Dopo le sciabolate, gli inchini. Rischioso sfidare a duello uno che di cognome fa Spadafora e oltretutto ha il manico del coltello nelle proprie mani. Nella complicata vicenda della ripartenza del calcio italiano, le parole di apprezzamento indirizzate al rappresentante del Governo da Paolo Dal Pino, Presidente della Lega Serie A, hanno reso meno pesante il clima. Una scelta dal sapore tattico: il tempo stringe e occorre ridurre la distanza tra le parti in questa sorta di uno contro tutti. Da un lato c’è Vincenzo Spadafora, Ministro dello Sport eufemisticamente prudentissimo verso un’apertura dell’attività del calcio professionistico. Sull’altro fronte ci sono Lega, Figc e Associazione Calciatori. Sorpresi e perplessi per la rigidità e semmai la differenza di trattamento tra gli sport individuali e quelli di gruppo nella pianificazione della cosiddetta “Fase 2” dell’emergenza coronavirus. In palio c’è ben molto di più che far tornare ventidue giocatori a dar calci ad un pallone sopra un prato: la decisione potrebbe segnare il futuro dello sport più seguito e di un settore economico tra i principali del Paese.

Gabriele Gravina, Presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio, un giorno sì e l’altro pure ricorda che l’eventuale mancata assegnazione di titoli, di promozioni e retrocessioni vacanti, potrebbe innescare una serie di ricorsi. Possibile, anzi probabile. Tuttavia ha l’aria di essere per certi versi una cortina fumogena dietro a cui si cela un’altra reale necessità del sistema. Le emittenti Sky, Dazn e Img sono ferme col portafoglio in mano in attesa del 2 maggio. In quella data dovrebbero saldare l’ultima rata dei diritti, e dunque immettere nelle casse delle società 233 milioni di euro. Tanti soldi, insomma. Investimenti che i canali televisivi vorrebbero ricontrattare. Parliamoci chiaro: se non arriveranno questi denari come da contratto, la sostenibilità delle due prime divisioni del pallone andrebbe a rischio. Si preoccupano le parti in causa ma, a ruota, a pagare il conto sarebbe tutto l’indotto. Siamo parlando di un fatturato complessivo di quasi cinque miliardi e parecchie migliaia di lavoratori: dagli steward allo stadio fino ai pochi privilegiati dell’olimpo, di cui alcuni in attesa degli stipendi da gennaio.

A sorpresa Spadafora ha trovato un alleato in Giovanni Malagò. In maniera inattesa, il presidente del Coni ha evidenziato il tentativo del calcio di svincolarsi dalle normative anti-Covid-19 seguite dalle altre discipline. L’affermazione, volutamente o meno, appare incompleta. Saranno pure evidenti le sacche di egoismo e la poca lungimiranza da parte di che ne ha gestito il timone e oggi è sotto la tenda d’ossigeno in attesa di quello delle pay-tv, ma la questione è del tutto evidente sia ben altra. Per quante critiche si potrebbero indirizzare a chi ha gestito il football nostrano, chiedere “uniformità” o, come qualche demagogo invoca, di “impartire lezioni”, significa non sapere di che si sta parlando o confrontare mele con pere. Non è realisticamente possibile considerare il football italiano di vertice alla stregua delle altre leghe o federazioni, individuali o di gruppo, professionistiche o meno, sia sul piano economico che strutturale. Ecco dunque la domanda che nessuno osa esplicitare: nei comparti che è stato “impossibile” chiudere in questo periodo, è davvero sicuro che certi lavoratori abbiano affrontato rischi inferiori o ricevuto tutele maggiori a quelle potenziali di atleti professionisti su un campo da gioco?

Il Comitato tecnico scientifico sta incontrando le varie componenti tra Leghe e Figc. L’obiettivo è, o almeno dovrebbe essere, trovare un’intesa su un protocollo sanitario almeno per far ripartire A e B mentre per la Lega Pro all’orizzonte della riunione di categoria del 4 maggio c’è un (auto) stop definitivo al torneo di serie C, con tanti interrogativi sul dopodomani. La questione è apparentemente tutta qui. In caso di esito positivo, Aglietti, Juric e colleghi torneranno a dirigere allenamenti conviviali per rimettere i propri giocatori in campo magari da giugno. Comunque sia, come in Inghilterra e Germania, si batteranno tutte le strade possibili per completare la stagione, con la possibilità concreta di sforare la fatidica colonna d’Ercole del 2 agosto. Al contrario, se sarà il Governo a decretare la chiusura assoluta, non è da escludere che dovrà pensare a come gestire un’altra possibile emergenza: quella calcistica. Essere o non essere potrebbe diventare il problema.