Di cosa parliamo quando parliamo di veronesità? Non occorre citare Raymond Carver per capire che si tratta di un concetto per molti aspetti astratto, ma che soprattutto negli ultimi anni è diventato un po’ un cavallo di battaglia per difendere un certo modo di fare politica o di gestire la res pubblica nella nostra città. Un concetto che va ad impattare pesantemente sulla cultura e le tradizioni, ma anche sulla finanza o la politica. Certo, esiste una “veronesità” che potremmo definire positiva, quella che si trova in tante aziende della nostra provincia dove lo spirito imprenditoriale e la dedizione al lavoro hanno determinato il successo in tanti settori, da quello agroalimentare a quello della logistica. 

Insomma, con il termine veronesità intendiamo una sorta di Giano bi-fronte o arma a doppio taglio, che può rappresentare allo stesso tempo una grande risorsa ma anche un ostacolo alla crescita della nostra città. È questo, in estrema sintesi, l’esito dell’incontro organizzato dal movimento civico Traguardi – moderato dal professor Federico Testa – al teatro della SS.ma Trinità lo scorso venerdì. Un dibattito a cui hanno preso parte esponenti della finanza, dell’imprenditoria e della società scaligera: da Michele Bauli a Silvia Nicolis, da Marina Salamon a Giancarlo Voglino.

Verona, città industriale

«Verona è essenzialmente una città industriale – ha esordito Michele Bauli, Presidente della Bauli SpA, stimolato da Testa -. Due terzi dei veronesi lavorano nella filiera industriale e il 70% dell’economia di questa città deriva dalla stessa filiera. Siamo sempre stati operosi, d’altronde, e a Verona esistono tante aziende. Ci sono tantissime realtà, con tecnologie all’avanguardia e che esportano in giro per il mondo il nostro made in Verona. Anche dal punto di vista della popolazione Verona cresce. Di recente abbiamo superato anche Venezia per popolazione. La nostra è una delle principali città industrializzate italiane e l’Italia, non dimentichiamolo, è la seconda nazione più industrializzata in Europa. A questo si aggiunge il fatto che è bellissima. 18 milioni di turisti sono venuti nell’ultimo anno. È una città che attrae tantissimo. Si potrebbe però fare anche di più. Per rendere Verona una città bella da visitare ma soprattutto da vivere. Ma per fare le cose servono soldi.»

Quali sono gli ambiti di crescita? 

«Penso che la cosa più importante sia la competenza – ha proseguito Bauli -. Abbiamo bisogno di persone che si mettano in gioco, che non abbiano paura. Per guidare una fabbrica, una famiglia, una città, un Paese bisogna avere competenze. Bisogna avere soprattutto visioni di lungo periodo. I nostri padri qui a Verona dopo la guerra hanno pianificato la città per i successivi 50 anni. Con lungimiranza sono stati creati l’università, l’aeroporto, i grandi restauri di Castelvecchio e Palazzo Scarpa, etc. Giorgio Zanotto ha preso il sud della città e ha creato la ZAI, ha deciso che le Torricelle non potevano essere edificabili, perché dovevano rimanere il polmone verde della città e ha dato respiro a Verona per oltre cinquant’anni. Noi dobbiamo fare la stessa cosa. Dobbiamo formarci e capire quali sono le esigenze della città per i prossimi anni.»

Un’immagine del progetto SimbioCity a Stoccolma

«A Stoccolma hanno fatto un progetto di 30 anni che si chiama “SimbioCity” – afferma ancora Bauli -. Hanno deciso che la città doveva diventare più grande, più popolata e in generale più attrattiva e per far questo hanno deciso di aumentare la qualità della vita dei cittadini. Il Comune di Stoccolma ha investito 2 o 3 miliardi iniziali per alcune zone degradate e poco utilizzate, come quella del porto. Poi l’hanno consegnata in mano ai privati che hanno investito altri 8 miliardi di euro. Stiamo parlando di tantissimi soldi, ma grazie a questo progetto quella zona è tornata a “vivere”. Stoccolma è cresciuta ma non ha perso la sua dimensione “a misura d’uomo”. Certo, mi rendo conto che per le nostre città forse è più difficile riuscire a portare avanti progetti di questo tipo, perché in generale, perlomeno nei centri storici, sono molto più “antiche”. Difficile, sia chiaro, ma non impossibile. Sentendo tutte le parti della città, dall’Università ai comitati dei quartieri fino a Confindustria e via dicendo si può cercare di provare a dare una forma alla visione di lungo periodo di cui abbiamo estremo bisogno. Poi è un circolo virtuoso: più la città diventa ricca più e più ha budget per diventare più bella e migliorare la qualità della vita dei suoi cittadini. L’obiettivo  finale è quello di vivere meglio tutti.»

