Gli ultimi dati dell’Istat parlano di circa 4,9 milioni di italiani che, per motivi di studio, di lavoro o di cura, vivono in un comune diverso da quello nelle cui liste elettorali risultano iscritti. Di questi, circa 600mila sono studenti universitari.

È l’esercito dei fuorisede, che il 25 settembre dovranno decidere se tornare a casa per partecipare alla tornata elettorale oppure rinunciare al voto.
La legge italiana stabilisce infatti che il diritto di voto, per chi vive all’interno dei confini nazionali, vada esercitato soltanto nel comune di residenza, e prevede poche deroghe che permettono di votare dove si è domiciliati, dedicate solo ad alcune categorie della popolazione (ad esempio ai militari, alle forze dell’ordine e a chi è ricoverato in un luogo di cura). E spostarsi può risultare complicato logisticamente e soprattutto costoso, specie per gli studenti.
Nonostante diverse proposte ferme in Parlamento, non si è ancora trovata una soluzione al problema. Se ne riparlerà nella prossima legislatura. E il 25 settembre si riproporrà, inevitabilmente, il fenomeno dell’astensionismo “forzato”.

Diamo i numeri

Come dicevamo, i fuorisede stimati sono circa 4,9 milioni. Stiamo parlando del 10,5 per cento del corpo elettorale.
Di questi, in quasi 2 milioni impiegherebbero oltre quattro ore, tra andata e ritorno, per tornare alla propria residenza.
Lo squilibrio riguarda soprattutto le regioni del Mezzogiorno, dalle quali spesso la gente è costretta a emigrare a causa delle scarse opportunità di lavoro offerte dal territorio: più di 1,6 milioni di persone non sono più nel loro comune di residenza per motivi di studio o lavoro.

Quanti sono i fuorisede e quanto sono lontani da casa. Fonte: Libro bianco “Per la partecipazione dei cittadini, come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto”, elaborato dalla Commissione istituita dal Ministro D’Incà e coordinata dal prof. Franco Bassanini.

Diritti negati

Il costo di questa situazione non è solo quello economico, che ricade sui fuorisede. È anzitutto un costo democratico.
Perché la negazione o la compressione del diritto di votare costituiscono, nei fatti, la negazione o la comprensione di un diritto fondamentale espressamente previsto dalla Costituzione. E spetta allo Stato rimuovere qualsiasi elemento che ostacola la vita democratica.

Il paradosso: il fuorisede all’estero può votare, quello in Italia no

Il sistema di voto attuale porta a delle conseguenze paradossali, se pensiamo che gli italiani che si trovano temporaneamente all’estero possono votare per corrispondenza, mentre quelli che abitano in Italia ma lontano dalla residenza no.
Infatti, le modifiche apportate dall’“Italicum” (legge 6 maggio 2015, n. 52) alla legge sul voto degli italiani all’estero hanno esteso il voto postale per le elezioni politiche e per i referendum – già previsto per i nostri connazionali stabilmente all’estero e iscritti all’AIRE – anche a tutti gli elettori che si trovano temporaneamente all’estero per un periodo previsto di almeno tre mesi per motivi di lavoro, studio o cure mediche, nonché ai loro familiari conviventi.
Situazioni uguali vengono quindi trattate in modo diverso.
Già che ci siamo, qualche informazione se il 25 settembre sarete all’estero per un periodo di almeno tre mesi e per motivi di lavoro, studio o cure mediche: avete tempo fino al 24 agosto per esprimere l’opzione per l’esercizio del voto per corrispondenza, inoltrando la domanda al vostro comune di residenza. Il modulo da compilare e firmare lo trovate qui.

Come votano gli italiani residenti all’estero. Fonte: Libro bianco “Per la partecipazione dei cittadini, come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto”, elaborato dalla Commissione istituita dal Ministro D’Incà e coordinata dal prof. Franco Bassanini.

