, però, le vie legali per accedere a un altro Stato si ampliano le vie illegali. A questo, inoltre, dobbiamo aggiungere che la manodopera a basso costo è funzionale a un sistema economico neoliberista che punta a fare profitto abbattendo i costi. Quindi c’è una domanda alta di lavoro a basso costo, se non addirittura schiavistico come dimostrano diverse inchieste sul caporalato. Chi può fornire questa manodopera? Le organizzazioni criminali. Noi dobbiamo essere coscienti che la questione dell’immigrazione non è un problema esclusivamente di ordine pubblico – va respinta con determinazione l’equazione tra immigrazione e criminalità – ma un problema politico, demografico, economico e di distribuzione delle ricchezze del nostro pianeta, che si affronta con un’azione politica globale concertata tra paesi di origine, di transito e di destinazione dei flussi.»

Parlando di Verona è più giusto dire che siamo in presenza di infiltrazioni mafiose oppure che esiste un radicamento delle cosche mafiose nel tessuto sociale?

«Come dimostrano le inchieste Isola Scaligera e Taurus del 2020, a Verona si parla ormai di un radicamento delle mafie, innanzitutto di natura economica, almeno trentennale, in particolare della ‘ndrangheta. Queste organizzazioni, disponendo di ingenti capitali frutto soprattutto del traffico di sostanze stupefacenti, hanno attivato delle imprese che operano in diversi settori, tra cui quello edile, dei trasporti e, anche, del turismo, riciclando quantità significative di denaro sporco.

Verona è una piazza importante per lo spaccio di sostanze stupefacenti e un territorio di transito della droga, che sfrutta la presenza di un aeroporto, di un centro ferroviario e di uno snodo autostradale significativi. Un’attenzione particolare, come ha dimostrato anche un recente protocollo sottoscritto tra il Comune e la Prefettura, va posto al mercato agroalimentare. Aggiungerei anche la necessità di tenere alta l’attenzione sul terminal di scambio di container.»

Ne sono un campanello dall’allarme le venti interdittive antimafia emesse negli ultimi tre anni dal prefetto di Verona…

«Il prefetto in una recente intervista ha dichiarato che nessun settore produttivo veronese può dichiararsi immune. Oltre a quelli sopra ricordati (edile, trasporti e turismo ndr), abbiamo avuto interdittive anche nel settore dei carburanti, tabaccherie, ristoranti e distributori di benzina. Ora occorre prestare molta attenzione anche al Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) visto i capitali che arriveranno sul nostro territorio. Ma anche a quelli destinati alle Olimpiadi Milano-Cortina, con Verona che ospiterà cerimonie importanti.

Vorrei portare a conoscenza che nella nostra città Avviso Pubblico e la Camera di Commercio hanno dato vita a un progetto denominato “Consulta della legalità” per realizzare una rete di legalità organizzata che metta assieme le attività produttive, gli enti locali, la questura, la prefettura, le forze di polizia per alzare le barriere di prevenzione sulle infiltrazioni mafiose e per segnalare le attività sospette.»

Qual è l’esempio classico di come le mafie si introducono nel contesto produttivo scaligero?

«Come sta emergendo dai processi in corso, l’inserimento avviene prestando capitali agli imprenditori in sofferenza e ricorrendo alle frodi, alle truffe, alle false fatturazioni per agevolare l’evasione fiscale facendo affari. Non manca inoltre il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti. Si è giunti anche alla fornitura di servizi, tra cui la manodopera attraverso azioni che rientrano nel fenomeno del caporalato, e la raccolta e smaltimento dei rifiuti. In un’inchiesta dell’estate 2020 è emerso anche l’utilizzo della corruzione di persone operanti in una società partecipata del Comune di Verona.»

Quarant’anni anni fa, il 13 settembre del 1982, il Parlamento italiano approvava la legge n. 646, nota come “Rognoni-La Torre”, che introdusse per la prima volta nel Codice penale il reato di “associazione a delinquere di tipo mafioso” (art. 416 bis) e la conseguente confisca dei beni. A Verona e provincia come sta funzionando questa legge?

«È stata una legge importante perché sostiene che per sconfiggere le mafie non basta arrestare, processare e incarcerare i mafiosi, ma occorre impoverirli. Dobbiamo ricordarci che il potere delle mafie si basa sulla ricchezza, sul possesso di capitali e di beni. Nel 1994 la Commissione antimafia scrisse che un mafioso senza ricchezza è come un re senza scettro e quindi non conta nulla.