Le occasioni perdute e quelle da cogliere

«L’automobile ha rivoluzionato la vita del mondo – ha spiegato Silvia Nicolis, Presidente del Museo Nicolis, nel suo intervento -. Forse non tutti sanno che il primo motore a scoppio a benzina venne brevettato dal veronese Enrico Bernardi nel 1882. Nessuno, però, ha sostenuto questo progetto, che invece, quattro anni dopo, è stato portato avanti da Carl Benz in Germania. Si è persa così una grande opportunità. Ci sono, per fortuna, anche esempi virtuosi che riguardano il nostro territorio, come quello del comparto del vino, che nel tempo è riuscito a promuovere nel mondo uno dei prodotti di eccellenza di Verona e dintorni, fino a far diventare la nostra città vera e propria capitale mondiale del vino. Bisognerebbe partire da queste sinergie per capire come operare. In alcuni campi, come quello turistico, siamo ancora alla distinzione netta fra l’area del lago di Garda da quella di Verona, come se ci fossero all’interno della provincia due micro-regioni. Bisogna ragionare al contrario su progetti e temi condivisi. Su sinergie. Su progetti tematici e non più su singoli territori. Bisogna trovare il modo di fare squadra, che forse è l’unico sistema per risultare vincenti.»

L’internazionalizzazione e la nuove tecnologie

«Verona vive di flussi turistici, che per il 70% sono rappresentati da popolazione internazionale – ha continuato Nicolis – . Bisogna quindi imparare a offrire servizi che rispondono a bisogni diversi da quelli a cui siamo abituati noi o che tradizionalmente viviamo perché legati alla nostra zona di comfort. Ma non è tutto. Bisogna ragionare anche su opportunità che stanno arrivando dalle nuove tecnologie. Penso alla cyber art, alle criptovalute, agli avatar, a una situazione che sta avanzando a livello mondiale in cui si acquistano oggetti d’arte virtuali… E noi spesso siamo ancora lì che guardiamo al perimetro dei plateatici o alla promozione che ha dato più visibilità a questa o a quell’azienda. È un processo culturale quello che dobbiamo compiere, perché non si tratta solamente di affrontare le problematiche quotidiane, ma di una mentalità che dobbiamo cominciare ad acquisire e ampliare.» 

Cyber Art

Il successo del vino

«Parlare di vino significa parlare di territorio – ha chiosato Giancarlo Voglino, CEO International Exhibition Management -. La veronesità, in questo senso, è un valore intrinseco del valore del vino. Non puoi parlare del vino se non parli del territorio che lo produce e che dà addirittura la denominazione al prodotto: Valpolicella, Soave, Bardolino, etc. La produzione del vino veronese ha avuto la capacità di trovare sbocchi sui mercati internazionali (che sono stati scoperti e studiati) che altri settori ancora non hanno avuto. Alcuni dei marchi più importanti della Valpolicella hanno un export che arriva addirittura al 60-70% della produzione. Siamo la prima provincia italiana per valori di bevande esportate. Il fenomeno dell’enoturismo, poi, ha portato nuova attenzione su Verona e al comparto del vino in generale. Si è innescato un meccanismo positivo fra turismo del lago e di Verona e il turismo del vino, in una spirale virtuosa che si alimenta continuamente. L’Amarone oggi è uno dei vini più ambiti e conosciuti a livello internazionale della produzione italiana, insieme al Barolo e al Brunello di Montalcino. Insomma, stiamo parlando di una bella storia di successo che ha portato ricchezza alla città e al territorio veronese.» 

Quanto durerà questa situazione?

Il vino, un’eccellenza veronese

«Questa è una storia creata, letteralmente, da famiglie e aziende fortemente radicate sul territorio, che spesso fanno fatica a trovare una professionalità che abbia la capacità di lavorare sui mercati internazionali – ha proseguito Voglino -. Abbiamo molte aziende con dimensioni ridotte e per molte di loro ben presto ci sarà il problema del ricambio generazionale. Bisogna creare le condizioni affinché ci sia una buona formazione. Le nostre scuole di enologia sono improntate a formare figure in grado di piantare le vigne e trasformarle in vino. La parte difficile, però, è quella legata al saper proporre il vino al suo giusto valore. La parte immateriale, insomma, su cui c’è da fare un grande lavoro. A Bordeaux, in Francia, c’è un centro universitario che insegna a fare marketing specifico sul prodotto vino. Anche in Piemonte c’è un’università privata dedicata all’agroalimentare che sforna manager che poi vanno a lavorare in tutto il mondo. A Verona in questo senso non c’è ancora una proposta formativa di livello e questa è una scommessa da affrontare nei prossimi anni. Per non perdere il grande valore che abbiamo oggi e perché attirerebbe tanti giovani interessati a lavorare nel comparto del vino.»

