Il 9 novembre per la Germania costituisce un giorno del calendario nazionale dai molti risvolti storici. Nel 1918 la monarchia imperiale divenne per la prima volta parlamentare e diede inizio alla Repubblica di Weimar. Vent’anni dopo, tra il 9 e il 10 del 1938, si scatenarono una serie di pogrom antisemiti, ricordati tragicamente come “La notte dei cristalli”. E più recentemente, dopo una conferenza stampa in cui si comunicò ai berlinesi dell’Est che avrebbero potuto attraversare da quel giorno il confine, fu il 9 novembre 1989 il giorno cui si attribuisce la caduta del Muro di Berlino.

La riunificazione sarà poi un tema centrale della politica tedesca, tanto da influenzare anche il processo di unificazione monetaria europea che darà vita dieci anni dopo all’Euro. In questi 32 anni le diversità tra Wessi e Ossi ha smesso di essere un’urgenza politica, eppure la società tedesca a distanza di tre decenni mostra fratture non solo di matrice culturale.

Il dibattito negli anni ha faticato a conquistare le pagine dei giornali e i media in generale, sebbene esista una distanza, che diventa anche malcontento e si esprime sul fronte tedesco orientale elettoralmente a favore delle posizioni di estrema destra. E il tema che più divide l’opinione pubblica è l’immigrazione.

Ossi e Wessi: una questione attuale nel 2021

Ne fa ad esempio un ampio reportage Antonie Rietzschel, giornalista che collabora anche con la Süddeutsche Zeitung, originaria della Sassonia, da cui costruisce servizi sul fronte della spaccatura sociale che contrappone cittadini e cittadine contrari ai migranti e persone che cercano di resistere alle posizioni di estrema destra. «Per me ci sono particolarità politiche che sono troppo poco notate nel resto della Repubblica e devono essere elaborate – scrive Rietzschel -. Allo stesso tempo, il riferimento alla disoccupazione di massa negli anni Novanta non è una spiegazione sufficiente per il dilagante estremismo di destra e il razzismo in alcune parti dei nuovi stati federali. Non esiste un’identità della Germania dell’Est per me. Inoltre, non ho alcun interesse ad appropriarmene solo per contrastare l’AfD e il suo dibattito sull’identità. Sarebbe troppo restrittivo».

Karl Marx e Friedrich Engels al Marx-Engels-Forum, foto di Paco Santana, Flickr, CC BY-NC 2.0.

Nel 2011 alla Humboldt Universität si organizzò un incontro di giovani tedeschi: 130 studenti, giornalisti e scienziati, tutti di origine orientale, durante un fine settimana si scambiarono idee su cosa significasse essere un Ossi, un originario dalla Germania est. Ragazzi nati tra il 1975 e il 1985 che avevano vissuto i primi anni di vita immersi in una cultura che si voleva rimuovere.

«A quel tempo era quasi impossibile avere una conversazione sull’Oriente senza che qualcuno, per lo più un tedesco occidentale, sostenesse che i tedeschi dell’est non esistevano più. Ed è su questo che praticamente ogni dibattito ruotava fino all’esaurimento – scrive Christian Bangel, giornalista di Zeit online -. I tedeschi occidentali prima di tutto si aspettavano gratitudine».

E invece oggi cosa stia accadendo in questi territori sta entrando forzatamente nell’agenda politica, se non altro perché la pressione dell’emigrazione sposta l’ago della bilancia elettorale e la Nuova Destra, rappresentata dalla AfD, Alternative für Deutschland, rappresenta una minaccia tutt’altro che marginale.

La riunificazione: realtà o mito?

Il fatto è che sia per i media, sia per il dibattito culturale sul fronte orientale e occidentale, non si parla di riunificazione se non per dire che oggi la Germania è di nuovo una. Lo è da 32 anni, in modo pacifico e le generazioni successive al 1989 non possono che riferirsi a questa visione. La DDR è un argomento marginale sul piano didattico, è quasi fuori dalle scuole: ciò che ha rappresentato il mondo dei propri nonni è escluso dalla formazione, persino la figura di Erich Honecker occupa poco spazio nei programmi scolastici di storia.

