Quando una famiglia si divide, al dramma psicologico dei coniugi si aggiunge la situazione complicata dei figli, che rischiano non solo di perdere il senso del proprio nucleo familiare ma anche di diventare strumento di conflitti e ripicche tra gli adulti.

Per rimettere al centro il benessere dei minori e responsabilizzare in modo paritario i genitori nella logica della bigenitorialità sono nate molte associazioni, tra le quali Mantenimento Diretto, che apre una propria sezione anche a Verona. Ne parliamo con il responsabile Alessandro Dalla Brea.

Dalla Brea, innanzitutto come nasce questa esperienza?

«Alcuni anni fa io e un altro papà ci siamo confrontati sulla nostra esperienza di vita; in particolare, le difficoltà che abbiamo vissuto durante e dopo la separazione. In breve tempo, da un piccolo gruppo WhatsApp, siamo arrivati a 50 membri. A un certo punto, il nostro gruppo cominciava ad andarci stretto e abbiamo pensato di affiliarci ad una associazione che promuoveva la nostra stessa idea, cioè la bigenitorialità, ovvero il mettere sullo stesso piano i papà e le mamme per il bene dei bambini. Oggi, con la nascita anche a Verona di una sezione di Mantenimento Diretto, i partecipanti possono contare su delle figure professionali pronte ad aiutare a titolo gratuito tra le quali un avvocato, una psicologa, due commercialisti, un investigatore privato, una collaborazione con un CAF, una criminologa…»

Alessandro Dalla Brea

Quali sono le dimensioni del fenomeno?

«Si tratta di un problema, quello delle separazioni, in decisa crescita. Come mostrano i dati del 2021, per il Veneto si evidenzia un aumento del 3,5% dal 2020, arrivando così a 170000 divorziati. Così, anche i numeri dell’associazione sul territorio nazionale sono importanti: più di 12000 iscritti, a cui si aggiungeranno ora anche quelli del Veneto.»

Consultando le statistiche pre-pandemia, pare che i tribunali prediligano l’affidamento prevalentemente alle madri. È ancora un dato di fatto?

«Assolutamente sì: al di là del formalismo e delle dichiarazioni sull’affido condiviso, i figli vengono molto spesso affidati alle madri. È chiaramente un retaggio.»

Qual è la percezione dei padri separati da lei rappresentati rispetto alle decisioni dello Stato? Si parla spesso di gender gap a sfavore delle donne: voi percepite le donne separate come penalizzate rispetto alla situazione dei padri?

«Non mi posso esprimere per la condizione della donna in generale; tuttavia, nel caso delle separazioni, il gender gap è senza dubbio a sfavore del genere maschile.»

Sul vostro sito si legge: “Chiediamo una legge che superi ogni distinzione tra responsabilità formale e responsabilità sostanziale della crescita dei figli e l’introduzione della presunzione legale relativa per tempi paritari e mantenimento diretto.” Cosa intendete?

«L’affidamento condiviso, introdotto con la legge n. 54/2006, è stato pensato per suddividere in modo paritario le responsabilità verso i figli e la possibilità che questo frequenti ciascun genitore, mantenendo inalterata la genitorialità di entrambi. Questo sulla carta: in realtà è “condiviso” solo sulla carta, perché abbiamo ancora una situazione nella quale è generalmente la madre, quale collocataria dei figli, ad averne un affido di fatto. C’è un’incoerenza tra forma e sostanza e noi chiediamo che venga superata. Come associazione, propendiamo per il mantenimento diretto, una formula che responsabilizza i genitori in egual misura nel crescere i bambini sia sotto il lato educativo che economico e che consiste nell’assistenza economica che il genitore separato dà ai propri figli non versando un assegno periodico, ma provvedendo direttamente a soddisfare le loro esigenze.»

All’orizzonte si profila la riforma per l’affido del Ministro Cartabia. Innovazioni che secondo voi vanno nella giusta direzione?

«Vedremo. Siamo abituati ormai ad annunci in grande stile che poi si sgonfiano in sede di traduzione pratica in norme di legge. Attendiamo fiduciosi, ma non ci facciamo troppe illusioni.»

Oltre le questioni legati alla crescita dei minori, si parla anche di questioni economiche, come ad esempio il riconoscimento del valore della casa e della sua disponibilità. Pare quasi che le condizioni di molti padri siano economicamente complesse…

«L’assegnazione della casa ex coniugale o ex familiare alle madri, collocatarie di diritto o di fatto della prole, è prassi invalsa. Non viene quasi mai preso in considerazione il fatto che un padre, oltre ad abbandonare la casa, si trova a sostenere non solo le spese per trasloco e la ricerca di una nuova abitazione, ma pure a dover pagare il mutuo della ex casa familiare o coniugale che sia. È una questione puramente matematica: con lo stesso stipendio, il padre divorziato deve ora sostenere due case e due nuclei familiari. Conosco padri separati con un buon stipendio che sono finiti alla mensa della Caritas per questo.»

È comunque un fatto incontestabile che le donne spesso non abbiano un reddito proprio o che, con la cura dei figli piccoli, perdano in parte o del tutto l’autosufficienza. Lo riconoscete come un problema? Una possibile soluzione?

«Non intendiamo certo negarlo, né tuttavia si può negare come l’attuale sistema finisca per penalizzare in modo non sostenibile uno solo dei genitori, costringendolo spesso alla povertà se non ai limiti della sopravvivenza. Nei paesi nordici, ad esempio, anche i padri hanno la possibilità di stare a casa dal lavoro per accudire i figli: sarebbe dunque necessario impostare e far funzionare un welfare davvero rispettoso della parità; un sistema che, ad oggi, è manifestamente inadeguato per una società moderna. Crediamo fortemente nel mantenimento diretto dei figli che “obbliga” padri e madri a prendersi responsabilità sia educative che economiche, nella stessa identica maniera.»

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