Marzo è il mese dedicato alla consapevolezza dell’endometriosi, una malattia cronica che colpisce attualmente circa 4 milioni di italiane e 180 milioni di donne nel mondo. Eppure, oggi, di endometriosi si parla ancora troppo poco. È una malattia poco nota anche tra le stesse donne, che forse sono naturalmente portate a minimizzare o nascondere i propri disturbi, spinte dalle (troppo) frequenti accuse di esagerazione dei sintomi o addirittura di invenzione della malattia.

L’endometriosi, invece, esiste e si manifesta in diversi modi. “Presenta sintomi inizialmente ciclici, legati alla mestruazione o alla sindrome premestruale”, come ci ha raccontato il dottor Marcello Ceccaroni, Direttore di Ginecologia e Ostetricia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar. Alcuni sintomi possono in seguito diventare persistenti. Il più frequente tra tutti è il dolore mestruale, la cosiddetta dismenorrea, seguito dal dolore durante i rapporti sessuali (dispareunia). A questi si associano spesso il dolore pelvico generalizzato, il dolore lombare e altri sintomi più specifici, legati ai singoli organi che possono essere talvolta interessati, come dolori durante le evacuazioni e dolore periovulatorio (a metà ciclo mestruale).

Esistono, però, anche forme asintomatiche della patologia: la percezione del dolore è naturalmente molto soggettiva e, inoltre, dal momento che non tutte le endometriosi sono attive metabolicamente allo stesso modo, i dolori possono presentarsi in forme diverse. In sostanza: non tutte le forme di endometriosi nascono e poi peggiorano inesorabilmente da un ciclo mestruale all’altro. Possono esistere anche forme lievi, quasi totalmente prive di sintomi, in pazienti che con una certa probabilità non si accorgeranno mai nemmeno di soffrirne. Fortunatamente i casi di questo tipo sono numerosi, mentre è meno frequente che si verifichino endometriosi gravi (o profonde).

Il dottor Ceccaroni con la sua equipe medica

Dottor Ceccaroni qual è l’età media in cui una donna riconosce i propri sintomi riconducendoli a questa malattia?

«Il picco di incidenza diagnostica dell’endometriosi si stima sia intorno ai trent’anni, ma la malattia nasce molto prima. Alcuni studi dimostrano che nel periodo adolescenziale circa il 50% delle ragazze che perde giorni di scuola a causa del dolore mestruale soffre di endometriosi. Il 75% delle pazienti che dice di avere un dolore pelvico cronico soffre di endometriosi. Bisogna quindi iniziare a considerare molto prima questa patologia.»

Esiste una cura oggi riconosciuta come più efficace?

«Da un certo punto di vista non esiste una cura standard per l’endometriosi e l’unico fattore che può porre la parola “fine” alla malattia è la menopausa. Ad ogni modo, la strategia che si adatta è fondamentale: talvolta si può procedere con una cura farmacologica, con l’obiettivo di stabilizzare la malattia e tenerla, in un certo senso, sotto controllo. Altre volte invece la paziente necessita dell’intervento chirurgico. Nel caso in cui questo sia radicale, si avrà in seguito un 7% di possibilità di avere una recidiva negli anni successivi e, dopo l’intervento, sarà fondamentale, in ogni caso, procedere con una terapia medica per calmierare le mestruazioni.»

Ad oggi, sulla diagnosi di endometriosi grava un ritardo medio di 8-9 anni: a che cosa è dovuto?

«In effetti, ci sono diversi Paesi al mondo, anche molto sviluppati nel settore medico, che presentano ritardi di 12-13 anni nella diagnosi dell’endometriosi. Le motivazioni sono varie e a diversi livelli, primo tra tutto quello culturale: in tante società, compresa la nostra, si è portati a pensare che il dolore mestruale sia normale. Bisogna però considerare che la società è notevolmente cambiata e che, mentre le nostre nonne a vent’anni avevano già figli, oggi alla stessa età non necessariamente le donne hanno già programmato una gravidanza. L’altro filtro è il medico di famiglia, che non sempre è consapevole che dietro certi sintomi possa celarsi l’endometriosi; si attendono quindi anni di integratori, di accertamenti che non passano mai in prima battuta attraverso la via ginecologica. Infine, spesso, anche i ginecologi di base, pur conoscendo l’endometriosi, possono trovarsi di fronte a situazioni non facili o comunque non alla loro portata per una corretta diagnosi.»

Perché l’endometriosi viene ancora così spesso sottovalutata, imputando alla donna una semplice esagerazione dei sintomi o addirittura una malattia immaginaria?

