Eppure è finita anche quest’anno. Alla fine di una stagione calcistica si ripetono da sempre le stesse dinamiche, sempre uguali indipendentemente dalla categoria di cui si tratta. Ed è tutto bellissimo nella sua prevedibilità.

Se ne vanno direttori sportivi e allenatori, stracciando contratti e talvolta le vesti, per fortuna prontamente sostituiti da zelanti tifosi prestati alla tattica che si improvvisano talent scout di promesse sconosciute, oppure stilano la propria lista dei desideri con la stessa serietà e foga che mostrerebbero se davvero un qualsiasi presidente gliel’avesse chiesta, o pensasse, anche solo in un angolino del cervello, di tenerne il minimo conto.

I giocatori sentono le sirene del mercato richiamarli lontano, verso squadre molto più quotate, a infoltire schiere di bravigiocatoribravi in fila per un posto da titolare, dove forse vedranno il campo solo in caso di premorienza multipla altrui. Altri giurano fedeltà alla causa, baciano maglie all’ultimo goal e poi un mezzo milione di euro gli fa dimenticare quel mezzo milione di persone che li considerano alla stregua degli dei.

Trasmissioni radio e tv, giornali specializzati o improvvisati, così come siti e pagine social dedicati e tutta la moltitudine di persone che di questo semplicemente campano, in modo onesto e onorevole, scattano in una corsa sfrenata a dare per primi la notizia del trasferimento, da o verso le sponde dell’Adige. Nella frenesia talvolta dimenticano di controllare l’autorevolezza della fonte e quindi l’attendibilità dello scoop ma, ehi, è il giornalismo bellezza!

La tifoseria si divide tra chi ci crede davvero quando canta a squarciagola che “il Verona resterà per sempre nel mio cuor” e arriva a leggere i nomi della rosa alla prima giornata del nuovo campionato e quelli che fingono di non interessarsi al “cambieranno i giocatori”, in linea almeno teorica con i dettami della Curva Sud, ma poi seguono in uno stato di ansia avviluppante ogni minimo pettegolezzo, notizia probabile, informazione certa e trasferimento effettuato, raccogliendo dati biometrici e statistici su ogni nominativo che viene sparato nell’etere dei social o sulla carta puzzolente dei giornali.

Un’altra suddivisione golosissima tra appassionati è quella che contrappone portatori sani di pessimismo (e fastidio) a manifestazioni di realismo, più o meno magico, fino ad arrivare a evidenti fette di bondola indossate con nonchalance al posto degli occhiali da sole. Il mondo bello, vario e avariato che si muove tra i “Setti vattene, hai rubato abbastanza” fino agli antipodi del “còmprelo ti, el Verona”.

Quanto ci siamo divertiti!

Nel mezzo di tutto questo caos creativo o distruttivo, che poi sono la stessa cosa, resiste qualche anima che si guarda indietro. Dal mondo votato al futuro anteriore, spunta qualcuno che si gode il presente, evocando il passato non già remoto, ormai consegnato alla mitologia, quanto quello prossimo. Di queste persone vogliamo raccontare, di chi ha ancora negli occhi le tante trasferte, gli imprevisti, i successi e le sconfitte. Le delusioni e le tante gioie di seguire il Verona.

Non è stato commissionato, per ragioni imperscrutabili, un sondaggio sul livello di godimento del tifoso veronese. Sicuramente mostrerebbe negli ultimi anni una curva in continua ascesa, che smarca agilmente il periodo di “siamo in crescita” e “poi il vento ha condizionato la partita” per raggiungere le vette del “ma quanto ci stiamo divertendo!”. Merito di due allenatori che hanno saputo forgiare squadre in perfetta sintonia con la tifoseria, che giocavano in campo il calcio spiegato in allenamento e soprattutto il calcio voluto, amato e desiderato dagli ultrà.