Pierpaolo Romani, Coordinatore nazionale di Avviso Pubblico

In Veneto fino a oggi, secondo i dati dell’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati, sono stati tolti ai mafiosi 440 beni immobili, 78 dei quali si trovano nella provincia di Verona e la maggior parte di questi, 54, sono stati poi destinati ai comuni da utilizzare come uffici o per iniziative sociali, tramite assegnazione ad associazioni e cooperative. Un esempio è la casa confiscata a Erbè che è diventata il centro regionale degli scout e luogo dove si tengono anche i campi di Libera e dello Spi Cgil con giovani provenienti da tutta Italia per parlare di legalità, prevenzione e contrasto alle mafie. Ma quasi certamente le confische aumenteranno a seguito delle inchieste in corso e che ho citato.»

Dal 2011 stilate il Rapporto “Amministratori sotto tiro”. Cosa racconta il vostro dossier del Veneto e della provincia di Verona in particolare?

«Dal 2011 al 2021 vi sono stati nel Veneto 169 atti intimidatori e di minaccia verso amministratori locali. Le provincie più esposte al fenomeno sono quelle di Venezia, Treviso e Padova. Vorrei ricordare che nel 2014, in provincia di Verona, ci fu un episodio gravissimo che vide come protagonista l’allora sindaco di Affi. In pieno giorno, mentre era a pranzo con la famiglia, qualcuno sparò dei colpi di pistola verso la sua abitazione, ma per fortuna non ci furono morti e feriti. Di quell’episodio non si è saputo più nulla.

Volevo anche ricordare che la redazione del Rapporto ha favorito l’istituzione di una commissione monocamerale d’inchiesta presso il Parlamento che ha permesso l’approvazione, nel 2017, della legge 105 che consente agli investigatori di avere maggiori strumenti a disposizione per individuare chi minaccia o intimidisce un amministratore o una amministratrice locale. Abbiamo ottenuto anche che nella legge di bilancio dello Stato a partire dal 2021, e per ogni anno, sia istituito un fondo del valore di cinque milioni di euro a favore degli amministratori e amministratrici oggetto di minacce, ma anche che parte di questi soldi vengano usati per promuovere la cultura della legalità.»

Quindi promuovere la cultura della legalità anche nelle scuole…

«È uno degli obiettivi di Avviso Pubblico diffondere la cultura non solo della legalità, ma della cittadinanza attiva e responsabile. Con la Regione Veneto portiamo avanti da otto anni il progetto denominato “Giornata regionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie” che ha coinvolto più di cinquemila studenti e oltre duecento insegnanti. Il progetto ha la durata di cinque mesi per ogni anno scolastico, durante i quali i ragazzi partecipano a due incontri: uno con degli esperti e uno con i famigliari di vittime delle mafie. In questo modo i ragazzi capiscono meglio come le mafie sono arrivate e operano in Veneto.

Tutti i lavori dei ragazzi sono poi visibili sul sito internet www.grmiveneto.it ma c’è anche una app (Grmi Veneto) scaricabile dagli smartphone nella quale abbiamo inserito quattro podcast realizzati da una ragazza e un ragazzo che raccontano la storia di quattro vittime innocenti originarie del Veneto. Il 24 marzo prossimo, poi, si terrà a Verona, al Teatro Filarmonico, la giornata regionale della memoria e dell’impegno nella lotta alle mafie che porterà in città quasi mille ragazzi con i loro insegnanti proventi da tutto il Veneto.»

Che messaggio vorrebbe indirizzare ai veronesi?

«A tutti coloro che vivono a Verona e provincia vorrei dire che dobbiamo tenere gli occhi e le orecchie bene aperti, avere fiducia nelle istituzioni, segnalare le situazioni sospette e denunciare i reati che vengono compiuti. Non possiamo essere né indifferenti né omertosi. Le mafie sono un fenomeno con cui dobbiamo misurarci. Negli ultimi anni le scuole scaligere hanno fatto diversi progetti, così come alcune associazioni.

Inoltre, mi pare importante evidenziare l’attivazione delle categorie produttive in quell’ottica di rete cui facevo riferimento parlando del progetto “Consulta della legalità”. Un percorso è iniziato, ma la strada è ancora lunga e richiede un impegno costante e tenace, in un’ottica sistemica e interdisciplinare. Infine, è importante che i Comuni discutano di questi temi nei consigli comunali e che si costituiscano parte civile nei processi contro le mafie in Veneto e a Verona. È un segnale concreto di assunzione della responsabilità.»

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