«Promuovere una cultura, una legislazione, un’organizzazione sociale, per la convivenza pluriculturale, plurietnica, diventa oggi uno dei segni distintivi della qualità della vita, una delle condizioni per avere un futuro vivibile.» Così nel lontano 31 dicembre del 1994 parlava Alexander Langer durante il convegno di Assisi nel suo intervento “Quattro consigli per un futuro amico”. Non sembra essere stato profetico, dopo oltre un quarto di secolo, sfogliando e ascoltando la presentazione del Dossier Statistico Immigrazione 2020, realizzato dal Centro Studi e Ricerche Idos in partenariato con il Centro Studi Confronti, presentato in diretta streaming nazionale (qui il video integrale da Roma) e nei vari convegni online regionali e provinciali (qui, invece, il video integrale del Cestim da Verona). 

Igiaba Scego

«L’immigrazione per tanto tempo è stata un’ossessione ma non è ancora una narrazione – esordisce la scrittrice Igiaba Scego nel suo intervento nazionale -. Viviamo in un sistema bloccato dagli anni Duemila anche se doveva essere il periodo per cambiare passo rispetto agli anni Novanta, e invece assistiamo a una “serrata” con passi indietro, una legislazione bloccata che consuma vite. Dobbiamo spostare la narrazione perchè i migranti sono sempre marginalizzati nella loro essenza e nel loro essere italiano. Sulla cittadinanza è successo un tradimento, soprattutto per i figli di queste persone che sono nate nel territorio italiano. I media ma anche i registi e gli editori devono ricominciare a scrivere delle 200 provenienze che si portano dietro i cittadini di origine straniera oggi in Italia.»

Passando alla presentazione scaligera a cura di Cestim, si comprendono i numeri regionali e provinciali attraverso l’analisi della sociologa Gloria Albertini: rispetto al panorama italiano, nel 2019 il Veneto rimane la quarta regione per numero di stranieri residenti (circa 506.000) e sesta per incidenza sulla popolazione (10,3%, media Italia: 8,8%). Nel corso dell’anno il numero dei residenti stranieri è aumentato di circa 5.000 unità (+0,8%), in linea con la tendenza nazionale. Sono dati che confermano sostanzialmente la situazione del 2018, ma con un aumento percentuale e assoluto inferiore rispetto a quello registrato sul 2017. Il capitolo sulla regione curato tra gli altri anche da Gianfranco Bonesso dell’Università Ca’ Foscari Venezia, mette in evidenza criticità in particolare a livello sanitario, dove servono sentenze per superare ostacoli come accesso gratuito ai servizi o al pediatra per i minori “non regolarizzati”.

A inizio 2020 gli immigrati residenti nei 98 comuni della provincia di Verona risultano essere 111.885 su 930.339 residenti complessivi, il 12,0 %. Gli immigrati residenti sono aumentati di 1.856 persone rispetto al 2019, con un aumento dell’1,7%. Le femmine prevalgono: sono 57.609 (51,5%) mentre i maschi sono 54.246. Nel comune di Verona risiedono 38.173 immigrati (14,7% pop.), con un aumento di 1.059 persone rispetto al 2019 (+2,8%). L’81% degli stranieri ha meno di 50 anni, mentre ben il 47% degli italiani ha invece dai 50 anni in su. In particolare i minori con cittadinanza non italiana sono 25.600 (22,9%), di cui 19.493 in età di scuola dell’infanzia o dell’obbligo (3-16 anni). Tra gli italiani, invece, i minori sono 128.794 (15,7% degli italiani).

Secondo il Ministero dell’Istruzione, gli alunni che frequentano le scuole in provincia di Verona, nell’anno scolastico 2018/19, risultano 134.071. Tra tali alunni, quelli con cittadinanza non italiana (cni), o figli di immigrati, sono 20.718, il 15,5% del totale. Va specificato che non risultano in questo conteggio i ragazzi con background migratorio che hanno acquisito la cittadinanza italiana e nemmeno gli alunni che hanno un genitore italiano e uno straniero. Rispetto all’anno scolastico 2017/18 gli alunni complessivi sono quasi invariati (+65 alunni) mentre quelli con cittadinanza non italiana sono aumentati di 787 unità. La percentuale di alunni con cittadinanza non italiana è la più alta tra le province venete (in media il Veneto ha il 13,6% di alunni cni).

