Intervista a Laura Bocchi, consigliere comunale e mamma di un bimbo autistico.

Questa è la storia di una famiglia normale, composta da persone come tante, cui è capitato un regalo inatteso: Ludovico ha tre anni e mezzo, frequenta il nido ed è autistico. Il nostro racconto è volutamente privo di dati scientifici o spiegazioni sulla patologia, per questo esiste tanta letteratura. Parla di un cucciolo di guerriero e della sua mamma Laura, che ci spiega come vivono, combattono e imparano insieme ogni giorno.

Ludovico con mamma e papà

Laura, come hai capito che il tuo bimbo aveva qualcosa di diverso?

«Ludovico è stata una sorpresa fin dall’inizio, la gravidanza è andata bene ma verso la fine il cordone non ossigenava a sufficienza e si è deciso per un cesareo d’urgenza. Mio figlio era minuscolo, un chilo e mezzo di pura voglia di vivere e ha superato tante fasi critiche per arrivare a casa con noi. Tutti vedevano le macchine a cui Ludovico era attaccato come un tortura e il poter tornare a casa come una liberazione. Io invece mi sentivo rassicurata dal ronzio e le lucine, mi dicevano “va tutto bene”, è a casa che mi sono sentita persa, stanca, sola. Ho passato un periodo difficilissimo, con tutti i controlli periodici che confermavano i progressi e uno stupido grillo nella mia testa a dirmi che no, non stava andando bene. Mi sono sentita anche pazza, incompresa, ho seriamente dubitato di me stessa.»

Fino alla conferma dei tuoi sospetti, alla diagnosi del professor Zoccante, neuropsichiatra infantile specializzato in casi di autismo.

«Su consiglio del professor Biban, che ci seguiva dalla Pediatria a indirizzo critico dell’Ospedale di Verona, abbiamo fatto valutare Ludovico dal professor Zoccante: intere giornate di osservazione e interazione, fino alla diagnosi. Mi sono messa a piangere, sembra assurdo ma era una sorta di liberazione, avevo la conferma di non essermi sbagliata quelle volte in cui cercavo lo sguardo nel mio bimbo e lui sfuggiva, quando lo stringevo e lui si divincolava. Una mamma sa, si accorge delle sfumature che altri si ostinano a rifiutare. Crescere Ludovico fino ai 2 anni era stata una prova pesante, una fatica immane; a quel punto non mi spaventava più dover continuare a lottare, ero sollevata di aver ritrovato il mio centro, di non essere pazza. E di poter ripartire da me stessa per aiutare lui.»

bisogno e paura del contatto

Ho letto tanto sull’argomento, seguo la storia positiva di Andrea de “I Bambini delle Fate” e di tutto quello che fanno le associazioni per aiutare le famiglie. Lo Stato dov’è? Lo chiedo a te, che sei un consigliere comunale di Verona.

«L’autismo, a differenza delle sindromi o di altre patologie meno articolate, non viene quasi mai diagnosticato velocemente, si perdono gli anni di vita più importanti solo per vedere riconosciuta la diagnosi. Parte poi l’iter per la “presa in carico” da parte del Servizio Sanitario che è complicato, burocratico e purtroppo lentissimo. Dopo oltre un anno, noi stiamo ancora pagando di tasca nostra tutte le terapie per Ludovico e ti assicuro che sono tantissime. Noi siamo fortunati ad avere entrambi un lavoro e una famiglia amorevole di supporto, ma sono molti i genitori costretti a delegare il proprio ruolo a un istituto o a lasciare il lavoro per seguire il figlio, rinunciando al tempo stesso alle cure migliori per lui. In questo intervengono le associazioni: danno supporto morale e soprattutto tangibile alle famiglie.»

Mentre raccontavi, prima, ho provato a immedesimarmi in te, a pensare di non poter stringere il mio bimbo, aspettare anni per vedere finalmente un suo sorriso, non sentire una sua parola. Ammetto di averti eletta a mio eroe personale.

«È una cosa impossibile da capire, finché non ti capita davvero. Accettare che il tuo bambino rifiuti il mondo esterno, ne abbia paura e non voglia mettersi in contatto con gli altri, è quasi gestibile. Quando il rifiuto include te, quando nemmeno la mamma e il papà ricevono un trattamento speciale, capita di sbroccare, di arrendersi alla depressione e la coppia subisce il contraccolpo più pesante, rischiando la crisi. Ci siamo cascati anche noi, come tanti altri: ci ha salvato il nostro guerriero, prendendo le nostre mani e mettendole vicine, tirandoci i capelli per avvicinare le nostre teste. Noi adulti, tanto furbi, non ci facevamo vedere e sentire nei nostri litigi, dimenticando l’ovvio: un bambino autistico vede e sente a livelli completamente diversi da quelli convenzionali ma non gli sfugge nulla.»

Ludovico bambino BLU

La cosa che blocca di più chi non vive l’autismo direttamente è forse la chiusura totale, spesso interpretata come un disinteresse più che una mancanza di canali di comunicazione adatti. La mia idea è che questi bimbi abbiano dismesso la parola, gli sguardi e il contatto fisico in favore di un livello di percezione più elevato e più profondo, usano il linguaggio dell’anima. E serve un’anima affine per comprenderli. Chi meglio della mamma?