Voto dove Vivo

A tenere alta l’attenzione sul tema del voto fuorisede ci pensa, dal 2019, il comitato Voto dove Vivo, un comitato apartitico aperto a singoli cittadini e a realtà associative, studentesche, politiche e culturali.
Il comitato aveva inizialmente lanciato una petizione su Change.org, che si è concretizzata in una proposta di legge depositata il 28 marzo 2019 alla Camera dei deputati da Marianna Madia del Partito Democratico, assieme agli onorevoli Ceccanti, Giorgis, Piccoli, Pini e Ungaro.

La proposta “Madia”

La proposta di legge prevedeva l’accesso al voto a distanza per i fuorisede per motivi di lavoro, di studio o di cura.
All’elettore sarebbe bastato presentare domanda in via telematica tramite SPID almeno 45 giorni prima delle votazioni, con allegata la documentazione che certifica la situazione di fuorisede (ad esempio, il certificato di iscrizione all’università o la copia del contratto di lavoro).
La proposta stabiliva poi due diversi meccanismi di voto fuorisede, a seconda che si tratti di referendum o di elezioni politiche o europee: per i referendum si rendeva possibile il voto nel comune di domicilio, presentando al seggio la ricevuta di accettazione della domanda; nel caso di elezioni politiche o europee, sarebbe stato previsto il voto per corrispondenza.

Gli altri progetti di legge depositati in Parlamento

Grazie a un’accresciuta consapevolezza della politica su un tema così importante, in questa legislatura si sono registrati significativi passi avanti, con la presentazione di altri quattro disegni di legge che, in modo diverso tra loro, provavano a porre rimedio al problema: tre sono di iniziativa parlamentare e sono a prima firma di Enrico Costa (Azione), Felice Maurizio D’Ettore (Coraggio Italia) e Massimo Ungaro (Italia Viva), mentre uno è di iniziativa popolare, redatto dai costituzionalisti Salvatore Curreri e Roberto Bin su richiesta del Collettivo Peppe Valarioti (un gruppo di studenti, lavoratori e ricercatori calabresi che prende il nome da un militante comunista di Rosarno, ucciso nel 1980 dalla ’ndrangheta) e fatto proprio e depositato dal deputato Giuseppe Brescia (Movimento 5 Stelle).
La proposta di Enrico Costa prevedeva il voto per corrispondenza per qualsiasi tipo di consultazione elettorale o referendaria, mentre quella di Italia Viva avrebbe consentito, per le elezioni politiche e i referendum, il voto nel seggio del comune di domicilio. Il disegno di legge Curreri-Bin e quello dell’onorevole D’Ettore, che si occupavano solo delle elezioni regionali e comunali, proponevano di far votare i fuorisede nelle Prefetture.

L’avvio dell’iter parlamentare e la fine della legislatura

A maggio 2021, la Commissione Affari costituzionali della Camera aveva iniziato l’esame delle proposte di legge. Il Ministero dell’Interno aveva però rallentato l’iter, sollevando alcune obiezioni (ad esempio, sui possibili ritardi nello spoglio delle schede e sul rischio di riconoscibilità del voto nei casi in cui un solo elettore voti in un’altra città, a distanza, per il proprio comune di residenza).
Il 25 luglio la discussione sarebbe arrivata in aula alla Camera, con la presentazione di un nuovo testo base che unificava le proposte depositate. Ma la caduta del Governo Draghi e lo scioglimento delle Camere hanno definitivamente chiuso ogni spiraglio, rimandando la riforma alla prossima legislatura.
A nulla è valsa anche l’interrogazione presentata alla Ministra Lamorgese da Emma Bonino e Riccardo Magi di +Europa, con un appello al Governo per fare tutto il possibile per agevolare il voto dei fuorisede.

