Al Teatro Modus, dal 18 al 27 novembre 2022, va in scena “Alieni. È tutto reale”, opera teatrale scritta, interpretata e co-diretta da Andrea Castelletti, con Simonetta Marini, Lorenzo Sartor, Alida Castelletti per la regia di Laura Murari.

Uno spettacolo, prodotto da Modus e Orti Erranti Teatro, che indaga quanto l’uomo stia cambiando a seguito della rivoluzione digitale. Al centro, un gioco, “Alieni”, che è anche un social capace di assottigliare la differenza tra mondo virtuale e reale. Ne parliamo con l’autore e regista Andrea Castelletti.

Castelletti, qual è il confine tra il mondo fisico e il mondo digitale? Per scoprirlo basta un visore, un cellulare e delle cuffie e giocare ad “Alieni”. La tecnologia fa così paura?

«Non la tecnologia in quanto tale, quanto piuttosto la sua velocità. Cambiamenti nella storia dovuti alla tecnologia ci sono sempre stati, dall’invenzione della ruota, del fuoco alla bussola. Il punto è che, questa volta, il cambiamento è estremamente veloce mentre le regole della società e dell’esistenza, che necessitano di tempi maggiori, più dilatati, faticano ad adeguarsi e quindi si crea uno scarto tra l’organizzazione della società e l’esistenza individuale. Una rivoluzione tecnologica molto più pervasiva, globale e mondiale. Per fare un confronto, la Rivoluzione industriale è iniziata in Inghilterra, poi si è espansa in Europa e infine, pian piano, ha conquistato tutto il pianeta. Questa è invece così repentina che ci trova del tutto impreparati nel saperla leggere e gestire.»

Lascia anche stupiti la frase di sottotitolo “Basata su una storia vera non ancora accaduta”…

«Premesso che quella frase è un gioco di parole, perché una storia vera che non è ancora accaduta non può essere vera, altro non è se non una sorta di ossimoro. L’idea sottostante a questo gioco di parole è, in realtà, la verosimiglianza rispetto a quello che sta accadendo e che accadrà. Dai commenti raccolti dai molti spettatori che l’hanno visto, risulta evidente come da questo spettacolo emerga una lucida analisi dell’oggi e di quello che potrebbe essere. Si prende atto dell’incapacità, soprattutto delle nuove generazioni, di capire dove sia il limite tra il digitale e fisico. Ecco perché volutamente non uso il termine “reale”, perché per le nuove generazioni è reale anche quello che è virtuale, perché per loro è intrinsecamente tale un’esperienza vissuta tramite un device digitale. Noi adulti vediamo ancora i due mondi come due nuclei a sé stanti, ma per un nativo digitale questa distinzione non esiste: quindi la capacità o meno di cogliere il confine tra esperienza fisica ed esperienza digitale potrebbe essere il rischio delle nuove generazioni. Nel nostro spettacolo portiamo all’estremo questo aspetto, mettendo in scena un videogioco in cui reale e digitale fisico si sovrappongono sempre di più, al punto da non far più capire alle persone se sono in un mondo o nell’altro.»

Il termine “alieno” ha molte sfumature e valenze. Che connotazione ha in questo spettacolo?

«Anche questo di fatto è un gioco di parole, perché questo videogioco a cui accennavo prima si intitola Alieni, sul modello di Assassin’s Creed e simili, dove i protagonisti si perdono in una realtà virtuale. Alieni è un videogioco, ma in realtà anche un social, in cui si entra non solo per giocare ma pure per relazionarsi tramite il proprio avatar con i compagni di quartiere, grazie a un’interfaccia con Street View. Il campo da gioco non è uno scenario apocalittico, ma un luogo vissuto nella realtà popolato da alieni da sconfiggere. Tutti i protagonisti sono completamente assorbiti da questo videogioco-social, con il risultato paradossale che la caccia all’alieno viene fatta da ragazzi che, a loro volta, in questo mondo virtuale risultano a loro volta alienati. E si potrebbe fare un’ulteriore riflessione.»

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Ovvero?

«I giovani potrebbero finire per ritenere reale un mondo puramente digitale, dove le difficoltà svaniscono e tutto viene preconfezionato e selezionato in base a quello che l’algoritmo trova più idoneo e adatto al profilo dell’utente. Di fatto, hanno modo così di ritirarsi in un mondo digitale in cui puoi scegliere le tue amicizie, con chi relazionarti… il che non ha nulla a che vedere con le esperienze, anche spiacevoli, che tutti noi facciamo quotidianamente.»

Insomma, uno spunto molto attuale…

«Il concept è nato ben prima, durante la pandemia, e quanto pensato e scritto si è concretizzato col debutto del Metaverso nel 2021. Era già evidente allora la direzione verso cui stiamo andando ed è evidente per chi sa leggerla, in fondo. La capacità del dei grandi scrittori, tra i quali non mi annovero, è quella di vedere in anticipo quello che poi avverrà, come Jules Verne quando scrisse dell’uomo sulla luna cento anni prima che ci arrivasse.»

Cosa si aspetta che pensi lo spettatore al termine della rappresentazione?

«L’idea, quando ci si relaziona con un’opera artistica quale può essere uno spettacolo teatrale, è che il fruitore ne esca comunque trasformato. Dal teatro si dovrebbe sempre uscire arricchiti o quantomeno stimolati. Quindi la volontà è di accendere la consapevolezza su quello che sta avvenendo, semplicemente fotografando quello che sta succedendo. Una rivoluzione che ci offre comodità e possibilità immediatamente colte da tutti, ma anche altrettante criticità, delle quali invece non tutti sono consci.»

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