«Penso anch’io che una persona che ama profondamente possa entrare in contatto con i bimbi autistici. Non solo le mamme e i papà (o i nonni, sempre pronti a esultare per ogni passetto del cucciolo) ma anche i terapisti, le maestre dell’asilo. È difficile entrare in contatto attraverso il guscio che riveste questi bambini, aprire una breccia e far entrare luce. Ma dà anche una sensazione di trionfo vedere che la luce illumina pian piano altri angoli nascosti, rivela una coscienza di sé e di quel che li circonda. Credo che i bambini autistici siano qui a mostrarci dove stiamo sbagliando, nel vivere sempre collegati a cellulari e computer ma senza più relazioni vere e fisiche con l’altro. Estremizzano il nostro errore per mostrarcelo, ci costringono a tentare di capirli perché in questo modo possiamo arrivare a capire noi stessi.»

con loro, non come loro

Ludovico va all’asilo nido, presto alla materna. Come è stato il suo inserimento nella socialità?

«Posso dirti che è stato accolto da un team di maestre fantastiche, che mi raccontano di piccoli grandi sviluppi sia per Ludovico che per gli altri bambini. Un bambino speciale è un’opportunità per diventare tutti un po’ speciali, i più piccoli sono inclusivi per natura, non fanno differenze e non si arrabbiano se lui non risponde come si aspettano. Sono diventati tutti più responsabili, più attenti e sensibili, il mio cucciolo ha già lasciato un segno, il primo di una lunga serie, sono sicura. Il giorno in cui stava scegliendo una mamma, ha visto me e ha capito che forse lo potevo aiutare. Solo se si vive veramente una situazione, si comprendono le difficoltà e nasce la volontà vera di migliorare il mondo per questi piccoli extraterrestri, scesi su un pianeta strano in cui tutti si capiscono e si parlano e si toccano. Tranne loro.»

In questo la tua posizione potrebbe essere d’aiuto. Come riesci a combinare i tanti impegni con tuo figlio alle responsabilità istituzionali?

«Tutto è successo appena eletta, il percorso doloroso della prematurità, del ritardo relazionale e fino alla diagnosi finale è stato vissuto in prima linea dai miei colleghi; è un po’ come se Ludovico fosse il figlio di tutti. Con Federico (Sboarina, Sindaco di Verona – nda) parliamo spesso della vita da genitori impegnati e mi è sempre stato vicino, permettendomi di organizzare il mio lavoro in funzione degli altri impegni. Ad aprile abbiamo istituito la “Settimana Blu”, durante la quale tutta Verona si è illuminata di quel colore e ci sono stati convegni e iniziative di ogni tipo per sensibilizzare alle problematiche dell’autismo. Ora voglio presentare una mozione che mira a favorire l’inclusione delle persone autistiche nella vita reale, facilitando la loro vita e quella dei loro cari. Vorrei costruire pedane intellettive per eliminare le barriere di incomprensione, promuovendo corsi di sensibilizzazione presso associazioni di categoria, ristoranti, negozi e altro. Mi piacerebbe usare un pezzo di puzzle, che è nella simbologia dell’autismo a mostrarne la complessità e la difficoltà a incastrarsi, per segnalare quei locali dove una mamma stanca possa portare a pranzo il suo bambino autistico sapendo che se lancia il cibo ci sarà un cameriere pronto a prenderlo al volo, che se si mette a correre ci saranno commessi disponibili a gareggiare. Vorrei una pizzeria con il menu fotografato, segnali disegnati al posto di quelle lettere per loro inservibili, vorrei costruire un ponte tra l’autismo e il mondo. Ho chiesto al sindaco una stanza insonorizzata nel nuovo stadio, per dire… ci sono molti ragazzi che amano il calcio ma non sopporterebbero il rumore e la folla. Basta poco.»

Lo trovo un progetto fantastico. Il futuro che vorresti per Ludovico e i ragazzi speciali passa dalle piccole cose che possiamo già iniziare a cambiare. Ludovico Ernesto ha nel nome il combattimento e una mamma da poter usare come ariete per scardinare pregiudizio e paure.

«Ci sono tanti ragazzi concentrati ad arrivare, a diventare qualcuno. Ludovico non è un traguardo, è un viaggio che con il suo papà abbiamo scelto di intraprendere; è un percorso a ostacoli e non abbiamo idea di dove ci porterà. Gli altri ragazzi aspirano al successo e saranno i prossimi consiglieri comunali o i prossimi dirigenti di banca. Ludovico ha fatto tanti progressi fino a qui e un giorno deciderà di parlare e mi racconterà cosa possiamo fare insieme. Ne sono sicura.»

Le mamme sanno sempre tutto e non mi sfiora l’idea di confutare la teoria di Laura sul futuro del suo piccolo guerriero. Si sono davvero scelti: lei è la migliore mamma che lui potesse avere e Ludovico, beh, Ludovico il mondo lo potrebbe davvero cambiare.

Guardando un ragazzo autistico scrivere a computer, utilizzando il programma facilitato per immagini, molte volte capita di vederlo assorto, toccarsi il cuore con lo stesso dito che poi userà sulla figura prescelta. Poi di nuovo, porta la mano al cuore e tocca un altro tasto, nello sforzo evidente di portare fuori tutto quel che è rinchiuso dentro di sé. Questa storia non ha inizio e soprattutto non ha una fine, si scrive con le dita sul cuore.