Il voto fuorisede negli altri Paesi

Attualmente, gli unici paesi europei che non prevedono la facoltà per gli elettori temporaneamente domiciliati fuori dal comune di residenza di esercitare il proprio diritto di voto nel luogo in cui vivono sono Italia, Malta e Cipro.
In Belgio, Francia, Paesi Bassi, Regno Unito e Svizzera i fuorisede hanno la possibilità di votare per delega: sono loro stessi a nominare una persona incaricata di sostituirli.
C’è poi (ad esempio in Danimarca, in Polonia e in Ungheria) la possibilità del voto anticipato presidiato, nel luogo di residenza o in altro luogo.
Altri Stati prevedono il voto elettronico (un esempio è l’Estonia) e quello per corrispondenza (è il caso della Spagna).

Come votano i fuorisede negli altri Paesi. Fonte: Libro bianco “Per la partecipazione dei cittadini, come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto”, elaborato dalla Commissione istituita dal Ministro D’Incà e coordinata dal prof. Franco Bassanini.

Il cambio della residenza

“Che problema c’è? Basterebbe spostare la propria residenza”, direte voi.
E, in effetti, dopo le modifiche del 2012 alle norme anagrafiche, con l’introduzione del cosiddetto “cambio di residenza in tempo reale”, l’iter è stato notevolmente semplificato: in particolare, la legge prevede che il comune debba registrare il cambio di residenza entro due giorni lavorativi successivi alla presentazione della richiesta. Rimane la possibilità di effettuare controlli sulla sussistenza effettiva dei requisiti nei 45 giorni successivi alla registrazione, ma in ogni caso gli effetti giuridici del cambio di residenza decorrono dalla data di presentazione della richiesta.
Chiunque si trovi fuori dal comune di residenza potrebbe quindi trasferire facilmente – anche per via telematica – la propria residenza anagrafica nel luogo in cui lavora o studia e votare così dove vive.
Va però ricordato che il cambio di residenza non è sempre così agevole, soprattutto per alcune fasce sociali. Pensiamo agli studenti che, per poter ottenere i benefici del diritto allo studio universitario, sono legati al reddito del proprio nucleo familiare, con il quale condividono la residenza. Inoltre, per essere assegnatari di un posto alloggio, di norma devono risiedere a una distanza minima dalla sede dell’università, stabilita dagli enti regionali per il diritto allo studio.
In generale, poi, per i fuorisede che – per motivi di studio o di lavoro – sono costretti a cambiare frequentemente abitazione, cambi di residenza intervenuti in brevi periodi di tempo potrebbero creare difficoltà per le notifiche atti amministrativi e giudiziari, l’iscrizione a concorsi pubblici e via dicendo.

Le agevolazioni per tornare a casa

A questo punto, l’unica possibilità che rimane è approfittare delle agevolazioni tariffarie solitamente previste per i viaggi ferroviari, via mare e autostradali, nonché per l’acquisto di biglietti aerei, in favore degli elettori che si recano a votare presso il proprio comune di residenza.
Di norma, però, gli sconti disponibili sono limitati ai treni a lunga percorrenza o ai voli della compagnia di bandiera che hanno prezzi di base molto elevati.

“The Good Lobby” e “Io voto fuori sede” scrivono ai leader: “Una legge entro i primi 6 mesi della nuova legislatura”

Per evitare che il problema sia ulteriormente prorogato, l’associazione no profit The Good Lobby e il comitato Io Voto Fuori Sede hanno scritto a tutti i segretari di partito per chiedere l’impegno pubblico ad approvare entro i primi sei mesi dall’insediamento del nuovo Parlamento una legge sul voto a distanza.
The Good Lobby è da sempre impegnata sul tema: lo scorso 10 giugno aveva depositato presso il Tribunale di Genova un atto di citazione contro il Ministero dell’Interno e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, per violazione del diritto di voto di lavoratori e studenti fuori sede. L’associazione ha avviato l’azione legale con la disponibilità di sei cittadini residenti a Genova, che per motivi di studio o di lavoro sono costretti a vivere altrove e che alle ultime elezioni politiche non avevano potuto votare. La prima udienza è fissata per l’11 novembre.

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