Bruxelles non è sul mare, tantomeno vicina al Mediterraneo. Forse per questo la problematica dei migranti clandestini che approdano sulle nostre coste, come su quelle di altri Paesi europei, da parte delle istituzioni comunitarie è evidentemente fallace. La UE evita scientemente di centrare il punto con una miopia consapevole, limitandosi a curare o migliorare i sintomi senza mai affrontare il malanno alla sua radice.

Effetto pandemia sulle migrazioni

I dati del Viminale al 15 luglio 2021 parlano molto chiaro: sono 24.622 gli sbarchi avvenuti da gennaio scorso, contro i 9.764 dello stesso periodo 2020; è evidente che la pandemia, con la chiusura dei confini, ha avuto un effetto riduttivo sull’anno scorso ma l’effetto di lungo periodo è in senso opposto.

La crisi economica ha di fatto aumentato le ragioni per tentare la sorte in mare aperto: non si rischia più per fuggire a una guerra, o non solo, ma per cercare di sopravvivere alla povertà, per cercare un futuro migliore.

Ne è in qualche modo prova la nazionalità dichiarata dai migranti arrivati in Italia, che per oltre la metà provengono da Paesi teoricamente tranquilli, partner commerciali stabili del nostro Paese.

Il 18% viene dalla Tunisia, dove fervono le proteste per la grave crisi economica e politica; il 16% viene dal Bangladesh povero ma pacifico, e sono persone che intraprendono un viaggio lunghissimo, impossibilitati ormai a prendere la rotta balcanica. Al terzo posto, con il 9% troviamo l’Egitto, Paese tanto amico della nostra Italia ma meno incline a sopportare le intemperanze di chi chiede libertà e diritti. Gli altri migranti vengono da zone condizionate da un’immensa povertà, guerre civili, instabilità politica. Principalmente, quindi, dall’Africa sub-sahariana.

Europa ingessata

Si diceva dell’Europa, imbalsamata nell’accordo di Dublino che non si riesce a modificare a causa del veto sistematico di Paesi che – ma sarà un caso – non affacciano sul mare nostrum e stentano a comprendere la reale situazione.

Rifugiati nella città ungherese di Šid, foto di Fotomovimiento

A dire il vero qualche Stato nordico comincia a realizzare la portata del problema. Ad esempio la Lituania, che sta costruendo un muro al confine con la Bielorussia da cui il dittatore Lukashenko sta lasciando filtrare per ripicca alle sanzioni un numero crescente di migranti, per lo più siriani. Chi si è indignato ad alta voce per mesi per il progetto di Trump di “chiudere” il confine col Messico forse non sa o dimentica che la civilissima Europa è costellata di muri altissimi e decorati con nuvole di filo spinato. Per uno che è caduto, nel lontano 1989, ne sono stati costruiti molti di più. E non è ancora finita.

Soldi in cambio di rifugiati

L’Europa tiene incontri al vertice e decide di non decidere, di fatto lasciando in sospeso quel Patto sulle Migrazioni di cui parlammo nell’autunno dello scorso anno. E lasciando al contempo soli i Paesi del Mediterraneo, costretti a trovare soluzioni alternative. Durante il recente incontro tra il premier italiano Draghi e il suo omologo spagnolo Sánchez, si è concordato un progetto, in cui coinvolgere il cosiddetto Med5 e tutti i paesi disponibili, per la definizione di un meccanismo quasi automatico di redistribuzione.

Tale iniziativa ha ricevuto gli encomi dell’UE, che guarda alla possibilità di ripetere in alcuni Paesi nordafricani il modello Turchia: soldi in cambio di rifugiati. E il primo nuovo beneficiario di tale modello potrebbe essere la Libia, per la quale «l’Unione Europea conferma il suo impegno per il processo di stabilizzazione sotto gli auspici delle Nazioni Unite». Parole facili, fatti più complicati.

L’Italia sembra allineata, almeno a giudicare dai numeri in Parlamento lo scorso 15 luglio, quando si è votato il rifinanziamento delle missioni internazionali. Sono state autorizzate 42 operazioni di pace in 27 Paesi e lo stanziamento di 9.200 militari. Tra i punti in votazione, c’era anche la questione dei finanziamenti alla sedicente guardia costiera libica, che si è resa protagonista nelle ultime settimane di video atroci e disumani, che tutti avremmo preferito non vedere.