Nel saggio Nachwendekinder – Die DDR, unsere Eltern und das große Schweigen (Bambini post riunificazione: la DDR, i nostri genitori e il grande silenzio) del giornalista Johannes Nickelmann uscito nel 2019, l’autore raccoglie alcune testimonianze di giovani ragazzi e ragazze che ad un certo punto comprendono di essere dell’est per come il mondo del lavoro e delle relazioni li approccia. Beatrice, classe 1985, impiegata in area marketing per un fornitore di servizi finanziari, un giorno riceve l’elogio circa la sua dedizione al lavoro dal suo supervisore:

“Poco dopo la caduta del muro avevo già due tedeschi dell’est. Ho pensato che fossero fantastici all’epoca, perché funzionavano bene e non si lamentavano molto. Proprio come te! Non ti lamenti e non ti stressi così velocemente come i tuoi colleghi di qui”. Per lei persino consumare una banana in ufficio era diventato motivo di commento: “ti piace mangiarla perché prima non ce l’avevate”.

Dal socialismo alla “Germania scura”

Se il discorso si fa politico, ecco che il Paese che un tempo costituiva l’avamposto del Blocco Orientale, ora è diventato la Dunkeldeutschland (letteralmente, Germania scura, ndr), terra di neonazisti disoccupati con in mano i vessilli di Pegida (il movimento populista di destra xenofobo e razzista, fondato a Dresda nel 2014, ndr).

Le elezioni nazionali del 26 settembre scorso hanno visto sì un calo generale dell’AfD, però è nei Länder della Sassonia, Turingia e Sassonia-Anhalt che ha ottenuto 16 mandati diretti. Secondo gli analisti, sul territorio è l’unico partito che riesce a intercettare il malessere verso migranti e Ue, ma anche verso la riunificazione. Nel giugno 2021 per le elezioni nel Land Sassonia-Anhalt la percentuale ha raggiunto il 20,8 per cento. Secondo uno studio recente dello ZEW – Leibniz-Zentrum für Europäische Wirtschaftsforschung, un centro studi di ricerca economica europea, chi è cresciuto nella ex DDR è più scettico del 15% verso il tema immigrazione rispetto a chi è cresciuto nella Germania occidentale (ne parla un articolo uscito ieri sul sito delll’Institut der deutschen Wirtschaft).

Alcuni manifestanti a Francoforte nel 2015, foto di Opposition 24, CC BY-ND 2.0.

Una diversità che originerebbe dalla logica di contrapposizione culturale tra area socialista e area capitalista, semplificata dal binomio amico/nemico. Ma socialmente si teme pure che la competizione sul mercato del lavoro induca le persone a temere che chiunque provenga da “fuori” possa comportare un crollo delle retribuzioni.

Un altro studio, condotto su vasta scala temporale, ha coinvolto 8mila studenti delle università e degli istituti tecnici: negli anni Novanta i giovani cresciuti nella Germania est concordavano in modo spiccato (il 109% in più rispetto ai coetanei dell’ovest) con l’affermazione che si dovrebbe scongiurare l’Überfremdung, ovvero, secondo il dizionario, la penetrazione eccessiva di elementi stranieri. La lettura che il Leibniz Zentrum propone è che, a distanza di tempo, gli studenti formatisi a occidente hanno sostanzialmente perso questa forma mentis, grazie alle “impressioni formative” ottenute in Occidente che “riducono del 70% l’effetto della provenienza da est”.

Una lettura che, per quanto si rafforzi con dati e ricerche, ricorda un po’ le osservazioni ricevute dalla giovane Beatrice. Come dire, adesso che siete venuti a studiare a Occidente, potete finalmente mangiare le banane.

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