Fino a poco tempo fa, si pensava che la problematica dello sfruttamento lavorativo fosse qualcosa che non interessava il Veneto. L’irregolarità sì, era conosciuta, ma comunque solo un po’, solo a margine, perché si sa, non si può essere perfetti.

In fondo, è cosa consueta se si vuole lavorare, accettare un po’ di anomalie, di non corrispondenze tra ciò che è scritto e ciò che si fa in realtà. Accettare che non ci siano tutte le garanzie, che nel contratto ci sia scritto qualcosa che non coincide con la realtà. Bisogna essere flessibili. Bisogna fare gavetta.

Chi non condivide questo tipo di logica? Ancor più se si parla di impieghi stagionali. Che durano poco. Che vanno e vengono. Che servono solo a mettere in tasca qualche soldo, ma poi si lasciano perché le direzioni che si vogliono prendere sono altre. Perché gli impieghi che si sognano per la vita sono di ben altro genere.

Tonalità di grigio

Si può affermare che questa è una forma di pensiero comune, qualcosa che fa parte del sentire di tutti. Fino a poco tempo fa si pensava che fosse semplicemente questo, ciò che succedeva in Veneto. Che nel mondo del lavoro ci fosse quello regolare, quello sancito da contratti più o meno giusti ma pur sempre contratti, che sfumava inevitabilmente in una parte di grigio. Un grigio che non era nero, quindi non condannabile. Un grigio accettato, necessario addirittura.

Operaio, foto di Ahsanization, unsplash.com

Ogni tanto, qualche giornale locale riportava la notizia di arresti per sfruttamento lavorativo. Per lo più interessavano cooperative di servizi che offrivano le loro prestazioni soprattutto nel settore agricolo. Ma erano per lo più considerati fatti isolati, circoscritti. Che interessavano comunque persone straniere e quindi non direttamente il Veneto.

Questo era ciò che riteneva l’opinione pubblica fino allo scoppiare del caso “Grafica Veneta”. Quando invece la gente si è vista sbattere in faccia una storia scioccante: in una delle aziende più rinomate e redditizie del Veneto, alcuni lavoratori che svolgevano servizi stagionali, sono stati picchiati, legati e derubati di documenti e telefoni perché avevano osato criticare un vero e proprio sfruttamento nei loro confronti.

Chi invece si occupa del tema dello sfruttamento lavorativo per professione, sapeva bene che la situazione in Veneto nascondeva macchie che andavano ben oltre il colore grigio. Solo che è molto difficile scovarle, anticiparle, prevenirle. La presente indagine sul fenomeno dello sfruttamento lavorativo in Veneto parte proprio da questa consapevolezza. Dal ritenere che non ci siano mai stati solo piccoli fatti isolati, superati poi dallo scandalo più famoso. Ma che in sottofondo ci sia una cultura del lavoro che ha alimentato questi episodi. Li ha usati, accettati e nascosti. Fino a che è stato possibile.

Ora non è più possibile dire: “In Veneto non succede”. Far finta di non vedere. È ora di aprire la scatola nera e vedere cosa c’è dentro.

La cronaca

Inizieremo con una raccolta di fatti riportati dalla cronaca veneta nell’ultimo anno circa. Una raccolta non esaustiva, ma altamente indicativa. Una collezione di avvenimenti che nel loro susseguirsi dimostrano già la loro frequenza, e quindi l’esistenza costante del fenomeno e di alcune caratteristiche comuni.

Braccianti agricoli, foto d’archivio

16 dicembre 2019: la polizia stradale ferma un furgone non assicurato nel trevigiano. Si scoprirà poi che veniva usato per trasportare manovalanza ad aziende agricole sparse tra Treviso, Venezia e Pordenone. I lavoratori (tutti stranieri) venivano pagati 4 euro l’ora. Inoltre gli venivano trattenuti 50€ mensili per i pasti e 100€ per il posto letto.

06 maggio 2020: in una costruzione agricola del trevigiano, vengono trovati decine di lavoratori pachistani ammassati senza luce né gas. Quello era l’alloggio fornito loro dai caporali, che poi li smistavano in diverse aziende agricole del territorio.

23 giugno 2020: nelle campagne tra Cavarzere, Rovigo e la Bassa Padovana, si scopre un giro di braccianti marocchini che venivano picchiati pur di non denunciare le condizioni in cui lavoravano.

25 novembre 2020: vengono scoperti decine di operai marocchini tra Verona, Vicenza e Padova. Erano sfruttati da un’associazione gestita da un titolare loro connazionale ed una commercialista italiana.

8 febbraio 2021: Tra Casier e Orsago in provincia di Treviso, e la confinante Pordenone si scoprono 14 operai pachistani, sfruttati nella potatura delle vigne.

25 aprile 2021: Tra Padova e Vicenza si scopre un giro di caporalato marocchino, la cui sede logistica, per così dire, era all’interno di un conosciuto bar della zona.

12 maggio 2021: A Cessalto (TV) i carabinieri del Gruppo Tutela del lavoro di Venezia arrestano due cittadini pachistani. Reclutavano operai per diverse aziende agricole tra le provincie di Treviso, Belluno e Pordenone. In cambio trattenevano mezzo stipendio a ciascun lavoratore. Chiedevano ulteriori cento euro per il posto letto, altri cinquanta per i pranzi. Ovviamente tutto senza contratto e senza il minimo dispositivo di sicurezza.

9 luglio 2021: a Castelfranco Veneto (TV) viene chiusa un’azienda tessile a gestione cinese. Ci sono operai irregolari di varie nazionalità

23 luglio 2021: a Villorba (TV) si ripete la chiusura per un’altra azienda tessile, questa volta gestita da un’italiana.

27 luglio 2021: scoppia il caso Grafica Veneta.

9 agosto 2021: nel Polesine si avvia un controllo a tappetto di 24 imprese (societa’ e ditte individuali), con 118 lavoratori controllati, di cui 18 cittadini italiani, 41 cittadini comunitari e 59 provenienti da Paesi extra-UE, in particolare da Marocco e Pakistan.

17 agosto 2021: a conclusione dell’indagine un’azienda è stata completamente chiusa. C’erano lavoratori senza documenti e che addirittura accettavano di lavorare nei campi senza stipendio, solo in cambio di vitto e l’alloggio.

La sensazione ora è che davvero, non si possa più pensare a dei casi isolati.

© RIPRODUZIONE RISERVATA