Guardando all’Ue (nei cui 28 Stati, a inizio 2019, risiedevano 41,3 milioni di stranieri, circa 3 milioni in più rispetto all’anno precedente, rappresentando l’8,0% della popolazione complessiva) il blocco delle vie d’ingresso legali, ottenuto anche con l’erezione di muri e l’uso della forza, ha determinato un crollo sia degli attraversamenti irregolari delle frontiere intercettati da Frontex (da 1.822.177, livello record registrato durante la crisi del 2015, a 141.741, livello minimo registrato nel 2019) sia delle richieste di asilo (quasi dimezzatesi tra il 2015 e il 2019, passando da 1.323.485 a 745.225). I due terzi di queste ultime (circa mezzo milione) sono stati presentati in 4 paesi: Germania, Francia, Spagna e Grecia. L’Italia, quarta nel 2018 con circa 60mila domande, è scesa nel 2019 al sesto posto, con 43.800.

Le politiche di impedimento e respingimento degli sbarchi, congiunte all’assenza, dal 2011, di una programmazione degli ingressi stabili di lavoratori stranieri dall’estero e all’abolizione, dal 2018, dei permessi di protezione umanitaria, hanno determinato, nel 2019, non solo un ulteriore crollo del numero di migranti forzati sbarcati nel paese (11.471, di cui 1.680 minori stranieri non accompagnati: -50,9% rispetto ai totali 23.370 del 2018 e -90,4% rispetto ai 119.369 del 2017), confermando così la fine della cosiddetta “emergenza sbarchi”; ma anche uno svuotamento dei centri di accoglienza (i cui ospiti sono scesi da 183.800 nel 2017 a 84.400 a fine giugno 2020, per una fuoriuscita netta di quasi 100.000 persone in appena 2 anni e mezzo) e un drastico calo della percentuale di riconoscimento delle domande di protezione presentate in Italia (dal 32,2% del 2018 ad appena il 19,7% del 2019,
la metà della media europea).

Due circostanze, queste ultime, che concorrono strutturalmente a ingrossare le fila già assai nutrite degli immigrati irregolari nel paese.

In Italia al lavoro dei migranti sfruttati in agricoltura (stimati in 450mila unità) è dedicato il dettagliato saggio di Marco Omizzolo di Eurispes: durante l’emergenza Covid si è registrato un aumento del 15-20% di stranieri sfruttati nelle campagne (40-45 mila persone), con un peggioramento delle condizioni lavorative, un incremento sia dell’orario di lavoro (oscillato tra 8 e 15 ore giornaliere) che del numero (20%) di ore lavorate e non registrate, un peggioramento della retribuzione. Tutti effetti, dice il sociologo, “dell’intreccio perverso tra la pandemia e il sistema dello sfruttamento dei migranti”.

Con il saggio sul lavoro domestico ai tempi del coronavirus, scritto da Andrea Zini di Assindatcolf, si completa quindi l’analisi sull’argomento. Sono stati 13 mila i posti di lavoro persi in questo settore, che totalizza 850mila lavoratori in massima parte immigrati. Ambiguo il “successo” della regolarizzazione, che ha avuto ben 177mila domande in questo ambito, ma ha escluso tutto il lavoro nero

Alla “spirale d’odio contro i migranti” è invece dedicato il capitolo di Elena D’Angelo del Rissc (Research centre on security and crime) che spiega come, a fronte di numerosi episodi di razzismo registrati in Europa, i migranti – specialmente quelli con lavori più instabili – stiano invece “pagando il prezzo più caro per la pandemia, e rischiano ora e in futuro di essere tra i più esposti alla diffusione del virus”. Non “untori” ma piuttosto doppiamente vittime. 

Sono diversi gli indicatori che confermano uno stadio avanzato di radicamento territoriale e di inserimento organico degli stranieri nel tessuto sociale italiano, così
da costituirne indubbiamente una componente strutturale; ma questa maturità di insediamento e convivenza si congiunge ad altrettanto durature e crescenti evidenze di fragilità e di emarginazione, oltre che di subordinazione alla componente italiana.

Ecco il video di presentazione del Dossier Immigrazione 2020