Durante gli ultimi due anni si è parlato molto di isolamento sociale, soprattutto riferito agli adolescenti che si ritirano volontariamente dal mondo reale per rifugiarsi nelle proprie stanze e nel mondo virtuale.

Solitamente, quando ci si trova di fronte a fenomeni complicati da capire e affrontare, compaiono anche nuove parole per descriverli. Che però rischiano di essere abusate o usate male, come per esempio per creare titoloni attrattivi e allarmistici.Ecco allora apparire parole come vamping, nomofobia o hikikomori. Solo per citarne alcune. Parole che non indicano saghe fantasy, ma che dovrebbero spiegare altrettanti fenomeni sociali che interessano giovani e adolescenti.

Parole nuove che spesso spaventano. E si sa che, quando qualcosa ci spaventa, tendiamo ad allontanarlo magari pensando che sia solo un’esagerazione “dei tempi moderni”. Una moda insomma. Questa è una reazione frequente di quando si parla di hikikomori in Italia. Eppure le statistiche, confermate dagli operatori sanitari che lavorano sulla salute mentale, ci dicono che il fenomeno dell’hikikomori interessa circa 100 mila ragazzi in Italia, a diversi livelli di gravità.

Cosa significa hikikomori

Foto di Tirachard Kumtanom, pexels.com

Hikikomori è un termine giapponese che significa “stare in disparte”. Viene utilizzato per indicare chi decide di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi, alle volte anni.

Non è ancora una vera e propria diagnosi ma un’etichetta sociale su cui tuttora si stanno compiendo ricerche e approfondimenti.

Gli hikikomori sono soprattutto giovani tra i 14 e i 30 anni, maschi nel 70-90% dei casi. Sono spesso ragazzi molto intelligenti ma di carattere introverso e introspettivo, sensibili e inibiti socialmente, convinti di stare meglio da soli.

La condizione di Hikikomori compare spesso in adolescenza, infatti spesso i suoi sintomi vengono confusi con le difficoltà fisiologiche di quell’età.

Il fenomeno è più diffuso di quello che si pensi anche in Italia, tanto che recente ne ha parlato la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le Politiche Antidroga, nella Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia. Nell’indagine emerge che il 17% degli studenti intervistati dimostra una sintomatologia affine alla condizione di hikikomori.

L’associazione Hikikomori Italia

Marco Crepaldi, psicologo specializzato in psicologia sociale, divulgatore, esperto di difficoltà relazionali dei giovani e rapporto con le nuove tecnologie, ma soprattutto fondatore dell’Associazione Hikikomori Italia.

Dottor Crepaldi, ci spieghi quando e perché, è nata l’associazione.

Il dottor Marco Crepaldi

«L’associazione è nata nel 2017. Personalmente però ho iniziato a lavorare sul tema degli hikikomori nel 2013, al termine della tesi di laurea alla Bicocca di Milano. Per dare continuità alla mia ricerca ho aperto un blog, spronato anche dal mio interesse alla divulgazione online. In poco tempo hanno iniziato a contattarmi dei ragazzi e molti genitori. Con loro ho aperto un gruppo Facebook di discussione e condivisione, e lì ho conosciuto Elena Carolei, madre di un ex hikikomori ed ora, Presidentessa dell’associazione Hikikomori Italia Genitori. Quindi siamo due associazioni che formano un’unica realtà. Da una parte l’associazione che riunisce psicologi professionisti, dall’altra i genitori. Lavoriamo insieme, su fronti diversi. L’associazione dei genitori parla e affronta il problema, cerando di rendere i genitori parte attiva e coinvolgendoli nei gruppi di auto mutuo aiuto. L’associazione di psicologi parla e affronta il problema, coordinando i gruppi di genitori e offrendo terapia clinica online a chi la richiede. Attualmente nell’associazione genitori partecipano più di 3500 persone. I gruppi di auto mutuo aiuto sono 50, sparsi in tutta Italia. In ognuno di loro ci sono circa 10 membri. Abbiamo anche un gruppo di condivisione e supporto dedicato ai ragazzi, coordinato sempre da due nostre psicologhe.»

L’asocialità è un sintomo di una possibile condizione di isolamento?

«Bisogna fare molta attenzione alle parole e all’uso che ne facciamo. Un hikikomori non è una persona asociale. Al contrario è una persona che vorrebbe delle relazioni significative ma soffre perché non riesce a trovarle e a viverle.

Foto di Kate Williams, pexels.com

Vorrebbe stare in mezzo agli altri, ma quando si trova in situazioni sociali, sta male, si sente giudicato, non accettato e va in ansia. La fuga e l’isolamento sono le sue reazioni a questo malessere. Sono quindi una conseguenza, l’unica alternativa possibile secondo il ragazzo. Non un obiettivo. È lì la differenza. Quando un hikikomori si trova in un contesto relazionale non giudicante, sta bene. Riscopre la voglia di condividere la propria vita, le proprie passioni ed emozioni.»

Lei concorda con i dati diffusi su questa problematica?

«Sì, i casi in Italia sono davvero molti. Dai più lievi ai più gravi. Purtroppo non abbiamo un servizio pubblico strutturato per intercettarli e trattarli ed è questo il problema. Quando incontriamo un hikikomori, lo troviamo in una situazione che ha già le caratteristiche della cronicità e lavorarci diventa ancora più difficile.»

Quale messaggio si può dare a quei genitori che notano nei propri figli adolescenti, la tendenza ad isolarsi?

«Direi di stare attenti ai dettagli. Bisogna cercare si capire se il proprio figlio sta bene con gli altri, se si trova a proprio agio in mezzo ai coetanei, nell’ambiente scolastico. Nel caso, chiedere a lui come poterlo aiutare. Mettendo al primo posto il suo benessere piuttosto che la frequenza scolastica o il rendimento. Nei casi di abbandono scolastico l’alleanza tra genitori e figli diventa essenziale. Se questa manca, aiutare un hikikomori e la sua famiglia diventa un’impresa ardua.»

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