Evoluzione tecnica, e non solo

Calcio semplice, di per sé. A livello tattico, i due manager Juric e Tudor non hanno inventato niente di nuovo e sconvolgente, almeno per il calcio moderno. Schieramento in campo, movimenti e sovrapposizioni sono stati in massima parte uguali a mille altre squadre, hanno evidenziato le stesse lacune e gli stessi punti di forza visti in tutta Europa. La vera differenza rispetto al nostro umile passato – in confronto ad esempio al pur bel gioco di Pecchia (l’altro non lo nominiamo per una forma di vetusta cortesia) – si è vista nella preparazione atletica: tecnologia, team di esperti e piani di carico oculati hanno permesso da un lato di portare molti giocatori alla miglior forma fisica di sempre, per loro stessa ammissione e sorpresa; dall’altro, ha contenuto efficacemente gli infortuni, lo spettro che ha penalizzato un bravo tecnico come Pecchia appunto.

I giocatori hanno corso molto di più, spinti da un atletismo migliorato e dall’entusiasmo di migliaia di voci che ne volevano ancora e ancora. Un’evoluzione c’è stata anche all’interno della doppia gestione croata. Juric urlava più del suo pubblico, era lui che i giocatori temevano e per il quale davano il massimo; con il rischio di crolli momentanei e sviste eclatanti, appena la tensione calava o, per assurdo, quando era eccessiva. Il Verona sembrava ricevere troppi input e il sistema si impallava, la logica veniva spappolata dall’ansia, dalla necessità di riuscire, di accontentare le urla isteriche. A volte funzionava, altre no.

Tudor ha saputo costruire da una base mentale e da uno zoccolo duro di persone forgiate dal suo predecessore allo spirito guerriero, introducendo però un nuovo elemento: la consapevolezza di poter affrontare chiunque, la calma di saper scegliere l’approccio migliore tra tanti (non più uno solo) e la capacità di riunirsi e ricominciare ogni volta che un ostacolo di dimostrasse insormontabile. Ogni partita della scorsa stagione è stata giocata con la certezza delle proprie possibilità, con la voglia di dare sempre tutto ma anche la serenità di comprendere che non sempre il “tutto” è sufficiente.

I tifosi si sono abbeverati a questa nuova coscienza e si sono adeguati, ricalcando lo sforzo dei loro beniamini con trasferte onerose, mal organizzate, rovinate dalle panìe burocratiche del calcio dei palazzi. I giocatori finivano le partite sfibrati, i tifosi stanchi e maltrattati, ma tutti, in campo e fuori, sicuri di non aver lasciato niente di intentato. Felici del proprio contributo alla causa comune e felici di esserci stati sempre, al di là del risultato della partita in sé.

Il futuro può attendere

L’anno prossimo sarà unico per tutte le squadre: si comincia in agosto, con un mercato ancora in pieno svolgimento (specchio di un Paese in cui si cambia casacca facilmente perfino in Parlamento), ci si ferma per i mondiali di sangue, si faranno numerosi turni infrasettimanali e serviranno polmoni e muscoli anche migliori del solito.

Per il nostro Verona sarà una sorta di rifondazione, con la combinata tecnico e direttore sportivo tutta da sperimentare e una rosa da rivedere anche in ottica della conformazione anomale della stagione in arrivo. Ci saranno partenze, ci saranno nuovi inserimenti; gli allenatori da tastiera daranno prova delle loro sprecate capacità di analisi e ovviamente giudizio, naturalmente negativo.

E poi, ci saranno i tifosi, spaventevoli ultrà e famiglie gialloblu, ragazzi e vecchiette; quelli che da tanti anni salgono gli stessi gradoni in tantissimi stadi diversi. Sempre al solito posto, vestiti dei colori della passione e con gli occhi pieni delle stelle che vi si sono accese negli ultimi tempi.

Conforta un poco la solidità che in dieci anni di regno il presidente Setti – diolosalvi da chi gli infilerebbe un dito negli occhi – ha lentamente costruito intorno alla sua – o una gomitata sul naso, attento! – idea di calcio, in ballo tra poca passione e molto business – ocio, Pres, c’è uno col bastone! – e che potrebbe fare da trampolino non tanto per l’ovunque declamato salto di qualità – scappiamo, questi menano – quanto per un’altra stupenda annata di gioie e disperazione, di puro amore. Un altro anno in serie A.

P.s. nessun essere vivente è stato malmenato o maltrattato nella stesura del presente, ironico articoletto. Forza Verona!