La qualità dei governi scaligeri e la diaspora dei giovani

«La qualità della vita a Verona è molto alta e l’indice di disoccupazione molto basso – spiega l’imprenditrice Marina Salamon -. Gran parte del merito è delle imprese di Verona e provincia, che sono superiori per qualità alla media delle altre province venete, perché hanno dimensioni più grandi, sono meglio managerializzate e più internazionalizzate. E anche Confindustria Verona è sempre stata gestita meglio delle altre zone del Veneto. Milano, però, in termini politico-amministrativi è stata governata molto meglio di Verona. Sia quando ha governato il centro-destra, sia quando ha governato il centro-sinistra. Gli anni che hanno portato all’Expo, per dire, erano anni in cui il centro-destra milanese non era certo il centro-destra che gira qua. Se non ci imponiamo di mettere le persone competenti nei posti giusti alla lunga i nostri figli emigreranno all’estero, dove si creano opportunità di lavoro e quindi percorsi di vita e di identità, che qui  purtroppo non ci sono. Qui ad esempio sulla comunicazione e il digital marketing siamo indietro, così come certi mondi che “generano futuro” fanno davvero fatica a svilupparsi fuori Milano. Anche nella finanza, dove Verona ha perso uno dopo l’altro i suo gioielli, non poteva che finire così. Se si collocano persone incompetenti o furbette, di basso profilo, a guidare importanti realtà poi certi esiti sono scontati. Quando si avevano degli amministratori delegati bravi questi sono stati fatti fuori e nessuno si è alzato a protestare. Poi vorrei sapere chi credeva veramente al “polo finanziario”, tanto sbandierato alcuni anni fa. Come si fa a non capire che non si tratta di un tema di edifici o location ma di qualità delle aziende. Il tempo lo ha dimostrato»  

I protagonisti dell’evento

Le municipalizzate veronesi e i bravi manager

«Il principio che viene spesso utilizzato è quello di sistemare gli amici e creare un sistema di controllo delle varie società, a furia di prebende e opportunità di lavoro per chi magari non è stato bocciato dal voto. Le municipalizzate veronesi sono un esempio. Il problema vero non è il controllo, ma la crescita. E come si cresce? Solo portando manager bravi. È il mercato, d’altronde, che ti dice se sei bravo o meno. Ma qui non interessa mettere bravi manager ma solo l’amico dell’amico dell’amico. Se la realtà è questa fanno bene i nostri ragazzi ad andare via. C’è per fortuna una buona qualità intrinseca nell’Università di Verona, una buona qualità che però non si riesce a comunicare al resto della società veronese. Se comunichi male non vieni percepito bene.»  

La conclusione finale è stata affidata a Tommaso Ferrari, Consigliere comunale eletto nelle liste di Traguardi, che ha organizzato l’evento: «Abbiamo capito questa sera che c’è un aspetto deteriore della veronesità, che è il sistema di controllo, e un aspetto positivo che si concretizza nell’eccellenza. Abbiamo in generale bisogno di competenze, ma come si fa ad attrarle? Dipende da ciascuno di noi, da ciascun cittadino. Bisogna responsabilizzarsi nei confronti del futuro della città. Bisogna riprendere dal basso la discussione per capire in che direzione andrà la città nei prossimi 40 anni. E come si riprende questa discussione? Con il duro lavoro e con lo studio, ad esempio dei molti dossier della città che vanno approfonditi, altrimenti non si capiscono. La veronesità implica che ciascuno di noi si prenda il suo piccolo peso di responsabilità, senza aspettare che arrivi il deus ex machina di turno a risolvere i problemi. Le grandi città fanno così: creano le sinergie. Le fondazioni parlano con Confindustria che parla con l’Università che parla con il Comune e così via. Se non riprendiamo queste abitudini, a prescindere dal sindaco che ci sarà l’anno prossimo, a Verona saremo sempre in difficoltà. Occorre un sindaco che abbia il coraggio di “scrostare” questa veronesità che in tante e troppe parti ha affossato i nostri asset e abbia l’umiltà di fare squadra attorno alle competenze.»

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