In altri tempi si sarebbe detto “una giornata da ricordare”. E in effetti, in questa nostra epoca di Storia in sedicesimo, forse tocca rassegnarsi al fatto che è davvero questa la dimensione massima degli eventi culturali cui possiamo ambire. Fatto sta che oggi, appunto, Verona ha visto quello che forse – temiamo di sì, speriamo di no – sarà il momento culminante delle sue celebrazioni dantesche, nell’anno del settecentesimo anniversario dalla morte dell’Alighieri.

Alla presenza di sindaco, vescovo e ministro Dario Franceschini – che forse farebbe bene a farsi vedere ogni tanto anche in Arena, nonostante il noto disamore per l’opera – la città ha infatti consegnato ufficialmente al Sommo Poeta la cittadinanza onoraria. Un’onorificenza che potrebbe essere considerata ridicola, se non sapessimo che a Verona, specie negli ultimi anni, su cittadinanze e toponomastica si sono consumate le lotte politiche più furibonde. Ebbene, da oggi Dante esule dalla sua Firenze avrà un titolo in più per venire a soggiornare nel territorio scaligero, riconoscente al Poeta che a suo tempo fu grato dell’ospitalità di Cangrande: un cortocircuito di gratitudini, insomma.

Una nuova effigie di Dante abita Verona

Benché importante, però, la cittadinanza sola non poteva giustificare tanta pompa. E infatti, a seguire il terzetto di autorità, corredato dall’opportuno codazzo come da cerimoniale, si è spostato alla chiesa di Sant’Elena dove, com’è noto, nel gennaio 1320 Dante discusse la «Quaestio de forma et situ aquae et terrae», una sorta di lezione virtuosistica su questioni a cavallo – come tipico dell’epoca – fra cosmologia e scienze naturali.

Motivo della visita all’antica chiesa sorta sui resti delle terme romane e di un tempio dedicato a Minerva è stata l’inaugurazione di un nuovo monumento dedicato a Dante: una statua di grandi dimensioni opera dello scultore Albano Poli, classe 1935, e commissionata dalla Società Dante Alighieri di Verona.

Il sindaco Federico Sboarina e il vescovo Giuseppe Zenti pongono la corona d’alloro sul capo della nuova statua dedicata all’Alighieri, opera dello scultore Albano Poli, foto dalla pagina Facebook del sindaco Sboarina.

La statua policroma, realizzata in bronzo, ritrae Dante a figura intera che regge tra le mani un libro aperto, sulle cui pagine sono riportati i versi iniziali e finali della Commedia. «Uno spettacolo per gli occhi» secondo i promotori, sicuri del fatto che l’opera «diventerà una delle statue più fotografate di Verona».

Di fronte a tanta enfasi, è difficile non andare con la mente all’altro monumento dantesco, inaugurato con assai meno pompa – a causa delle restrizioni imposte dalla polizia austriaca – il 14 maggio 1865 e che da allora fissa severo i veronesi che transitano in piazza dei Signori. Una statua che non sappiamo quanto sia fotografato – né ci azzarderemmo a proporre una comparazione fra due opere d’arte di epoca e gusto tanto diversi – ma che senza dubbio ci parla di una Verona assai diversa da quella attuale.

Senza dubbio rallegra constare come in entrambi i casi siano stati sodalizi privati a incaricarsi di arricchire la città con nuovi monumenti, ma è inevitabile una riflessione su quanto distanti siano, tra allora e oggi, le modalità adottate per la realizzazione di tale intento. Se nell’Ottocento, infatti, l’Accademia di Agricoltura e la Società di Belle arti promossero un pubblico concorso aperto ad artisti veronesi e non per identificare come vincitore, tramite il voto di una Commissione poi suffragato dai pareri di esperti chiamati da fuori città, il bozzetto presentato dal ventisettenne Ugo Zannoni, scultore emergente nato a Verona ma allora residente a Milano, a un secolo e mezzo di distanza la scelta è caduta su un’assegnazione diretta a un artista ultraottantenne, ancorché senza dubbio titolato nell’arte sacra.

Due città, due sculture, due spiriti del tempo

Non è questa la sede per entrare nel merito della scelta artistica, né per dichiarare apprezzamento per l’una o per l’altra opera. Ciò che è opportuno fare, semmai, è provare a riflettere su quanto siano distanti queste due Verone: la prima, non ancora italiana e schiacciata dalla dominazione straniera, ma affamata di progresso e pronta ad abbracciarlo anche grazie a una classe dirigente in fermento, che avrebbe dato grande prova di sé dopo il plebiscito. L’altra, la nostra, intorpidita nelle sue comode certezze, e sempre meno incline a percorrere strade non ancora note, accompagnata dalla sotterranea convinzione che, in fondo, volgersi indietro sia sempre più rassicurante che guardare avanti.

Due città diverse e lontane, dove il Sommo Poeta si veste di colori distinti: quello della speranza per un avvenire migliore e quello della pura tradizione, da conservare sottovetro.

Un Dante vivo, capace di parlare ad ogni tempo, portatore di valori morali, e politici, ancora vibranti e sempre contemporanei, contro un Dante da cartolina, intrappolato nel cliché della celebrità data alla città, che vive sempre più nei monumenti e sempre meno negli scritti, nelle idee, nei discorsi del dibattito civile. Resta da domandarsi in quale di queste due città avrebbe preferito essere ospitato lui.

La statua di Dante Alighieri in piazza dei Signori, con una svettante bandiera tricolore, foto di Sarah Baldo

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