«Anche in questo caso si tratta principalmente di un problema culturale a tutti i livelli, da quelli primari di informazione, come le scuole, ai genitori, ai medici di base e agli stessi specialisti. Proprio per questo motivo, gran parte della nostra attività all’interno dell’ospedale di Negrar consiste nella formazione e nell’istruzione dei medici alla conoscenza e alla diagnosi dell’endometriosi. È chiaro che un dolore cronico, invalidante, che porta progressivamente a una fertilità ridotta, ha inevitabilmente anche delle notevoli conseguenze dal punto di vista psicologico, talvolta con lo sviluppo di forme depressive, più o meno gravi. Tutto questo si unisce, inoltre, alla mancanza di una corretta diagnosi e, al contempo, alla quasi totale carenza di comprensione del problema. Il risultato è che molte donne sono ritenute delle simulatrici del dolore e la loro malattia addirittura una pura invenzione. Questo è sicuramente un elemento da non sottovalutare: il dolore mestruale non rappresenta la norma e chi soffre di endometriosi non è una pazza o una persona strana.»

L’ingresso dell’Ospedale Sacro Cuore di Negrar

In termini di casistiche chirurgiche per l’endometriosi, sappiamo che l’Ospedale di Negrar presenta un numero di pazienti tra il più alto al mondo. Quante donne si rivolgono a lei e al suo reparto ogni anno?

«Facciamo all’incirca 12-13mila controlli o visite all’anno legate all’endometriosi. Tra queste, però, tengo a sottolineare che ne vengono operate circa 1.500 (il 9%). Un numero, quindi, bassissimo rispetto a quello totale delle pazienti che si presentano da noi. Da parte nostra è notevole, infatti, lo sforzo di instradare le pazienti verso un percorso terapeutico non chirurgico risparmiando loro l’operazione, tentando più vie alternative. La nostra squadra si dedica a questa patologia in modo totalizzante, con un impegno temporale ma soprattutto umano enorme. Inoltre, trattandosi di un Centro altamente specializzato, spesso chi arriva da noi presenta casi di endometriosi molto gravi, con stadi avanzati della malattia ed è dunque importante fornire sempre la competenza e l’aiuto necessari.»

L’endometriosi è inserita nell’elenco delle patologie croniche e invalidanti, negli stadi clinici più avanzati. Ciò rappresenta sicuramente un passo in avanti per la consapevolezza e la sensibilizzazione nei confronti di questa malattia, ma quali sono i prossimi obiettivi da raggiungere?

«Già nel 2005 il Senato della Repubblica italiana ha riconosciuto l’endometriosi come malattia di interesse sociale. Nel 2012 si è compiuto, poi, un ulteriore passo in avanti dal momento che il governo l’ha inclusa, nelle sue diverse fasi cliniche, nella lista delle malattie che possono essere causa di invalidità civile. C’è stato, allora, un impegno importante nel raggiungimento di certi obiettivi come la presa in carico delle pazienti o il rafforzamento delle reti sanitarie. Infine, nel 2015 la ministra alla Salute Beatrice Lorenzin ha inserito l’endometriosi nei LEA, Livelli Essenziali di Assistenza. Questo passo avanti ha dato qualche agevolazione, qualche supporto alle pazienti, come alcune esenzioni, facilitazioni, possibilità di accedere gratuitamente ad alcuni servizi. I passi in avanti più importanti sono stati fatti sicuramente realizzando reti di informazione, comunicazione e sensibilizzazione – che, a loro volta, hanno naturalmente visto anche la partecipazione di medici e specialisti,  molti dei quali sono stati coinvolti nella programmazione di corsi di formazione ed eventi congressuali. Altrettanto importante è collaborare con le associazioni di pazienti, responsabili in prima linea della creazione di una rete informativa nelle realtà geografiche anche più remote e, al contempo, nelle scuole, con programmi educativi mirati. Gli ospedali indirizzano i propri corsi anche ai medici e ai ginecologi di base. L’Ospedale di Negrar riceve, ad esempio, dalle università italiane i medici specializzandi, i quali vengono inseriti in un percorso formativo intensivo dedicato specificatamente all’endometriosi. Questi medici, rientrati poi nelle loro università di appartenenza o nelle loro città di origine, hanno dato vita a delle realtà concrete, costituendo ambulatori, prima inesistenti, dedicati proprio alla diagnosi e alla cura dell’endometriosi. L’aiuto ultimo sarà poi, in futuro, il passo generazionale delle pazienti: molte delle donne che un tempo soffrivano di endometriosi e ora sono madri saranno il trigger principale a sensibilizzare le loro figlie e a portarle dal ginecologo. Questo fenomeno vent’anni fa non si verificava e rappresenta sicuramente un fattore sociale positivo.»

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