La famosa politica dello struzzo sembra piacere ai nostri deputati che in massa (361 a favore, 34 contro e 22 astenuti) hanno deliberato la conferma degli stanziamenti, nonostante la mozione contraria firmata da 30 membri del Parlamento che chiedevano di togliere la testa dalla sabbia e guardare agli abusi commessi su persone civili e inermi, nelle parole dell’Alto Commissario per i Diritti Umani “inimmaginabili orrori”.

Crescono le spese militari italiane in Libia

Il rapporto Oxfam sulle spese militari dell’Italia in Libia rileva un aumento nel 2021, da «10 milioni nel 2020 a 10,5 nel 2021. In totale sono 32,6 i milioni destinati alla guardia costiera libica dal 2017; salgono a 271 i milioni spesi dall’Italia per le missioni nel paese nordafricano». Le risorse destinate alle missioni navali non di salvataggio sono 17 milioni per “Mare sicuro” e 15 milioni di contributo alla missione europea “Irini”.

Oxfam riporta anche oltre 7.000 vittime nel Mediterraneo centrale, dalla firma dell’accordo tra Italia e Libia nel 2017 e oltre 13.000 migranti riportati in Libia. Ma il rapporto più angosciante, rilasciato lo stesso giorno della votazione in Parlamento, è quello di Amnesty International “Nessuno ti cercherà”, che raccoglie testimonianze di abusi nei centri di detenzione libici nei primi sei mesi del 2021, contro uomini, donne e bambini intercettati in mare e portati nei lager libici.

Vi si rileva addirittura che la Direzione per la lotta alla migrazione illegale, alle dipendenze del ministero degli interni libico, avrebbe legittimato tali abusi aggiungendo due nuovi centri di detenzione a fine 2020.

Riportiamo infine la dichiarazione di Arci che sottolinea le responsabilità dell’Italia e stima – da documenti pubblici sui siti ministeriali – che a oggi Italia e UE hanno “formato gli equipaggi di 6/7 motovedette di proprietà libica e ceduto gratuitamente, oltre alle 4 motovedette del 2009, altre 12 unità navali di proprietà di guardia di finanza e costiera italiane e 20 battelli di nuova costruzione”.

«Che si tratti di accordi, intese o programmi – si legge nel comunicato Arci – la costellazione di misure che formano la cooperazione tra Italia e Libia per il blocco dei flussi migratori nel Mediterraneo centrale è comunque accomunata da una grave mancanza di trasparenza, spesso giustificata dalle autorità italiane in termini di attività “di elevata sensibilità istituzionale”, ma che in realtà sembra finalizzata a tenere lontana dal controllo democratico e dall’opinione pubblica la realtà delle misure di esternalizzazione delle frontiere, gravemente lesive dei diritti umani e delle norme costituzionali e internazionali».

Un’accoglienza praticabile

Un ultimo dettaglio riguarda la distribuzione interna dei migranti, tra le regioni: il 13% sono in Lombardia, 9-10% in Emilia Romagna, Piemonte, Lazio e Sicilia; in Veneto accogliamo il 5% dei migranti sbarcati. Per quanto riguarda gli hotspot, l’ultimo report del Viminale parla di 847 migranti attualmente in transito, 129 in Puglia e 718 in Sicilia.

Non sono numeri preoccupanti, gestibili dalla macchina organizzativa italiana; ma sono destinati a crescere e va ricercata almeno tra i Paesi volenterosi di tutta Europa una soluzione condivisa (per ora, si è fatta avanti solo la Germania). Vanno bene i finanziamenti, ma la UE non può semplicemente pagare per togliersi il pensiero – come sta facendo con Turchia, Maghreb, Sahel e Libia. Serve qualcosa in più per poter garantire la sicurezza di chi abbandona casa e affetti per attraversare il mare. Serve accoglienza e tempi rapidi nelle pratiche di asilo politico, serve un sostegno efficace ai Paesi di provenienze e, soprattutto, servono verifiche puntuali e stringenti su come vengono davvero utilizzati i nostri soldi. A Bruxelles non ci sarà il mare, ma non è motivo sufficiente per girarsi dall’altra parte.  

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