Ne avevamo parlato nei recenti articoli sulla situazione politica della Libia e sui progressi (più attesi che reali, purtroppo) nella soluzione della guerra civile in atto tra le due fazioni di Haftar e al-Sarraj. Avevamo solo accennato all’altra battaglia, questa volta INcivile, che si combatte giornalmente al riparo dagli sguardi curiosi, nei campi di detenzione di migranti e profughi.

L’argomento di flussi migratori torna prepotente ad occupare giornali e social media, divisi tra i complottari a scrivere “non cielo dicono!1!” sotto a nuove foto dei barconi in arrivo e i politici di ogni schieramento e provenienza geografica a indignarsi e accusare il Governo italiano di aver lasciato prorogare l’accordo con la Libia nonostante le tante denunce delle ONG e l’impegno di Conte a rivederlo dello scorso novembre.

Le due posizioni sono forse più legate di quanto venga rilevato, con il considerevole aumento di profughi sbarcati a gennaio 2020 (1.275 contro i 202 del gennaio 2019) a funzionare di fatto da leva per le azioni, o meglio le INazioni dello Stato. Mostrare di poter in ogni momento liberalizzare  i controlli sul traffico di esseri umani costituisce implicitamente una sorta di minaccia, una sfida a provare anche solo a proporre di cambiare lo status quo.

Uno status quo che, in effetti, è uno dei segreti meglio celati del nostro Paese. Nessuno sembra sapere quanti miliardi di euro siano stati destinati negli agli accordi con la Libia, con quali finalità e attraverso quali strumenti e iniziative. Si va indietro al 2008, quando Berlusconi si impegnò con Gheddafi a impiegare USD 5 miliardi in aiuti al Paese, per sostenere la formazione e incrementare i ranghi della Guardia Costiera dedicata a pattugliamento e intercettazione dei natanti. Tale accordo sembra essere sopravvissuto al suo co-firmatario, nonostante le numerose denunce di violazione dei diritti umani, e fu rinnovato nel 2012, sotto il governo Monti. Nel 2017 (governo Gentiloni) il premier libico al-Sarraj presentò una richiesta ufficiale da soddisfare tempestivamente per navi, elicotteri, gommoni, ambulanze e veicoli attrezzati, cellulari satellitari ed equipaggiamenti militari: un totale di oltre € 800 milioni. “Avvenire”, nell’inchiesta che muove dalle rivelazioni del miliziano Bija, riporta un impegno dell’Italia per ulteriori 280 milioni da versare entro il 2020 a supporto delle autorità marittime, evidenziando come il ritiro della Operazione Sophia da parte della UE lasciasse di fatto libertà d’azione alle navi delle milizie libiche che si finanziavano con il contrabbando di petrolio.

Nessuno conosce veramente le pieghe nascoste degli accordi multilaterali, né l’entità dell’esborso effettivo e soprattutto nessuno ha modo di sapere come i soldi dei contribuenti siano stati spesi veramente. Una sola cosa è certa: le promesse di migliorare le condizioni di vita nei campi di raccolta (vogliamo dire concentramento?) sono volate nel vento cattivo del deserto, così come il declamato impegno al rispetto dei diritti civili richiesto da Amnesty International, Medici Senza Frontiere e Human Rights Watch, solo per citarne alcuni.

Dopo la decisione di UNHCR (agenzia delle Nazioni Unite per la gestione dei rifugiati) di chiudere le operazioni in Libia per motivi di sicurezza, arriva ora un nutrito dossier stilato dal secretary-general dell’ONU Antonio Guterres, presentato Consiglio di sicurezza e acquisito dalla Corte Internazionale de L’Aja, da cui riprendiamo qualche punto.

«I migranti prigionieri in Libia sono sistematicamente sottoposti a detenzione arbitraria e tortura da parte di funzionari governativi – si legge nel dossier – vi sono serie preoccupazioni riguardo al trasferimento di migranti intercettati dalla Guardia costiera libica verso centri di detenzione ufficiali e non ufficiali». Si parla inoltre di «omicidi illegali diventati molto diffusi». La Libia viene descritta come un «campo di prigionia a cielo aperto, dove si rilevano abusi e gravi violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario», tra cui si segnalano «esecuzioni sommarie, violenza sessuale, rapimento per riscatto, estorsione, lavoro forzato e torture, in tutta la Libia e nella totale impunità». La condizione delle donne è infernale: leggere che solo un centro impiega personale di guardia femminile aiuta a immaginare cosa debbano affrontare le ragazze migranti.

Il dossier cita anche l’Italia, facendo riferimento al silenzio-assenso sul rinnovo del Memorandum per il contrasto all’immigrazione illegale e al traffico di esseri umani. Guterres non esterna un vero giudizio nei nostri confronti ma parlarne in un documento che sancisce il fallimento di tale accordo dà la misura di come venga di fatto percepita la posizione del nostro Paese. Si allinea anche il commissario per i diritti umani del Consiglio Europeo, Dunja Mijatovic, che in un post scrive: «Migliaia di esseri umani hanno rischiato la vita per cercare protezione. È vergognoso che chiudiamo un occhio su di loro. Questa tragedia è andata avanti da troppo tempo e i paesi europei hanno contribuito ad essa. È urgente che l’Italia, l’Unione europea e tutti i suoi Stati membri prendano provvedimenti per porvi fine».

Sarebbe ipocrita dire che il Memorandum e qualsiasi accordo meno ufficiale tra Italia e Libia non abbiano portato benefici al nostro Paese. Gli sbarchi sono crollati, dandoci il tempo e il modo di migliorare sotto il profilo dell’accoglienza e del ricollocamento. Ma al costo economico di tale gestione va sommato un senso di responsabilità nei confronti di chi è trattenuto nei campi libici, va richiesto con forza un corridoio umanitario per il rimpatrio verso sud o l’accoglienza per i rifugiati, con contestuale rilascio dei detenuti e chiusura definitiva dei centri. In questa direzione puntano le migliaia di email di risposta all’iniziativa #ioaccolgo che stanno intasando gli uffici del Ministro degli Esteri, Luigi di Maio e del Ministro degli Interni, Luciana Lamorgese.

E solo in questo senso potranno andare gli interventi del nostro Governo, per tardivi che possano sembrare. A tranquillizzare gli animi interviene Marina Sereni, vice-ministro degli Esteri, spiegando che «Non c’è una scadenza del 2 febbraio. Il Governo ha ascoltato le denunce delle organizzazioni internazionali e ha predisposto le modifiche. La proposta italiana sarà sottoposta alle autorità libiche e contiamo di concludere rapidamente il negoziato”. Per trattare la questione, pare confermato l’arrivo in queste ore a Roma del Ministro dell’Interno libico, Fathi Beshaga.